Il nuraghe di Seruci
Cosa c’entrano i minatori con la lingua e la cultura
della Sardegna?
Leggetevi il magnfico intervento di Emiliano Deiana
su FB:
” L’anno scorso era l’anno del “siamo tutti pastori”.
La fine del 2012 si annuncia come l’anno del “siamo
tutti minatori”.
Basterebbe certificare che la condizione del mondo
agro-pastorale
è la medesima di sempre e, senza essere nè voler
essere
particolarmente profetici, la condizione dell’impresa
mineraria sarà
quella che si trascina da vent’anni per dire che non
mi iscrivo a
queste banalità.
Nonostante il Presidente e i ventriloqui locali del
Quirinale.
Sono stati vent’anni nei quali un’intera classe politica,
lo dico senza
avere nessuna tendenza grillesca – di destra, di centro,
di sinistra e
sindacale – ha costruito le proprie fortune e i propri
soggiorni nelle
stanze del potere.
Il dato, prima ancora che le considerazioni sui
minatori e sulle
miniere, è questo.
Sulle disperazioni riconosciute e riconoscibili si sono
costruite
carriere inossidabili e posizioni inattaccabili all’interno
di un
complesso – ma anche facilissimo da ri-conoscere –
sistema di
sospensione democratica.
Perchè sapete, non è credibile che chi da venti e più
anni fa analisi,
gestisce situazioni, tratta coi governi nazionali e
gestisce quelli
regionali e locali non l’abbia saputo riconoscere l’assurdo
che si
è costruito in Sardegna in questi decenni.
Questa roba della Carbosulcis, a conoscerla, diventa il
paradigma
del sottosviluppo della Sardegna.
La semplifico di molto perchè in rete trovate dati,
considerazioni
e ricerche.
La Regione detiene il 100% della Carbosulcis.
Dal 1996 ad oggi ha
speso – abbiamo speso – circa 600 milioni di euro
per mantenere
in vita un’azienda che nel 2011 ha avuto una perdita
di 25/26
milioni di euro. La Regione aveva stanziato 35 milioni,
dalla vendita
del carbone se ne sono introitati 9 milioni soltanto.
Ma a chi si vende questo carbone? Alla centrale Enel
di Portovesme
che però funziona al 30% della propria capacità produttiva.
Ma il carbone prodotto a Nuraxi Figus ha caratteristiche
così
mirabolanti da essere preferito a tutti gli altri tipi di
carbone?
Affatto. Il carbone prodotto nel Sulcis ha un contenuto
di zolfo
di molto superiore alla media (6,5% rispetto alla media
dello 0,5%).
Cosa significa? Che il carbone sulcitano va miscelato
con altri tipi
di carbone per evitare fenomeni di autocombustione.
Il carbone
del Sulcis non solo è qualitativamente peggiore ma
costa pure di più.
Basterebbe questo per definire l’avventura carbonifera
regionale
fallimentare e fa specie che la pubblica opinione –
scarsamente
informata da una stampa in servizio soporifero
permanente – queste
cose le ignori.
Basterebbe se non fossimo in Sardegna. Ma in Sardegna,
siamo.
Ed allora, certificato questo fallimento, si vorrebbero
investire 1,6
miliardi di euro TREMILA-MILIARDI-DI-LIRE di soldi
pubblici per
realizzare – non si sa da chi nè come – una nuova
tecnologia che
consenta di utilizzare il carbone prodotto a Nuraxi
Figus, Texas.
Se avessimo una classe politica degna di questo nome
si direbbe:
scusate, abbiamo sbagliato, ce ne stiamo andando a
casa tutti,
perdonateci se potete.
Chi fosse restato – ma siamo nell’ambito puro
dell’irrealizzabilità –
avrebbe avuto l’onere, dettato dall’onestà intellettuale,
di dire che
in sardegna carbone non se ne estrarrà mai più.
Ed avrebbe l’onere,
certo più esaltante, di immaginare e realizzare un
futuro diverso
per quei lavoratori.
Intervento pubblico per intervento pubblico preferirei -
restando
nel terreno minato dell’emergenza – che quei lavoratori
e quei 35
milioni di euro annui di soldi pubblici se ne andassero
a pulire
tutte le cunette della Sardegna.
Per fare un esempio molto banale.
O a piantare alberi o realizzare fasce antincendio
e parafuoco.
Almeno i risultati sarebbero pubblici.
Adesso, non è il momento della proposta, ma della
conoscenza
e della protesta.
Perchè dire queste semplici ragioni di verità significa
davvero
Stare di fianco a quei minatori, ma non un affiancamento
di maniera,
alla Napolitano. Ma una vicinanza che serve la verità
ed impone alla
politica di immaginare e realizzare un diverso metodo
di sviluppo.
