IL LIBERISMO: UNA DEGENERAZIONE
DELL’ILLUMINISMO....di G.Tirelli
La
vostra anima è sovente un campo di battaglia, dove il giudizio e la ragione
fanno guerra all’appetito e alla passione.
Potessi
io conciliarvi, e mutare in voi rivalità in unione e discordia in armonia!
Ma
come potrò farlo, se voi non siete i mediatori e gli amanti di ogni vostro
elemento? La ragione e la passione sono il timone e la vela di quel navigante
che è l’anima vostra. Se il timone e la vela si spezzano, sbandati, andrete
alla deriva o resterete fermi in mezzo al mare. Poi che, se la ragione domina
da sola, è una forza che imprigiona - e la passione, se incustodita, è una
fiamma che brucia e si distrugge. Perciò la vostra anima esalti la ragione fino
alla passione, affinché essa canti. E con la ragione diriga la passione,
affinché questa viva in resurrezione quotidiana, e sorga come la fenice dalle
ceneri.
Vorrei
che l’appetito e il giudizio fossero per voi come due amici invitati a casa
vostra. L’onore non andrebbe certo all’uno più che all’altro; giacché se hai
più riguardi verso un ospite solo, perdi l’affetto e la fiducia di entrambi.
Quando, sui colli, sedete all’ombrosa frescura dei pallidi pioppi, ed è vostra
la pace serena e lontana dai campi e dei prati, allora vi sussurri il cuore:
”Nella ragione riposa Dio”. E quando scoppia la tempesta e il vento titano
scuote la foresta, e lampi e tuoni annunciano la maestà del cielo, allora dite
nel cuore con venerata paura: “Nella passione si muove Dio”.
Così,
essendo un alito nella sfera di Dio e nella sua foresta una foglia, la ragione
sarà il vostro riposo e la passione il vostro moto.
Da
“Il Profeta” di Gibran Kahlil Gibran
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Sull’onda
dell’entusiasmo e di una novità fatta di promesse, aspettative e speranze, per
una qualità di vita migliore e più felice, è stata definito, rivoluzionario,
quel processo di industrializzazione che, nel solo arco di un secolo, ha
sbaragliato dal campo le società contadine per imporsi come parametro assoluto di
riferimento.
Ma le
rivoluzioni, sono portatrici di fratellanza, uguaglianza e libertà (sinonimi di
felicità), in netta antitesi con quella “industriale”, equivalente di,
omologazione, licenza, schiavitù e catastrofe ambientale.
Tutte
le promesse e le speranze, sbandierate in questo secolo, sono state disattese e
umiliate. L’autonomia di un tempo, presupposto di libertà, dignità e decoro, è
degenerata in dipendenza dal Sistema e, la salutare e appagante fatica
dell’uomo contadino, in lavoro meccanico, frustrante e senza dignità. Per tali
motivi, l’individuo umano del passato, cosciente e responsabile, si è involuto
in umanoide robotizzato; un automa che si attiene rigidamente alle regole
stereotipate di un libretto di istruzioni che il Sistema gli consegna al
momento della sua venuta al mondo. A un tale uomo è negata la felicità.
L’illuminismo,
nonostante la relativa fede e i nobili presupposti dei suoi fautori, ha dato
inizio a quel processo di omologazione che, nel tempo, ha prodotto quello che
oggi è il liberismo consumista relativista delle società occidentali.
Nella
vita di ogni giorno, da sempre, esiste una componente dominante in grado di
ribaltare e mortificare ogni supposta logica, ragione e preventiva conclusione,
in virtù delle quali crediamo di controllare ogni cosa ed evento.
Sto
parlando del “Caso” che, a mio giudizio, esula da ogni comprensione umana per
attestarsi nella sfera del divino in virtù della sua imperscrutabile volontà.
Non c’è dubbio che un uso corretto della ragione, migliori l’esistenza umana,
ma in nessun caso, può essere strumento di proselitismo etico, politico,
religioso e culturale.
Definire
l’illuminismo, un movimento filosofico, sarebbe una forzatura in quanto, il
pensiero che lo ha prodotto (generato), è viziato da fattori tecnici e
tecnicismi, intrinseci alla Rivoluzione Industriale. Le grandi filosofie
fondano l’autenticità del loro pensiero, proprio perché sganciate e liberate
dai condizionamenti, luoghi comuni e dogmi, endemici alla realtà presente, e
ancor più se la loro natura è di tipo scientifico e meccanico.
