Il drammatico aggravamento della situazione
siriana, congiuntamente all’instabilità e alle
contraddizioni attuali degli esiti delle rivoluzioni
della “primavera araba”, ha come effetto il
riecheggiare sempre più insistente e sempre
più molesto di posizioni di quei settori della
sinistra che nell’attuale scontro dell’UE e
degli USA con la Siria si sono schierati senza
indugio e acriticamente dalla parte di Assad,
considerandolo guida illuminata ed amica del
«penultimo paese sovrano e antimperialista del
mondo arabo». Sono gli stessi settori che già
un anno fa, allo scoppio delle tumultuose
sollevazioni maghrebine, mettevano in guardia
da pretese “cospirazioni”, da “manovre
preordinate” e da “burattini” delle
intelligences occidentali, e che oggi sembrano
compiacersi dello sbocco insoddisfacente
(Egitto) che stanno trovando le rivoluzioni arabe.
Particolarmente affezionato al suo ruolo di
ambasciatore e flabelliere dei despoti d’ogni
risma (purché non siano simpatici agli
americani) è ormai da tempo Fulvio Grimaldi,
l’eroico freelance sempre in mimetica e sempre
in trincea. E sempre embedded,
appunto. Nelle sue incessanti e furiose
paturnie causategli dai «saputelli, zerbini
dell’informazione imperial-colonialista, di ogni
sinistra» (cioè praticamente tutti, tranne
Grimaldi in persona), non pochi strali
vengono riservati a quelli che egli definisce
«decerebrati», «cretini totali», «tossico
sciame dei tafani trotzkisti» (da notare il
linguaggio schiettamente e classicamente
stalinista, in perfetto stile anni Trenta): il PCL,
insomma, reo di rivendicare addirittura,
a proposito della Siria (così come, a suo
tempo, della Libia) nientemeno che la più
irriducibile opposizione di classe al governo
di quel Paese, fino alla cacciata di Assad, e,
CONSEGUENTEMENTE e contestualmente,
il sostegno più assoluto alla resistenza
all’ingerenza imperialistica, diretta o indiretta.
Il succo della posizione di Grimaldi è questo:
1) Assad ha ragione e la sua “difesa” è
pienamente legittima. 2) L’opposizione
siriana non esiste. Ciò che viene chiamato
opposizione è in realtà un irrilevante
canagliume indistinto di pericolosi qaedisti,
wahabiti e predoni assortiti che vogliono
impossessarsi della Siria e farne un regime
teocratico. E in questo obbiettivo sono
appoggiati e diretti da… USA, Europa ed
Israele! 3) Chi, in Italia, solidarizza con
l’opposizione siriana e vuole la destituzione di
Assad è nel migliore dei casi un ingenuo
credulone che, in balia delle centrali della
disinformazione imperialista, nulla sa e nulla
ha capito; nel peggiore, un odioso complice
dell’attacco congiunto imperialista-qaedista
all’”umanista” (secondo Chavez) Assad. In
ogni caso, un classico “utile idiota”, che
consapevolmente o inconsapevolmente sta dalla
parte degli imperialisti.
Deve sembrare quindi, a Grimaldi, una ben
strana pretesa quella di rivendicare una
rivoluzione anticapitalista e un governo dei
lavoratori in Siria, e allo stesso tempo una difesa
della Siria dalla morsa strangolatoria del capitale
internazionale.
Grimaldi, come tutti i non comunisti, non
ragiona in termini di classe. Non accetta
il principio dell’autonomia politica ed
organizzativa del proletariato, nazionale ed
internazionale. Come tutti i non comunisti, non
riesce a vedere la centralità strategica di un
fronte proletario che, nell’impugnare la bandiera
della PROPRIA lotta antimperialista, pone le
basi per una PROPRIA lotta sociale “interna”,
contro il “suo” capitale. Come tutti i non
comunisti, non riesce a considerare il conflitto
antimperialista come parte integrante
e continuazione del conflitto anticapitalista.
Per
Grimaldi, come per tutti i non comunisti,
l’imperialismo perde qualsiasi contenuto e
connotazione di carattere storico ed
economico, per divenire nient’altro che un
combattimento fra una parte e l’altra.
Fra buoni e cattivi. La macchiettistica
interpretazione che ne deriva è propria di un
fumetto di supereroi, più che di una lettura
marxista della realtà.
Questo punto di vista è coincidente con quello
del “campismo”, posizione secondo cui la
collocazione e l’atteggiamento proprio del
proletariato dev’essere quello di supporto ad
un “campo” statuale antimperialista (che si
contrappone al campo statuale imperialista)
attraverso blocchi politici con le borghesie o
con le burocrazie post-staliniste dei propri
rispettivi stati. Questa posizione, logicamente
conseguente alla teoria staliniana del
“socialismo in un Paese solo”, ha suggellato,
a partire almeno dagli anni Trenta-Quaranta
del secolo scorso, la fine della tradizione
internazionalista del marxismo, ripudiata da
Stalin e dai partiti comunisti stalinizzati nella
loro demolizione controrivoluzionaria teorica
e programmatica della III Internazionale di
Lenin.
