venerdì 31 agosto 2012


[Alcune considerazioni su...]


La risposta di Stephanie Kelton a Zezza, Bagnai, Cesaratto.

Pubblico la risposta che l’economista MMT Stephanie Kelton ha dato a Zezza, Bagnai, Cesaratto.
Paolo Barnard c’è stato fin dall’inizio, ha creduto in noi quando altri non volevano. Ha studiato, fatto verifiche, ha sviscerato le teorie MMT. Poi le ha comprese appieno. Nessuno ha fatto di più per promuovere la MMT in Italia di questo uomo, cui noi rimaniamo fedeli."
p.s. lascio i 2 post porcellosi fino a domani, poi li tolgo, francamente non valgono la pena.


[Alcune considerazioni su...]

La conversione dei tre porcellini.

Annuntio Vobis Gaudium Magnum!! I tre porcellini si sono convertiti.
Mi giunge la gaia novella che i professori Sergio Cesaratto (quello che “Questo Mosler si goda i soldi fatti speculando e smetta di speculare sulla buona fede della gente!”), Alberto Bagnai (quello che Kelton, Auerback e soci sono “5 sfigati” e io sono un fascista) e Gennaro Zezza, hanno scritto ai miei economisti americani della MMT, alla Kelton in particolare, con parole suadenti per convincere proprio Mosler, Kelton e Auerback a tenere un seminario di economia eterodossa a Roma… indovinate quando? Ma sì! Proprio a cavallo fra le due conferenze nazionali MMT di Rimini e Cagliari del prossimo ottobre che ho appena annunciato. Che sorprendente coincidenza d’interessi (finanziari, visto che i tre porcellini non cacceranno un soldo per averli qui, ovviamente si va a scrocco di Paolo Barnard. Cesaratto in una mail ha accennato a organizzare dei sandwich per loro…).
Ma non è meraviglioso? Si sono convertiti! Warren Mosler non è più uno che “specula sulla buona fede della gente”, nooo!, è uno stimato collega ora. Riabilitatio riabilitationis miraculis! (oparaculis forse?). La Kelton e Auerback sono stati de-sfigatizzati , gli hanno tolto il malocchio, ora sono stimati colleghi pure loro. Che trionfo della coerenza, della dignità, della sincerità!
Certo che qualcosa non quadra però. Mmmm….. Ma Mr. Alberto “IO L’AVEVO DETTO PRIMA!” Bagnai non aveva scritto che la MMT è riciclaggio di roba già cotta, già detta (DA LUI!), e decotta? Cosa se ne fa ora dei “5 sfigati” cotti detti e decotti? Misterius cripticus!!Ma Mr Sergio “Warren, la mia era una battuta” Cesaratto non aveva scritto che Mosler è “pericoloso”? Cosa se ne fa ora di tutto quel pericolo? Misterius intensificans!! Non è che per caso (paraculatis paraculandis) ora la MMT sta diventando un pelo imprescindibile? E  quindi ora è proprio l’ora di fare il saltello sul carro della MMT in Italia? Mmmmm….. Mmmmm……
Ma nooo! Che vado a pensare. Quali torbidi pensieri osano macchiare questa lieta conversione dei tre porcellini! Annuntio Vobis Gaudium Magnum!! Si sono convertiti, e questo è ciò che conta.
p.s. che poi sia Mosler sia Auerback sia Kelton abbiano una dignità e che dai tre porcellini non ci andranno, è un'altra storia.

Unità dei comunisti e alleanze" Partito Comunista e fronte anticapitalista di resistenza sociale"


Unità dei comunisti e alleanze" Partito Comunista 

e fronte anticapitalista di resistenza sociale"




L’ILLEGALITA’, ANCORA DI SALVEZZA RELATIVA DELLE DEMOCRAZIE OCCIDENTALI e che ne misura il livello, di inciviltà raggiunto.


L’ILLEGALITA’, ANCORA DI SALVEZZA RELATIVA DELLE DEMOCRAZIE OCCIDENTALI e che ne misura il livello, di inciviltà raggiunto.

Se tutti gli automobilisti di Milano rispettassero alla lettera il codice della strada, questa città, già di per se invivibile e caotica, si bloccherebbe all’istante. Può sembrare un assurdo ma è proprio grazie a chi elude e infrange le regole che, oggi, miracolosamente il traffico continua a scorrere, e la casse del comune ad ingrassarsi a dismisura. Lo stesso principio e meccanismo vale anche per l’economia del nostro paese, che se dovesse attenersi a regole ferree e pene certe, imploderebbe in una settimana. Se i cittadini di un qualsiasi paese occidentale poi, in virtù di un risparmio ragionevole e doveroso, si astenessero dal consumare beni effimeri, contraffatti e voluttuari, orientandosi su quelli primari, durevoli e di prima necessità, il Sistema, che oggi ci governa e che ci opprime, si squaglierebbe come neve al sole. Per tutti questi motivi, “la disperazione più grande che possa impadronirsi di una società, è il dubbio che vivere onestamente sia inutile. Una tale disperazione, avvolge questo paese da molto tempo.”  C.A.