Il
concetto cardine dell’Illuminismo è l’affermazione dell’autonomia della
ragione, da ogni autorità esterna ad essa. In pratica, secondo l’illuminismo,
l’uomo deve imparare a ragionare con la propria testa e a ritenere valide solo
quelle verità che egli riesce ad appurare grazie alla ragione,
indipendentemente da ciò che afferma la religione, l’autorità, la politica o la
tradizione. In altre parole, sono ritenuti veritieri, solo quei fenomeni che
possono essere dimostrati, attraverso la ragione, i sensi e un costrutto
logico. Niente di più errato! Un tale ragionamento, per la sua natura utopica
avventuristica, può trovare corrispondenze nel singolo o in un gruppo di
eccentrici intellettuali dai nobili ideali ma, in nessun modo, trovare
applicazione in un contesto di massa. Tanto più in quel preciso momento storico
dove, i canti suadenti delle seducenti sirene della neo-modernità, inebriavano
di aspettative un’avventura che stava cambiando radicalmente la storia dell’umanità,
ma per il peggio.
Prendere
poi a misura delle proprie supposte convinzioni, gli umori e i pruriti della
metropoli (colta, vanesia e intellettuale), come parametro di riferimento e
piattaforma di lancio verso il futuro, è stato, nella storia dell’uomo, il
grande errore originale e per questo, imperdonabile. Escludere da tali intendimenti
e dal processo di sviluppo tutto il resto del mondo, delegando a una minoranza
le sorti del pianeta, ha prodotto quel disastro globale (umano, di valori,
culturale e ambientale) che caratterizza le moderne società liberiste e
consumiste di oggi. La modernità, metastasi della Rivoluzione Industriale, ha
separato e codificato, il passato, il presente e il futuro, in tre entità
assestanti svincolate da ogni interazione e comuni finalità. Nel mondo
contadino di un tempo, al contrario, queste tre entità erano fuse fra loro
dentro un’unica realtà, sostanzialmente immutabile e, la proiezione del futuro
era scandita dal raccolto delle messi, mentre il presente, dalla semina.
Il
passato, relativamente simile al presente, si esprimeva nelle commemorazioni
dei propri defunti, nel ricordo, nella tradizione e nelle ricorrenze. Altro che
separasse fra loro in modo netto e autonomo queste tre condizioni temporali,
non esisteva. Era il disegno logico e perfetto di un eterno presente.
Nelle
città industriose e industriali europee, questo meccanismo imperituro
cominciava a venir meno, per aprirsi alle nuove teorie dell’illuminismo, e a
una radicale svalutazione della realtà, postulata dal movimento nichilista russo.
La Rivoluzione Industriale dunque, segna lo spartiacque fra due mondi, opposti
e contrapposti, lontani da ogni confronto e parallelismo. Così, è improprio
parlare di una storia del mondo e dell’umanità, ma bensì, di due storie, di due
mondi e di due umanità. Una che ha origine nella notte dei tempi e termina il
suo viaggio agli albori della Rivoluzione Industriale - la seconda, generata
dagli umori mefistofelici del neo industrialesimo rampante e schizofrenico che,
in pochi decenni, ha fatto piazza pulita di ogni ragione, passione, tradizione
e conoscenza, confinando la verità in una dimensione relativa.
Le
teorie illuministe, sono state il terreno di coltura dell’odierno liberismo che
nella contraffazione della realtà e nella mistificazione della verità (assunte
a pratiche relazionali) incarnano il germe malefico dell’ossimoro al potere,
riducendo la verità, ad un inquietante esercizio di relativismo.
I
modelli teorici dell’illuminismo, guardavano al passato, come ad un cumulo di
errori, responsabile di avere prodotto una società barbara ed arretrata. Gli
illuministi, si immaginano proiettati verso il futuro – un futuro di luce e di
progresso. Per garantire una tale innovazione e dare forma alle moderne teorie
era però necessario liberare l’umanità dalla pesante “schiavitù culturale” (e
spesso anche “materiale”) ereditata dal passato.
L’avere
demonizzato il passato, mortificandolo nella sua sostanza, sull’onda delle
proiezioni futuribili indotte dalle nuove scoperte scientifiche che
promettevano, giustizia, felicità e libertà per tutti, è il falso storico del
pensiero illuminista.
L’obiettivo
dell’illuminismo era di porre alla base della morale e della politica, la
ragione umana atemporale. Credere di rinnovare la società, spiegando alle masse
che la povertà e la sopraffazione erano dovute all’ignoranza e alla
superstizione, è stato un grande errore di ingenuità e di presunzione, relativo
ad una scarsa comprensione di quel disegno sovrannaturale che, proprio in virtù
del valore imprescindibile e imperituro della diversità, suggella la sua
ragione d’essere.
A più
diversità corrisponde più libertà! E questo è un principio indiscutibile!
L’illuminismo,
nonostante la relativa fede e i nobili presupposti dei suoi fautori, ha dato
inizio a quel processo di omologazione che, nel tempo, ha prodotto quello che
oggi è il liberismo consumista relativista, delle società occidentali.