Nell’ottica campista successiva, il rifiuto di
analizzare non solo la natura sociale ma anche
quella politica dei vari sistemi ai quali le lotte
anticoloniali e in larga parte antimperialiste
avevano dato luogo, portò a non riconoscere
ciò che essi effettivamente furono e sono
tuttora: regimi bonapartisti (a volte militari)
piccolo-borghesi. Non solo. Il campismo
stalinista condusse ad identificare quei regimi
con Paesi socialisti (ancora oggi Grimaldi parla
ridicolmente di «Jamahiriya socialista»!), e
alla conseguente disastrosa subordinazione
del proletariato alle varie borghesie e ceti
dominanti nazionali e ai loro interessi.
Il copione campista è sempre lo stesso.
Niente di nuovo, quindi, per quanto riguarda
Libia e Siria. Ma Grimaldi va oltre. Non si tratta
più, come nel caso della politica staliniana del
secolo scorso, di appoggio e subordinazione ai
governi nazionali borghesi aventi funzioni
antimperialiste e ruoli progressivi all’interno
dei rispettivi stati. Con la fine della Guerra
Fredda e la scomparsa del potere di
bilanciamento e di “garanzia” dell’URSS,
quel contesto storico-politico che vedeva
un’esposizione globale, diretta
dell’imperialismo al “campo”, appunto,
dell’”Impero del male” è stato soppiantato
dalla presenza residuale, regressiva ed
impotente dei vari orfani -più o meno
"legittimi"- di Breznev. In assenza del “vecchio
campo”, i campisti del XXI secolo si sono
quindi in molti casi trovati al fianco di leaders
che non solo non rappresentano (ormai da
tempo) più niente di progressivo (checché ne
dica il turiferario Grimaldi), ma i cui fattori di
contrasto e di attrito con l’imperialismo si sono
spesso gradualmente ridotti fino a svanire
(riabilitazione occidentale del «creatore della
libertà libica» Gheddafi, miglioramento dei
rapporti tra dinastia siriana e USA a partire
dalla prima guerra del Golfo, ecc.)
Libia, Siria, ma anche - per quanto casi diversi
- Cuba, Venezuela, Serbia, (Iran? Corea del
Nord?) il mitico grimaldello di Grimaldi e dei
campisti è sempre uguale: se l’imperialismo
americano sta (cioè: sembra stare) da una
parte, io sto ORGANICAMENTE dall’altra parte.
Se poi, guardacaso, l’”altra parte”
dovesse essere naturalmente, stabilmente e
organicamente ben affollata e presidiata da
burocrati, bonapartisti, fantocci, despoti,
rottami ammuffiti del post-baathismo,
nazionalisti, falangisti, sionisti, “bulangisti”,
reazionari d’ogni fatta; questo, al nostro,
non desta sorpresa né disturbo (salvo poi
accusare il PCL di andare a braccetto con gli
integralisti islamici siriani e libici). Sembra
importargli molto, invece, che i suddetti
compagni di ventura siano tutti accomunati
dall’essere formidabili massacratori del
proletariato, magari in nome e per conto del…
proletariato!
La negazione accanita dei minimi e più
evidenti elementi di realtà -metodologicamente,
quanto di più staliniano possa esserci- porta
Grimaldi ad escludere in partenza perfino la
possibilità che le masse di alcuni paesi arabi
possano improvvisamente insorgere contro i
propri oppressori. Da questo punto di vista, si
può dire che Grimaldi e soci siano stati
spiazzati dalla potenza della “primavera araba”
quanto e più dei benpesanti borghesi delle
diplomazie occidentali. Vittime prime della
propria frustrazione impotente, non riescono a
farsi una ragione della testa dura dei fatti, come
direbbe Lenin, che fanno piazza pulita di tutti i
loro paradossi e incoerenze.
Ciò che non si spiega con la fallacia logica di un
ragionamento, se così lo si può definire,
fondato sulla paranoia (tratto distintivo dello
stalinismo) può trovare giustificazione
solamente nella più aurea malafede. Dire
ad esempio che il PCL ha «sostenuto
l’annientamento Nato-Al Qaida della libera
Libia» vuol dire falsificare completamente e
sistematicamente la posizione assunta dal PCL
riguardo alla Libia e a tutte le rivoluzioni arabe.
Dev’essere fatalmente l’ormai sempre più
stretta e vergognosa contiguità, nella difesa
di Assad e Gheddafi, con gli ambienti
cosiddetti rossobruni (ambienti nei confronti
dei quali, va riconosciuto, Grimaldi conserva
ancora qualche istintiva repulsione, ma che
sarà forse presto addomesticata) uno degli
effetti più catastrofici di un così
formidabile daltonismo politico unito ad una così
sorprendente disonestà intellettuale.
Grimaldi e i variegati gruppi dei campisti e dei
complottisti non rappresentano, purtroppo,
opinioni minoritarie e “ai margini” della sinistra
che si vorrebbe di classe. Tutt’altro. Il loro
approccio e le loro argomentazioni sono capaci
di far breccia tanto più oggi, in presenza di un
terreno politico in larghissima parte e da
molti decenni bonificato dalla teoria
marxista rivoluzionaria (“formulette astratte e
autoreferenziali”, secondo Grimaldi). E’ per
questo motivo che il presupposto principale
di una VERA militanza antimperialista, e cioè
marxista e rivoluzionaria, non può non
essere la rottura con il campismo e con lo
stalinismo. Anche per evitare di continuare a
prendersela con il solo Grimaldi e di essere
costretti a rispondergli, come Petrolini al
loggionista che lo importunava sguaiatamente:
“Non ce l'ho con te, ma con quello di fianco a te
che non ti butta di sotto”....Sergio Leone ( sez. PCL Roma