Sentire dunque ancora parlare di ricerca, di crescita, di sviluppo e delle semplificazioni relative al fare impresa, come le inderogabili soluzioni alla crisi, è come rendere libera la pesca, epurando il suo regolamento da, licenze, normative e divieti, ben sapendo che di pesci nel mare, non ce ne sono più.
Siamo paralizzati dai problemi più stupidi perché non ne conosciamo le stupide soluzioni; siano essi pratici o psicologici. Questo ci costringe ad essere dipendenti da terzi, rinunciando a quella autonomia che é presupposto di libertà e felicità. La capacità di sapere risolvere tali incombenze, produce autostima e ci libera dal dubbio e dalla paura, per produrre certezze e quindi, consapevolezza e felicità.
Il sempre più ricorrente e gettonato leit motive del “tutto è relativo”, non è che il riassunto delle infinite attenuanti, addotte a discolpa della nostra incapacità di agire in modo pragmatico e di una inettitudine fisica e morale dentro la quale (in maniera infantile e ipocrita), ci rifugiamo. Relativa, è quella parte della verità che non conosciamo, essendo noi, privi di ogni capacità critica, personalismo e slancio rivoluzionario. Ci atteniamo alle indicazioni di un libretto di istruzione che, il Sistema, ci da in dote al momento della nostra venuta al mondo. La consapevolezza dei nostri reali bisogni e la competenza nel trovare le giuste soluzioni ai nostri problemi, è quel meccanismo che ci rende uomini a tutti gli effetti, in grado di mantenere gli impegni presi, sia con gli altri che con noi stessi. Relativizzare la verità, è una pratica che porta all’autodistruzione e ci confina in un limbo gelatinoso di paranoia, frustrazione e solitudine. Per tanto, prima di pensare, dobbiamo agire essendo la pratica il solo strumento idoneo per affinare il pensiero positivo. Tutto il resto non è che inconcludente introspezione, disagio psichico e infelicità.
Solo il lavoro della terra e la tradizione, possono soddisfare i bisogni dell’uomo - vino, folclore, sogni e magia, le passioni. Oggi, la totale omologazione delle azioni, dei pensieri e dei comportamenti, ha eluso qualsiasi forma di confronto e di scambio, svuotando l’uomo del suo spirito divino e quindi, della morale e dell’etica. L’intraprendenza emotiva e primordiale dell’individuo “mobile” del passato, motore di cultura e di magia, è stata cancellata per sempre dallo strapotere dell’ignoranza e della menzogna imperante. Alle emozioni si sono sostituiti i numeri, e alle atmosfere, le immagini. L’uomo “immobile” del nostro tempo, defraudato di ogni reale parametro, sociale, religioso e politico, cerca, nell’introspezione, la fuga e la soluzione al suo cronico disagio esistenziale, acuendolo ulteriormente. Un tale e così insopportabile dolore, costringe l’individuo, a dovere decidere tra due sole possibilità;
a) Accettare integralmente il Sistema, le sue logiche e il suo fine, diventandone parte attiva e produttiva. In questo modo, la vittima, cerca e trova consolazione fra le braccia del suo carnefice che, in cambio, pretende ed ottiene la sua totale sottomissione.
b) Il suicidio.

