giovedì 23 ottobre 2014

”Se usciamo dall’euro faremo la fine dell’Argentina!”, vi dicono…… IN REALTÀ: “FAREMO LA FINE DELL’ARGENTINA NEL 2001 A CAUSA DELL’EURO”. LA TROIKA COME MENEM......Purtroppo oggi e domani sopratutto con il deteriorarsi della condizione economica italiana ed europea, i difensori dell’eurozona citeranno per spaventare la popolazione lo slogan ”Se usciamo dall’euro faremo la fine dell’Argentina!” Quindi sta a noi informarci correttamente e capire che coloro che difendono l’indifendibile citeranno sempre gli effetti e mai le cause che hanno portato al tracollo dell’economia argentina, ormai in ripresa dopo aver rimosso quelle cause mai citate dall’informazione…

”Se usciamo dall’euro faremo la fine dell’Argentina!”, vi dicono….

”Se usciamo dall’euro faremo la fine dell’Argentina!”, vi dicono….
ottobre 23
12:582014

… IN REALTÀ: “FAREMO LA FINE DELL’ARGENTINA NEL 2001 A CAUSA DELL’EURO”. LA TROIKA COME MENEM

di Jean Sebastien Lucidi
Ormai è un mantra sentirsi dire in tv che l’economia italiana verrà rilanciata solo se verranno attuale le “famose riforme” rimanendo senza se e senza ma all’interno dell’eurozona. Unendo i tasselli della storia le riforme auspicate per l’Italia ma anche per il resto d’Europa raccomandate dalla TROIKA consistono in:
-Privatizzazioni
-Liberalizzazioni
-Cessione beni pubblici
-Precarizzazione del lavoro
- Tagli allo Stato sociale
-Permanenza nell’eurozona
Proprio su quest’ultimo dibattito ormai in corso da qualche anno, i “partigiani” della moneta unica rievocano lo spettro del default argentino se si uscisse dall’eurozona, citando quindi gli effetti che hanno portato l’Argentina alla banca rotta ma mai citandone le cause.
Sarà per ignoranza o malafede? Non sto qui a fare un’analisi sulla personalità del partigiano pro euro, ma mi limito a rendere note le cause del tracollo economico argentino culminato con il default del 2001 e mai citate dai media italiani per tabù o meglio al fine di evitare ogni accostamento con le logiche appartenenti all’attuale assetto monetario europeo.Una volta insediatosi come presidente dell’Argentina nel 1989 Carlos Menem attua le seguenti riforme in campo economico per un ipotetico rilancio del Paese:
In primis viene imposto un regime di cambio fisso peso argentino-dollaro USA di 1:1 questo però a partire dal 1992 con l’aiuto del ministro dell’economia ultra liberista Domingo Cavallo “foto di copertina articolo” (http://it.wikipedia.org/wiki/Peso_argentino)
Quindi il Paese come oggi l’Italia si ritrovò una moneta pesante e non flessibile agganciata a quella americana. Stesse analogie con l’euro per l’Italia, ovvero moneta pesante non svalutabile ed agganciata alla moneta tedesca ovvero l’euro stesso.
Da questa  politica monetaria l’Argentina iniziò a perdere competitività nei mercati internazionali, importando merci in misura maggiore più di quanto potesse esportare.
Ma non solo, agganciandosi al dollaro con il cambio fisso, il Paese sud americano si indebitava in moneta pesante con titoli di Stato emessi in dollari e sotto legislazione internazionale, situazione analoga al debito pubblico italiano in euro, non svalutabile e non controllabile dallo Stato italiano.
Sempre con il presidente Menen, l’Argentina avviò privatizzazioni o meglio cessioni degli assets pubblici del paese, iniziando dalle poste fino alla compagnia nazionale petrolifera Y.P.F. privatizzata al 50% per poi completare con altre aziende statali.
Si stima che la liquidazione di gran parte del patrimonio nazionale argentino (in stile “Treuhandanstalt” per la Germania Est durante l’unificazione) abbia registrato una perdita di 60.000 milioni di dollari.
Oggi l’informazione non diffonde da parte di chi difende l’euro che ci sarebbe la necessità di privatizzare e vendere il patrimonio dello Stato? (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1992/03/28/il-proclama-di-menem-ho-salvato.html?ref=search)
Tornando all’Argentina, furono rimossi inoltre i vincoli doganali per un libero mercato, con la conseguenza di aver portato le piccole e medie imprese argentine fuori mercato (già sofferenti da un cambio fisso con il dollaro)  da prodotti esteri a minor costo. Il risultato fu il fallimento della piccola e media impresa argentina con un ovvio aumento dalla disoccupazione.
Sul campo dell’occupazione l’Argentina per recuperare quella competitività erosa dal cambio fisso attuò le famose “riforme”  concernenti la precarizzazione e la riduzione dei salari, provocando un graduale impoverimento della classe lavoratrice.Queste politiche attuate da Menem ed oggi raccomandate dall’Europa in un assetto monetario simile a quello dell’euro oggi, portarono il paese dopo dieci anni dal 1992 ad una disoccupazione intorno al 23% ed un crollo della competitività collezionando dieci anni consecutivi di negativo tra export ed import (partite correnti).
Inoltre Indebitandosi in dollari ed impossibilitata nel sostenere il debito pubblico con propria moneti flessibile (vantaggio per i debitori recando meno profitto ai creditori) e tra le continue proteste da parte della popolazione dovute al deterioramento delle condizioni economiche del Paese, l’allora presidente Fernando de la Rua in una calda notte del dicembre 2001, (calda sia socialmente che astronomicamente) abbandono il palazzo presidenziale in elicottero, lasciando il Paese nello sbando più totale.(http://www.repubblica.it/online/mondo/argentinauno/emergenza/emergenza.html) .
La tortura argentina finì l’anno successivo nel 2002 quando il nuovo presidente Edoardo Duhalde liberò il peso argentino dal cambio fisso con il dollaro (l’auspicata uscita dall’eurozona tradotto al caso italiano ed anche europeo) ed avviò anche il ripristino delle protezioni doganali dopo un decennio di ultraliberismo economico (http://www.repubblica.it/online/mondo/argentinadue/svaluta/svaluta.html)
In quanto a Menem fautore del cambio fisso  come lo sono oggi i partigiani europeisti dell’euro, venne arrestato nel 2001 anno del default argentino. Dalla fine del cambio fisso ad oggi l’Argentina ha più che dimezzato il suo tasso di disoccupazione e lo spauracchio di un altro default pretesto dei fautori del cambio fisso, ovvero dell”euro è legato ai debiti che il Paese ha contratto in dollari sotto legislazione americana durante il decennio 1992-2002 di cui descritto sopra.
Per il caso italiano, con l’uscita dall’euro, il debito pubblico nostrano, anche se emesso nella moneta unica europea è sottoscritto secondo le leggi nazionali e quindi non verrebbe rimborsato in euro, bensì  in lire, riconvertendo tutti i debiti in valuta nazionale circolante tramite il principio della Lex Monetae ed un’eventuale svalutazione della valuta italiana rappresenterebbe una perdita di profitti per i creditori ed un alleggerimento del debito per lo Stato italiano. Questo rappresenterebbe  un grosso vantaggio rispetto ai titoli di Stato argentini emessi NON sotto legislazione nazionale durante il decennio 1992-2002 e tutt’ora oggi parte di questi bonds “tormentati” dai fondi avvoltoio americani.

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