Voltaire
sostiene che, “esiste un Dio ma i dogmi religiosi, e le raffigurazioni della
sua immagine, sono invenzioni umane”. Diversamente da Voltaire, trovo, questa
tesi, alquanto riduttiva e poco avveduta, ritenendo le suddette “invenzioni”,
la rappresentazione iconografica del divino e della divinità; un’espressione
artistica di natura spirituale, in forma di dono votivo e commemorativo che, da
sempre, ha caratterizzato l’individuo, le comunità e le grandi civiltà del
passato, come momento di aggregazione, comunione e tradizione della storia del
mondo. Dio esiste, in quanto baluardo di speranza e di auspicio e, per tanto,
non può accampare alcun diritto all’interno della sfera del razionalismo e
della ragione illuminata – salvo l’eccezione di volere interpretare la natura e
le sue leggi, come la sua espressione ultima e la più evidente.
Se gli
uomini, in nome della religione, si perseguitano e si uccidono, (continua
Voltaire), questo succede per la loro ignoranza e stupidità. L’illuminismo, in
realtà, è stato un inedito movimento politico, tendenzialmente ateo e
materialista che, per una semplificazione, ha coniugato (anticipandoli in forma
profetica), il pensiero marxista con l’odierno liberismo, dentro un sussulto
anarcoide. Tale alchimia, prodotta dalla convergenza di principi e fattori
inconciliabili fra loro, ha prodotto un sincretismo gelatinoso che, nell’arco di
due secoli, è mutato in perverso relativismo, trasfigurando la licenza in
libertà, la furbizia in intelligenza e la menzogna in regola relazionale.
Dio,
in quanto puro spirito (entità trascendente, concetto astratto) non era
considerato dagli illuministi una verità assoluta, così come non godevano di
molta fortuna gli altri misteri delle fedi e delle religioni. La maggior parte
degli illuministi, infatti, era convinta che l’universo funzionasse, non grazie
all’intervento divino, ma in virtù di un preciso meccanismo di autoregolamentazione:
il ciclo perenne della natura: nascita, crescita, morte e trasformazione della
materia.
Promuovere,
imporre e volere “globalizzare” i lumi della ragione (pur apprezzandone le
buone intenzioni), è un esercizio di illusionismo che non tiene in nessun conto
le imprescindibili esigenze individuali e gli equilibri sincroni e vitali
dell’esistenza essendo, la stessa ragione, per definizione, soggetta e relativa
alla consapevolezza, alla capacità di discernimento, alla forza di volontà, a
fattori culturali, religiosi, geografici e, più in breve, al libero arbitrio.
Quando la ragione diventa razionalità e logica, e le parole che presumono
spiegarla, i numeri infiniti di un’equazione algebrica, il risultato finale
sarà un materialismo omologante e un appiattimento culturale verso il basso,
scevro da ogni individualismo, personalismo, giudizio critico e sentimento di
passione.
Per
non dare adito a fraintendimenti (vista la delicatezza dell’argomento trattato
e il rischio di diversa interpretazione), il mio giudizio critico sulle teorie
illuministe non entra nel merito del suo ambizioso quanto utopico programma, ma
sugli effetti postumi che, il processo industriale e in seguito, tecnologico,
hanno prodotto. Per brevità, se il mitico Voltaire potesse “buttare
un’occhiata” sulla realtà odierna, si rivolterebbe nella tomba.
“Si
può dunque affermare che la tolleranza della ideologia edonistica voluta dal
nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana. Come si è
potuta esercitare tale repressione? Attraverso due rivoluzioni, interne
all’organizzazione borghese: la rivoluzione delle infrastrutture e la
rivoluzione del sistema di informazione…” Pasolini – Scritti Corsari 1975 –
Avere
previsto o più semplicemente immaginato un mondo alla mercé dei mezzi di
comunicazione e mediatici, e future società che sul consumo sistematico di beni
voluttuari accreditavano la loro sopravvivenza, sarebbe stato troppo anche per
Voltaire e illuminati seguaci.
“Gli
italiani, continua Pasolini, hanno accettato con entusiasmo questo nuovo
modello che la televisione impone loro secondo le norme della Produzione
creatrice di benessere (o, meglio, di salvezza dalla miseria). Lo hanno
accettato: ma sono davvero in grado di realizzarlo? No! O lo realizzano
materialmente, diventandone la caricatura, o non riescono a realizzarlo che, in
misura così minima, da diventare vittime. Frustrazione o addirittura ansia
nevrotica, sono ormai stati d’animo collettivi.
La
responsabilità della televisione, in tutto questo, è enorme. Non certo in
quanto mezzo tecnico, ma in quanto strumento del potere e potere essa stessa.
Essa non è soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un certo
elaboratore di messaggi. È il luogo dove si fa concreta una mentalità che
altrimenti non si saprebbe dove collocare. È attraverso lo spirito della
televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo potere. Non c’è
dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e
repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo – un virus letale e
globale. Il fascismo, non è stato
sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano: il
nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione
(specie, appunto la televisione), non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata,
violata, bruttata per sempre….”
Quel processo di semplificazione
“ragionato” che ha traghettato l’uomo da un passato industrioso a un presente
industriale, è dunque miseramente fallito.
GIANNI TIRELLI