Gianni Tirelli

Non riesce ad affrontare la crisi: la politica si suicida


Non riesce ad affrontare la crisi: la politica si suicida

DI GIANNI RALLO
6-monti mario
E’ troppo forte il sospetto, sempre meno sospetto e sempre più indignata constatazione, che la politica, in nome di drammatici stravolgimenti nei rapporti sociali a favore dei potenti, abbia ceduto il posto al killeraggio tecnico
La verità è limpidamente venuta fuori al Lingotto di Torino, è toccato a Marchionne svelarla a un’Italia sofferente e delusa: la colpa della crisi è dei diritti dei lavoratori.
Non si riesce a creare lavoro perché lo Stato sociale (o Welfare State che dir si voglia) protegge troppo i lavoratori.
Paradossalmente, dice. E loda Monti perché sta intervenendo proprio in questa direzione, quella giusta.
Una assoluta perla concettuale va citata: “Per avere bisogna dare”. Da che pulpito! Che importa se il 10% per cento degli italiani detiene il 44% della ricchezza nazionale, se gli imprenditori denunciano un reddito inferiore ai loro dipendenti, se la lotta all’evasione è, quindi, solo di facciata, se chi ha uno yacht può evitare di pagare le relative tasse grazie ad opportune modifiche (non a caso ribattezzate “salva-yacht”) al decreto liberalizzazioni, se elettricità, gas e benzina aumentano a dismisura senza che il governo batta ciglio, se i suicidi sono in rapido aumento, se la vendita di auto crolla del 40%?
E le 12 mila imprese che hano chiuso i battenti nel 2011?
Che importa tutto ciò?
La colpa è chiaramente dei lavoratori e lì occorre fermamente intervenire: il democraticissimo Monti è disposto, rispetto alla “riforma” del mercato del lavoro, al dialogo ma solo se si fa come dice lui.
La Fornero si sente, dal canto suo, in dovere di aggiungere qualche opportuna delucidazione: non di diritto a licenziare si tratta ma della possibilità di riformulare l’entità delle risorse umane impiegate in base alle nuove condizioni di mercato….
Spettacolare fuoco d’artificio linguistico per dire, come volevasi dimostrare, “licenziare”. La forma è salva, il didietro dei lavoratori meno.
Ma dopo la satira amara è opportuno sviluppare qualche considerazione più articolata e profonda.
Cominciamo dalla fine della Seconda Guerra mondiale. Lo stato di grave depressione economica di Europa (compresa quella dell’Est) e Giappone, il pericolo concreto che l’ideologia comunista riuscisse ad infiltrarsi in questo malessere, spinse gli Stati Uniti ad elaborare, alla fine della guerra, un piano economico che consentisse concretamente ai Paesi in difficoltà di riprendersi e tornare ad essere partner commerciali interessanti; che, nel contempo, desse una spinta all’economia Usa; che, soprattutto, permettesse agli Stati Uniti di affermare il proprio definitivo dominio, economico e ideologico, sul mondo occidentale (Europa e Giappone). Si tratta del Piano Marshall che doveva in 4 anni (1948-1952) investire 17 miliardi di dollari a favore di 16 Paesi (i Paesi dell’Est declinarono l’offerta intuendo il vero scopo dell’operazione).
Da quel momento in poi gli Stati Uniti si presentarono come modello economico e ideologico definitivo: il liberismo da una parte (il mercato come sommo dio a cui tutto deve piegarsi) e la democrazia dall’altra (si veda, a questo proposito, l’illuminante ultimo numero di Limes, in edicola in questi giorni, dove si spiega che quel tipo di democrazia è funzionale al capitale, i valori che difende sono cioè validi non in sé, ma solo fintantoché portano profitto).
L’intervento Usa ebbe l’effetto di stimolare uno straordinario rilancio delle economie occidentali, tanto da far parlare di Trent’anni gloriosi (1945-1975).
Nel corso di questo periodo di crescita (efficacemente rappresentato, per quanto riguarda l’Italia, dal film Il boom con Alberto Sordi) portata avanti nel nome, appunto, del liberismo gli squilibri sociali risultarono particolarmente accentuati, le ingiustizie palesi e pericolose dal punto di vista della sicurezza sociale (scioperi, proteste, etc.), i sindacati alzarono la voce.
Gli Stati europei decisero di riprendere le indicazioni dell’economista americano John Maynard Keynes che, negli anni Trenta, aveva già individuato la necessità di un intervento dello Stato nell’economia per porre rimedio alle ingiustizie create dal libero mercato, il Welfare State, appunto.
Fu così che si stanziarono risorse per l’assistenza sanitaria, le pensioni, l’istruzione, l’assistenza ai disoccupati, etc.
Ma all’inizio degli anni Settanta una serie di accidenti economici mise in difficoltà i Paesi occidentali (di Cina ancora non si parlava, di India nemmeno): le politiche militari ed economiche americane avevano creato una forte inflazione che, attraverso l’emissione e la messa in circolazione di nuovi dollari, fu esportata fuori dagli Usa (ricordate gli eurodollari?); le crisi petrolifere, legate alle guerre israelo-palestinesi, avevano fatto crescere a dismisura il prezzo del petrolio; i Paesi emergenti di allora (Brasile, Corea, Hong Kong, Singapore, Taiwan, Jugoslavia, Grecia, Spagna) mettevano in crisi l’Occidente con il basso costo della loro manodopera.
E’ negli anni Ottanta che inizia una lunga ripresa. Le imprese avevano reagito alla crisi sia con l’introduzione delle nuove tecnologie in fase produttiva, sia con nuovi prodotti elettronici.
Ma restava da risolvere il fatto che il minore impiego di manodopera generica e la maggiore necessità di manodopera specializzata si scontrava, da una parte, con la difficoltà di licenziare, dall’altra, con il maggior costo della forza-lavoro.
Fu così che si mise mano ad una rimodulazione (già allora!) dello Stato sociale, nel senso di una riduzione dei servizi ai cittadini e di una maggiore attenzione all’iniziativa privata, ma anche a politiche deflazionistiche, cioè di minor circolazione del denaro, cosa che, riducendo i finanziamenti alle imprese, provocò un ulteriore aumento della disoccupazione (34 milioni di disoccupati nel 1993) e un ampliamento del divario tra ricchi e poveri a livello mondiale.