Perchè sapete – a meno che non mi sia sfuggita la
cosa – non è
perchè estraiamo minerale sulcitano e lo bruciamo
in Sardegna
la nostra bolletta è più leggera e non, invece, il solito
alasso
bimestrale.
Perchè se ci fosse un vantaggio “pubblico” forse ci
avremmo potuto
pensare.
Invece la bolletta, per ritardi decennali e imposizioni
neocoloniali,
la paghiamo il 30/40% più salata rispetto al Continente.
E qui si innesta l’ultima considerazione non certo
tecnico-tattica,
ma politica.
La vicenda delle miniere – non dei minatori ai quali
dedicherò la
conclusione – si innesta in una politica di sostanziale
sottosviluppo
della Sardegna. Una politica – locale e nazionale –
che ha ritagliato
per la nostra terra il posto per il saccheggio nazionale.
Di risorse pubbliche, di beni pubblici, di proprietà pubbliche.
E questo saccheggio ha determinato il permanere in una
condizione di sostanziale sottosviluppo della nostra isola.
Il paradigma “sociale” del sottosviluppo è dato, senza
dubbio, dalla condizione dei trasporti in Sardegna.
Perchè ogni sardo, prima o poi, per una malattia, un lutto,
una carcerazione di un parente o la mai arrestata
migrazione una nave la prende. E viaggiare nei carri
bestiame, a tariffe folli, dei potentati marittimi racconta
più e meglio della miniera la condizione di sottosviluppo
della nostra terra.
La mia paura e non ho nessuna paura ad esplicitarla
è la seguente.
I trentacinque milioni diventeranno, dopo estenuanti
trattative e
commistioni fra politica e sindacato, quaranta o c
inquanta per
certificare un fallimento che solo i ciechi non possono
vedere.
Il carbone ad alto contenuto di zolfo si continuerò ad
estrarlo per
qualche anno ancora di modo che ai prossimi
appuntamenti
elettorali quei lavoratori disperati saranno merce di
scambio della
politica, voti da riconsegnare al potente di turno che
nulla ha fatto
per risolvere il problema, ma di tutto fa per mantenere
vivo
il bubbone.
Per il lavoro non si venda la dignità e la libertà.
La lotta deve essere
per un cambio di strategia nelle politiche pubbliche
nel Sulcis.
Politiche che mettano davvero al centro il lavoratore
e non l’elettore
che è dentro ogni minatore.
Perchè la storia di questa terra è la storia di un’immensa
commistione fra detentori di poteri pubblici e sudditi
ed è,
purtroppo, la storia di una politica senza idee, di una
società civile
inesistente, di un sindacato che si accontenta di
mangiare
dal trugolo.
Poi ci sono loro, dentro i pozzi.
E spero con tutta la forza che ho che riescano a
maturare una
coscienza collettiva che li allontani dai predatori di
oggi e di domani.
Che poi sono gli stessi di ieri. “
I minatori di Nuraxi Figus stanno conducendo una
lotta che non è
soltanto persa in partenza, ma anche e soprattutto
sbagliata.
Sbagliatissima negli obiettivi e ancora più sbagliata
nei modi.
I minatori di Nuraxi Figus ci stanno ricattando
emotivamente:
hanno centinaia di chili di esplosivo con sé e dicono
“Est s’ora de sa bruvura!”
Non si capisce bene da dove provenga tutto questo
interesse,
ma i minatori (o chi per loro) sono riusciti a mobilitare
l’interesse
dei media internazionali: ho visto un servizio perfino
su CNN
e francamente non riesco a credere che agli Americani
gliene
importi qualcosa di 400 minatori sardi.
“
DECIDE LA SARDEGNA – De Vincenti ha precisato
che tocca alla
Regione, proprietaria al 100% della Carbosulcis,
deciderne la
chiusura, ma che per il governo Monti «sono possibili
soluzioni
alternative. Ci aspettiamo che la Regione venga con
una proposta
più realistica. È la Regione che deve chiarire».”
Quale può essere la proposta più realistica per l’utilizzo
di un
carbone, anzi LIGNITE, di pessima qualità (“Zolfo con
un basso
tenore di carbonio” lo definivano quando io studiavo
all’ITI per
periti chimici di Cagliari).
La proposta attuale è di investire oltre un milione di
euro per
ognuno dei 1500 posti di lavoro che si creerebbero.
Investimenti che dovrebbero effettuare la RAS e il
Governo italiano.
Soldi nostri.
Cosa direste se io andassi in Piazza Sella, a Iglesias,
e mi puntassi
una pistola alla tempia, urlando che se non mi date
un milione di
euro mi sparo?