Ora, senza voler andare oltre con la ricostruzione storica di un fenomeno che, come si vede non è occasionale né estraneo al sistema capitalistico, vale la pena di ricordare che appartiene al clima di rimonta degli egoismi capitalistici di quegli anni l’inizio degli interventi americani nel Golfo Persico (le due Guerre del Golfo), appartiene a quegli anni, per l’Italia, l’entrata in politica di Berlusconi (e dovrebbe essere chiaro,ora, come dietro al becerume delle sue espressioni vi fosse la sfrenata messa in discussione di importanti conquiste sindacali, art. 18 compreso), l’apertura dei mercati mondiali con l’imposizione della globalizzazione ad opera degli Stati Uniti e delle organizzazioni internazionali come la Banca mondiale e il Fmi (entrambi sotto il controllo Usa, si badi bene), la conseguente massiccia delocalizzazione delle imprese alla ricerca del massimo profitto possibile, la nascita dell’Europa delle banche.
La ripresa venne pagata dai soliti noti e ci fu un altro periodo di crescita che vide, però, il prevalere della finanza (cioè dell’egoismo allo stato puro) sull’economia reale e l’emergere di potenze temibili come la Cina e l’India le quali, assolutamente impermeabili a qualunque discorso sui diritti umani (altro aspetto del puro egoismo che caratterizza l’economia basata sul solo mercato), riuscirono in breve ad imporre i loro prodotti a prezzi insostenibili per le economie occidentali che, anzi, se ne videro sommersi.
Dopo una inutile campagna di sensibilizzazione al rispetto dei diritti umani rivolta a quei Paesi, dopo lo scoppio, nel 2008, della bolla finanziaria (sempre a partire dagli Stati Uniti), parte del mondo occidentale si trovò costretto a seguire il modello orientale: incidere sul costo del lavoro comprimendo i salari.
E’ il caso italiano e spagnolo. Altri Paesi hanno puntato sugli investimenti in ricerca e tecnologia (Germania), gli Stati Uniti potrebbero contrastare l’avanzata economica cinese grazie al minor costo dell’energia permesso dai gas naturali dei quali si trova ricca. Altri Stati, come quelli nord europei, proseguono, seppure con fatica, nel tentativo di conciliare mercato e diritti umani.
Questo per dire che la via per uscire dalla cosiddetta crisi – sbandierata in modo appassionato e sospetto ogni volta che si vogliono raggiungere risultati deleteri per i diritti del lavoro (vedi le recenti uscite di Passera e della Marcegaglia sulla necessità di portare velocemente a casa la “riforma” del lavoro, per non parlare della Foriero, tra una lacrimuccia e l’altra, che non ci dorme la notte) – non è una sola e non passa unicamente per i sacrifici imposti sempre e indiscriminatamente ai più deboli, mentre le cosiddette caste vedono assolutamente salvaguardati i propri scandalosi privilegi.
Questa scelta è una delle tante possibili ed è frutto di un precisa indirizzo politico, quello della destra liberista.
Vorrei, al proposito, fare qualche domanda al professor Monti, se fosse possibile: il suo governo tecnico, che lei immagina godere di largo consenso (di chi, se non è stato eletto dai cittadini?
O si riferisce a quel Parlamento che, a partire dal suo ridanciano predecessore, non solo non è stato capace né di individuare né di risolvere le difficoltà ma ha operato esclusivamente a favore di quegli interessi non proprio generali che ora non vuole mollare a nessun costo e rispetto al quale lei, mi scusi, pare particolarmente ossequioso?), il suo governo tecnico, dicevo, afferma di non potersi, proprio perché tecnico, occupare di questioni politiche come la giustizia e la Rai: ma può occuparsi di cambiare, in peggio, il presente e il futuro di milioni di lavoratori giovani e non più giovani?
Non è una scelta squisitamente politica questa, quella di privilegiare – sempre, ancora e ancora, maledizione – i potenti e i già ricchi a discapito di tutti gli altri?
Possibile che l’obbedienza ai mercati, cioè all’espressione più pura, ripetiamolo, dell’egoismo umano, vi renda ciechi al punto da non vedere il danno irreparabile che milioni di persone, vive ora e qui, stanno subendo e subiranno.
E’ illecito il sospetto che il Professore stia compiendo meglio, molto meglio, lo sporco lavoro di demolizione dello Stato sociale che il Caimano non è riuscito, per eccessiva ingordigia, a fare?
Davvero la colpa è dei diritti del lavoro e non dei pirati della finanza che speculano incuranti di disastri per i quali saranno altri a pagare?
Professore, lei dice che l’Italia si sta proponendo come modello all’Europa, vediamolo questo modello: maggiore precarietà del lavoro (cioè povertà istituzionalizzata), ammortizzatori sociali ridotti (cioè abbandono della marea, già ampiamente prevista, di licenziati al loro destino), pensionamento alle calende greche (cioè meno lavoro per i giovani e redditi più bassi e più tardi per i vecchi); ma anche una casta politica che non ha visto nemmeno scalfiti i propri privilegi ma anzi condiziona le sue scelte perché vadano in un’altra direzione, osceni stipendi d’oro (una decina di persone si portano a casa quasi 100 milioni di euro l’anno) e sprechi di cui non conosciamo neppure l’entità, servizi sociali e qualità della vita alla deriva, democrazia sospesa giacché un pool di tecnici decide sul destino di un popolo sempre più insofferente e disperato, liberismo selvaggio in piena azione e senza freni….
E’ questo il modello al quale l’Europa vuole adeguarsi?
Davvero pensa che la gente starà a guardare fino in fondo l’esito di questo sottile gioco al massacro?
Non siamo pedine per i suoi giochi economici, professore, non faccia, la prego, come i medici del Seicento che, ottusamente fiduciosi in strampalate regole della medicina, ammazzavano i loro pazienti nel massimo rispetto delle regole e colla massima serenità professionale.


1 commento:

  1. Non voglio essere massacrata , non voglio vedere il massacro.....non voglio.....


DAL FRONTE SARDO


Perché non sto dalla parte dei minatori

Il nuraghe di Seruci
Cosa c’entrano i minatori con la lingua e la cultura
della Sardegna?
Leggetevi il magnfico intervento di Emiliano Deiana
su FB:
” L’anno scorso era l’anno del “siamo tutti pastori”.
La fine del 2012 si annuncia come l’anno del “siamo 
tutti minatori”. 
Basterebbe certificare che la condizione del mondo 
agro-pastorale 
è la medesima di sempre e, senza essere nè voler 
essere 
particolarmente profetici, la condizione dell’impresa 
mineraria sarà 
quella che si trascina da vent’anni per dire che non
 mi iscrivo a 
queste banalità.
Nonostante il Presidente e i ventriloqui locali del 
Quirinale.
Sono stati vent’anni nei quali un’intera classe politica,
 lo dico senza 
avere nessuna tendenza grillesca – di destra, di centro, 
di sinistra e
 sindacale – ha costruito le proprie fortune e i propri 
soggiorni nelle
 stanze del potere.
Il dato, prima ancora che le considerazioni sui 
minatori e sulle 
miniere, è questo.
Sulle disperazioni riconosciute e riconoscibili si sono
 costruite 
carriere inossidabili e posizioni inattaccabili all’interno
 di un
 complesso – ma anche facilissimo da ri-conoscere – 
sistema di 
sospensione democratica.
Perchè sapete, non è credibile che chi da venti e più 
anni fa analisi,
 gestisce situazioni, tratta coi governi nazionali e 
gestisce quelli 
regionali e locali non l’abbia saputo riconoscere l’assurdo
 che si 
è costruito in Sardegna in questi decenni.
Questa roba della Carbosulcis, a conoscerla, diventa il 
paradigma
 del sottosviluppo della Sardegna.
La semplifico di molto perchè in rete trovate dati, 
considerazioni 
e ricerche.
La Regione detiene il 100% della Carbosulcis. 
Dal 1996 ad oggi ha 
speso – abbiamo speso – circa 600 milioni di euro 
per mantenere 
in vita un’azienda che nel 2011 ha avuto una perdita 
di 25/26 
milioni di euro. La Regione aveva stanziato 35 milioni, 
dalla vendita 
del carbone se ne sono introitati 9 milioni soltanto.
Ma a chi si vende questo carbone? Alla centrale Enel 
di Portovesme 
che però funziona al 30% della propria capacità produttiva.
Ma il carbone prodotto a Nuraxi Figus ha caratteristiche 
così 
mirabolanti da essere preferito a tutti gli altri tipi di
 carbone? 
Affatto. Il carbone prodotto nel Sulcis ha un contenuto
 di zolfo 
di molto superiore alla media (6,5% rispetto alla media 
dello 0,5%). 
Cosa significa? Che il carbone sulcitano va miscelato 
con altri tipi 
di carbone per evitare fenomeni di autocombustione.
 Il carbone 
del Sulcis non solo è qualitativamente peggiore ma 
costa pure di più.
Basterebbe questo per definire l’avventura carbonifera 
regionale 
fallimentare e fa specie che la pubblica opinione – 
scarsamente
 informata da una stampa in servizio soporifero 
permanente – queste
 cose le ignori.
Basterebbe se non fossimo in Sardegna. Ma in Sardegna, 
siamo.
Ed allora, certificato questo fallimento, si vorrebbero 
investire 1,6 
miliardi di euro TREMILA-MILIARDI-DI-LIRE di soldi
 pubblici per 
realizzare – non si sa da chi nè come – una nuova 
tecnologia che 
consenta di utilizzare il carbone prodotto a Nuraxi 
Figus, Texas.
Se avessimo una classe politica degna di questo nome 
si direbbe: 
scusate, abbiamo sbagliato, ce ne stiamo andando a 
casa tutti, 
perdonateci se potete.
Chi fosse restato – ma siamo nell’ambito puro 
dell’irrealizzabilità – 
avrebbe avuto l’onere, dettato dall’onestà intellettuale, 
di dire che
 in sardegna carbone non se ne estrarrà mai più. 
Ed avrebbe l’onere,
 certo più esaltante, di immaginare e realizzare un 
futuro diverso 
per quei lavoratori.
Intervento pubblico per intervento pubblico preferirei - 
restando 
nel terreno minato dell’emergenza – che quei lavoratori 
e quei 35 
milioni di euro annui di soldi pubblici se ne andassero 
a pulire 
tutte le cunette della Sardegna.
Per fare un esempio molto banale.
O a piantare alberi o realizzare fasce antincendio 
e parafuoco. 
Almeno i risultati sarebbero pubblici.
Adesso, non è il momento della proposta, ma della 
conoscenza 
e della protesta.
Perchè dire queste semplici ragioni di verità significa 
davvero
Stare di fianco a quei minatori, ma non un affiancamento 
di maniera, 
alla Napolitano. Ma una vicinanza che serve la verità 
ed impone alla
 politica di immaginare e realizzare un diverso metodo 
di sviluppo.
Perchè sapete – a meno che non mi sia sfuggita la 
cosa – non è 