Ma come? Non mi dareste il milione e chiamereste
l’ambulanza?
E Napolitano mi darebbe la sua solidarietà?
E la CNN verrebbe a filmarmi?
In ogni caso sono sicuro che Mauretto Pili non verrebbe
a farsi
fotografare con me: lo sanno tutti che io non voterei
mai per lui!
I minatori di Nuraxi Figus vogliono che noi paghiamo
un miliardo
e mezzo di euro per garantire loro il posto di lavoro.
I minatori di Nuraxi Figus sono dipendenti
dall’assistenzialismo
e vanno curati, come dovrei essere curato io se
andassi in Piazza
Sella, con la pistola alla tempia, e pretendessi un
milione di euro.
I minatori di Nuraxi Figus non vogliono e non sanno
uscire dalla
logica suicida–ma anche criminale–che ha portato
al disastro che
vediamo oggi in Sardegna: effettuare investimenti
enormi in settori
non concorrenziali e fondamentalmente estranei alla
cultura e al
territorio della Sardegna–rubando e sperperando risorse
che
porterebbero allo sviluppo di altri settori–in cambio di
poche
centinaia di posti di lavoro.
Posti di lavoro–io sono di Iglesias–distribuiti in modo
clientelare.
I minatori di Nuraxi Figus esigono che risorse economiche
fondamentali vengano dirottate da quei settori
(turismo intelligente,
agricoltura di qualità, trasporti) che hanno un futuro
e
garantirebbero un numero molto più alto di posti
di lavoro.
Paradossalmente, sarebbe più conveniente regalare
quel
miliardo e mezzo agli abitanti del Sulcis, ma con
l’obbligo di
spenderlo in loco.
Se dovesse andare avanti il progetto della gassificazione
della
LIGNITE e di stoccaggio sotterraneo della CO2,
la maggior parte
di quel mare di quattrini finirebbe alle imprese
NON SARDE che
realizzerebbero gli impianti.
I soldi finirebbero immediatamente fuori dalla Sardegna.
Al Sulcis rimarrebbero 1.500 posti di lavoro pagati un
milione di
euro l’uno con soldi sottratti ad altri investimenti più
vantaggiosi
e che mai, comunque, potrebbero essere garantiti, visto
che il
mondo va nella direzione di eliminare i combustibili
fossili e che
il carbone del Sulcis rimane una LIGNITE di scarso pregio e perfino
più cara dell’ANTRACITE cinese.
Cosa c’entrano la lingua e la cultura?
I minatori di Nuraxi Figus stanno dimostrando per
intero la loro
incapacità culturale di concepire uno “sviluppo”
differente da quello
che il colonialismo italiano ha imposto alla zona:
sfruttamento
coloniale delle risorse e successivo abbandono della
zona,
lasciando agli indigeni il disastro sociale e ambientale.
Ragionano completamente all’interno delle logiche
colonialiste
e non riescono a concepire uno sviluppo della Sardegna
basato
sulle risorse umane, ambientali e culturali già esistenti.
E come potrebbero, visto che la scuola, i media e
i politici non
fanno altro che insegnare il disprezzo per tutto ciò
che è sardo?
Lo “sviluppo” è solo quello che viene da “fuori”.
Lo “sviluppo”
è solo quello dell’industria pesante, finanziata
con i soldi dei
contribuenti.
Lo “sviluppo” che produce sottosviluppo: nell’immediato
sottraendo
risorse preziosissime ad altri settori e nel lungo termine
distruggendo l’ambiente naturale e sociale.
Quanti abitanti di Portoscuso lavorano nelle industrie
dell’alluminio
e a Nuraxi Figus?
E quanti abitanti di Portoscuso lavorerebbero nel turismo
se la
presenza di quelle industrie non avesse distrutto il suo
grande
potenziale nel settore?
Siete mai stati a Portoscuso quando lo scirocco porta
sul paese
i fumi della LIGNITE bruciata nella centrale di Portovesme?
I minatori disperati di Nuraxi Figus sono appunto il sintomo
del
disastro sociale in cui le miniere e le industrie slegate dal
territorio
hanno lasciato il Sulcis.
I minatori disperati di Nuraxi Figus vanno aiutati ad
accettare la
realtà, non sostenuti nella loro lotta folle per continuare in
un’attività non sostenibile.
Oltretutto, a chi servirebbe l’elettricità prodotta con la
LIGNITE?
La Sardegna, con l’eolico e con il fotovoltaico ne produce
già più di
quella che le occorre.
Dovremmo sborsare un miliardo e mezzo di euro per produrre
energia per gli altri?