perchè estraiamo minerale sulcitano e lo bruciamo 
in Sardegna 
la nostra bolletta è più leggera e non, invece, il solito 
alasso 
bimestrale.
Perchè se ci fosse un vantaggio “pubblico” forse ci 
avremmo potuto
 pensare.
Invece la bolletta, per ritardi decennali e imposizioni 
neocoloniali, 
la paghiamo il 30/40% più salata rispetto al Continente.
E qui si innesta l’ultima considerazione non certo 
tecnico-tattica, 
ma politica.
La vicenda delle miniere – non dei minatori ai quali 
dedicherò la 
conclusione – si innesta in una politica di sostanziale 
sottosviluppo 
della Sardegna. Una politica – locale e nazionale – 
che ha ritagliato 
per la nostra terra il posto per il saccheggio nazionale. 
Di risorse pubbliche, di beni pubblici, di proprietà pubbliche.
E questo saccheggio ha determinato il permanere in una 
condizione di sostanziale sottosviluppo della nostra isola.
Il paradigma “sociale” del sottosviluppo è dato, senza 
dubbio, dalla condizione dei trasporti in Sardegna.
Perchè ogni sardo, prima o poi, per una malattia, un lutto, 
una carcerazione di un parente o la mai arrestata 
migrazione una nave la prende. E viaggiare nei carri 
bestiame, a tariffe folli, dei potentati marittimi racconta 
più e meglio della miniera la condizione di sottosviluppo
 della nostra terra.
La mia paura e non ho nessuna paura ad esplicitarla 
è la seguente.
I trentacinque milioni diventeranno, dopo estenuanti 
trattative e 
commistioni fra politica e sindacato, quaranta o c
inquanta per 
certificare un fallimento che solo i ciechi non possono 
vedere.
Il carbone ad alto contenuto di zolfo si continuerò ad 
estrarlo per 
qualche anno ancora di modo che ai prossimi 
appuntamenti 
elettorali quei lavoratori disperati saranno merce di 
scambio della 
politica, voti da riconsegnare al potente di turno che 
nulla ha fatto 
per risolvere il problema, ma di tutto fa per mantenere 
vivo 
il bubbone.
Per il lavoro non si venda la dignità e la libertà. 
La lotta deve essere 
per un cambio di strategia nelle politiche pubbliche 
nel Sulcis. 
Politiche che mettano davvero al centro il lavoratore 
e non l’elettore 
che è dentro ogni minatore.
Perchè la storia di questa terra è la storia di un’immensa 
commistione fra detentori di poteri pubblici e sudditi 
ed è, 
purtroppo, la storia di una politica senza idee, di una 
società civile 
inesistente, di un sindacato che si accontenta di 
mangiare 
dal trugolo.
Poi ci sono loro, dentro i pozzi.
E spero con tutta la forza che ho che riescano a
 maturare una 
coscienza collettiva che li allontani dai predatori di 
oggi e di domani.
Che poi sono gli stessi di ieri. “
I minatori di Nuraxi Figus stanno conducendo una
 lotta che non è
soltanto persa in partenza, ma anche e soprattutto
sbagliata.
Sbagliatissima negli obiettivi e ancora più sbagliata
nei modi.
I minatori di Nuraxi Figus ci stanno ricattando
 emotivamente:
hanno centinaia di chili di esplosivo con sé e dicono
“Est s’ora de sa bruvura!”
Ieri un sindacalista della UIL si è tagliato un polso
 davanti
 alle telecamere (Il gesto estremo del sindacalista: 
si taglia il
 polso per protestare contro l’ipotesi di uno stop 
all’attività 
di Elvira Serra).
Non si capisce bene da dove provenga tutto questo
 interesse,
ma i minatori (o chi per loro) sono riusciti a mobilitare
 l’interesse
dei media internazionali: ho visto un servizio perfino
 su CNN
 e francamente non riesco a credere che agli Americani
gliene
 importi qualcosa di 400 minatori sardi.
Sono riusciti a incassare perfino la solidarietà generica
 e ipocrita
di Napolitano e, a quanto sembra, sono riusciti a
ottenere il rinvio
 di una sentenza comunque inevitabile: Sulcis, governo:
 «Chiusura?
 Forse no» Napolitano: sono vicino ai minatori
DECIDE LA SARDEGNA – De Vincenti ha precisato
che tocca alla
Regione, proprietaria al 100% della Carbosulcis,
deciderne la
chiusura, ma che per il governo Monti «sono possibili
soluzioni
alternative. Ci aspettiamo che la Regione venga con
 una proposta
 più realistica. È la Regione che deve chiarire».”
Quale può essere la proposta più realistica per l’utilizzo
di un
carbone, anzi LIGNITE, di pessima qualità (“Zolfo con
 un basso
 tenore di carbonio” lo definivano quando io studiavo
all’ITI per
 periti chimici di Cagliari).
La proposta attuale è di investire oltre un milione di
 euro per
ognuno dei 1500 posti di lavoro che si creerebbero.
Investimenti che dovrebbero effettuare la RAS e il
Governo italiano.
Soldi nostri.
Cosa direste se io andassi in Piazza Sella, a Iglesias,
e mi puntassi
una pistola alla tempia, urlando che se non mi date
un milione di
euro mi sparo?
Ma come? Non mi dareste il milione e chiamereste
 l’ambulanza?
E Napolitano mi darebbe la sua solidarietà?
E la CNN verrebbe a filmarmi?
In ogni caso sono sicuro che Mauretto Pili non verrebbe
 a farsi
fotografare con me: lo sanno tutti che io non voterei
mai per lui!
I minatori di Nuraxi Figus vogliono che noi paghiamo
 un miliardo
 e mezzo di euro per garantire loro il posto di lavoro.
I minatori di Nuraxi Figus sono dipendenti 
dall’assistenzialismo
 e vanno curati, come dovrei essere curato io se
andassi in Piazza
Sella, con la pistola alla tempia, e pretendessi un
milione di euro.
I minatori di Nuraxi Figus non vogliono e non sanno
 uscire dalla
 logica suicida–ma anche criminale–che ha portato
al disastro che
 vediamo oggi in Sardegna: effettuare investimenti
 enormi in settori
non concorrenziali e fondamentalmente estranei alla
 cultura e al
territorio della Sardegna–rubando e sperperando risorse
che
porterebbero allo sviluppo di altri settori–in cambio di
poche
centinaia di posti di lavoro.
Posti di lavoro–io sono di Iglesias–distribuiti in modo
clientelare.
I minatori di Nuraxi Figus  esigono che risorse economiche
fondamentali vengano dirottate da quei settori
(turismo intelligente,
 agricoltura di qualità, trasporti) che hanno un futuro
 e
garantirebbero un numero molto più alto di posti
di lavoro.
Paradossalmente, sarebbe più conveniente regalare
 quel
miliardo e mezzo agli abitanti del Sulcis, ma con
l’obbligo di
spenderlo in loco.
Se dovesse andare avanti il progetto della gassificazione
 della
 LIGNITE e di stoccaggio sotterraneo della CO2,
 la maggior parte
 di quel mare di quattrini finirebbe alle imprese
NON SARDE che
 realizzerebbero gli impianti.
Ammesso che qualcuno voglia vivere sopra un
 serbatoio di CO2,
 necessariamente, ad alta pressione: chi conosce
il Sulcis sa
benissimo che dal punto di vista ambientale lì,
tutto quello che
poteva andare storto è andato storto. E sullo stoccaggio
 della
CO2, leggetevi quest’articolo: l gemello malefico 
del fracking. 
Cosa ruota attorno alla miniera di Nuraxi Figus
 | Blogeko.it
I soldi finirebbero immediatamente fuori dalla Sardegna.
Al Sulcis rimarrebbero 1.500 posti di lavoro pagati un
 milione di
euro l’uno con soldi sottratti ad altri investimenti più
vantaggiosi
e che mai, comunque, potrebbero essere garantiti, visto
che il
mondo va nella direzione di eliminare i combustibili
 fossili e che
 il carbone del Sulcis rimane una LIGNITE di scarso pregio e perfino
 più cara dell’ANTRACITE cinese.
Cosa c’entrano la lingua e la cultura?
I minatori di Nuraxi Figus stanno dimostrando per
intero la loro
incapacità culturale di concepire uno “sviluppo”
differente da quello
che il colonialismo italiano ha imposto alla zona:
sfruttamento
coloniale delle risorse e successivo abbandono della
 zona,
lasciando agli indigeni il disastro sociale e ambientale.
Ragionano completamente all’interno delle logiche
colonialiste
e non riescono a concepire uno sviluppo della Sardegna
 basato
 sulle risorse umane, ambientali e culturali già esistenti.
E come potrebbero, visto che la scuola, i media e
i politici non
fanno altro che insegnare il disprezzo per tutto ciò
che è sardo?
Lo “sviluppo” è solo quello che viene da “fuori”.
Lo “sviluppo”
è solo quello dell’industria pesante, finanziata
con i soldi dei
contribuenti.
Lo “sviluppo” che produce sottosviluppo: nell’immediato
sottraendo
 risorse preziosissime ad altri settori e nel lungo termine
distruggendo l’ambiente naturale e sociale.
Quanti abitanti di Portoscuso lavorano nelle industrie
dell’alluminio
e a Nuraxi Figus?
E quanti abitanti di Portoscuso lavorerebbero nel turismo
 se la
 presenza di quelle industrie non avesse distrutto il suo
 grande
potenziale nel settore?
Siete mai stati a Portoscuso quando  lo scirocco porta
sul paese
 i fumi della LIGNITE  bruciata nella centrale di Portovesme?
I minatori disperati di Nuraxi Figus sono appunto il sintomo
del
disastro sociale in cui le miniere e le industrie slegate dal
territorio
 hanno lasciato il Sulcis.
I minatori disperati di Nuraxi Figus vanno aiutati ad
accettare la
 realtà, non sostenuti nella loro lotta folle per continuare in
un’attività non sostenibile.
Oltretutto, a chi servirebbe l’elettricità prodotta con la
 LIGNITE?
La Sardegna, con l’eolico e con il fotovoltaico ne produce
 già più di
quella che le occorre.
Dovremmo sborsare un miliardo e mezzo di euro per produrre
 energia per gli altri?

giovedì 30 agosto 2012

ECCO !!! COSI' SI FA !!!! GRAZIE NAPOLITANO ...grazie...grazie....grazie....


Sulcis:'Grazie Presidente' Governo, sì ad alternative

'Riconversione sia economicamente sostenibile' Nuova protesta, altri due si barricano a -400

30 agosto, 16:12
Minatori nei cunicoli della Carbonsulcis
Minatori nei cunicoli della Carbonsulcis
Sulcis:'Grazie Presidente' Governo, sì ad alternative
Un ''grazie di cuore" al presidente della Repubblica dai minatori del Sulcis che hanno scritto una lettera a Napolitano dopo le sue parole di solidarietà di ieri. "I minatori Carbosulcis e le loro famiglie, confortati e raggiunti dal Suo sensibile interessamento verso questa causa che coinvolge l'intero territorio del Popolo sardo, in un momento di grande scoramento e disperazione, si esprimono unitariamente nel più sentito e profondo ringraziamento"dice la lettera.
"A Lei - continua la lettera- rivolgiamo un sentito appello affinché venga perseguita l'unica soluzione possibile con l'attuazione del decreto del Presidente della Repubblica del 28 gennaio 1994, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.56 del 9/3/94, che sancisce il finanziamento e la realizzazione del sistema integrato Miniera-Centrale. In fiduciosa attesa - concludono i minatori della Carbosulcis - tutti noi Le rivogliamo un grazie di cuore per quanto farà".
si apre uno spiraglio anche sul fronte politico dopo che il sottosegretario allo Sviluppo economico Claudio De Vincenti a Radio anch'io, a proposito della miniera della Carbosulcis, ha detto che "non sta scritto da nessuna parte che la miniera debba chiudere il 31 dicembre, noi pensiamo che si possano trovare soluzioni". Il sottosegretario De Vincenti ha poi precisato che la miniera della Carbosulcis è al 100% della Regione Sardegna e che quindi è la regione che deve deciderne la chiusura, ma che per il governo sono possibili soluzioni alternative'. tecnica" per il quale c'é bisogno di "un significativo contributo politico".
II progetti di riconversione della miniera del Sulcis - ha proseguito il sottosegretario - devono essere "economicamente sostenibili". Non è sostenibile l'ipotesi di riconversione presentata dalla Regione Sardegna (proprietaria della miniera) "con costi per gli italiani di 250 milioni" l'anno. Domani, ha detto, la regione dovrà chiarire le sue intenzioni, ma "il futuro del Sulcis passa per attività economiche che sappiano stare sul mercato".
Intanto si è giunti alla quarta notte nei pozzi occupati a 373 metri di profondità e nuova giornata di protesta per i minatori della Carbosulcis asserragliati da domenica notte nella miniera di carbone a Nuraxi Figus, nel Comune di Gonnesa (Carbonia Iglesias). Tra i lavoratori c'é forte preoccupazione in vista del vertice di domani a Roma, ma anche tanta determinazione nel proseguire l'azione di lotta. "Noi chiediamo di avere risposte su cosa devono fare - spiega Sandro Mereu, della Rsu Cgil - e chiediamo che al tavolo tecnico ci sia anche il sindacatò. Intanto si estende anche fuori dalla miniera la mobilitazione in sostegno della vertenza Carbosulcis. Questa mattina sono comparsi due cumuli di carbone vicino ai Municipi di Carbonia e e di Gonnesa. "L'amministrazione di Carbonia sostiene la vertenza - afferma Giuseppe Casti, sindaco di Carbonia - e i lavoratori della Carbosulcis". Dello stesso avviso anche il sindaco di Gonnesa Pietro Cocco: "Il nostro Comune sostiene la vertenza, la miniera è nel Comune di Gonnesà. Alla miniera di Nuraxi Figus, intanto, è giunta questa mattina una delegazione di lavoratori dell'ex Rockwool di Iglesias, protagonisti anche loro nel recente passato di azioni di lotta con varie occupazioni.
Una nuova azione di protesta è stata messa in atto nella miniera: due minatori sono scesi a 400 metri di profondità, barricandosi nel pozzo. Tutti gli altri colleghi, asserragliati a -373 metri, hanno invitato le altre persone presenti (tra i quali alcuni giornalisti) a ritornare a terra e hanno avviato le procedure d'emergenza chiamando anche l'ambulanza nel caso di eventuale malori dei manifestanti. Sale, dunque, la tensione nella miniera di Nuraxi Figus, a Gonnesa, occupata da domenica notte, alla vigilia del vertice in programma domani alle 10 a Roma, nella sede del Ministero dello Sviluppo economico, dove si parlerà anche di Alcoa. Dopo il gesto autolesionistico di un delegato Rsu Uil, che ieri si era ferito al polso con un coltello, oggi due minatori, con un'azione improvvisa, sono scesi ad un fermata del pozzo ancora più profonda, a meno 400, barricandosi dentro. Gli altri colleghi, asserragliati da quattro giorni a -373 metri, preoccupati per le sorti dei due manifestanti, hanno avviato le procedure d'emergenza e sono state fatte scende anche due barelle in caso di un eventuale soccorso.
Sulla vicenda del carbone del Sulcis è interventuto anche il vicepresidente di Assocarboni Rinaldo Sorgenti, secondo cui "E' verissimo che il carbone del Sulcis è noto per essere un carbone con un alto contenuto di zolfo, però quello che conta oggi sono le moderne tecnologie che permettono oggi di poter utilizzare convenientemente quel carbone senza i problemi che nel passato evidentemente creava questa situazione".
Sorgenti ha poi affermato che sarebbe meglio se si "si conoscesse e si divulgasse di più quello che è il progetto integrato del Sulcis che da alcuni anni è in itinere e che è stato portato anche all'attenzione dell'Unione Europea,che sta attentamente esaminando la cosa si potrebbe realizzare nel Sulcis (l'unica area in Italia dove la demagogia non porta a discriminare e criminalizzare il carbone) un progetto che è veramente virtuoso e di valenza mondiale. Perché permetterebbe di rilanciare l'estrazione del carbone fino a un potenziale di circa un milione e mezzo di tonnellate, che renderebbe a quel punto economica l'attività e costruire a bocca di miniera una moderna centrale a carbone con la tecnologia adattissima a trattare combustibili ad alto contenuto di zolfo". E infine il vicepresidente di Assocarboni Rinaldo Sorgenti a Radio 24 conclude a replica di quanto sostenuto dall'Enel sul carbone del Sulcis: "Quello che dice l'Enel è corretto, il problema è la tecnologia. Al Sulcis, l'Enel dispone di un modernissimo impianto a letto fluido, e quindi può permettersi di bruciare questo carbone diluito con carbone di importazione, in modo tale da renderlo compatibile con la tecnologia di quell'impianto".