Sardegna
Inceneritori, biomassa e zero bonifiche: Roma ha deciso il futuro della Sardegna
Articolo pubblicato il 3 luglio 2014
Licenza di inquinare per basi militari e grandi fabbriche (leggi), con relativo colpo di spugna sulle bonifiche, ma nel decreto legge ‘Ambiente protetto’ (leggi) c’è anche un’ipoteca sul futuro della Sardegna. Lo dice il documento, lo confermano il presidente dell’Isde – Medici per l’ambiente Sardegna Vincenzo Migaleddu eStefano Deliperi del Gruppo d’intervento giuridico. Le nuove disposizioni indicano infatti le attività produttive su cui il governo intende puntare da qui al 2019. Ne viene fuori un piano quinquennale all’insegna di macchine da perforazione, taglio e trivellazione, essiccatoi, inceneritori, griglie rotanti, scaricatori di ceneri, cavi elettrici. E sono ingenti le risorse messe in campo per sostenere la produzioni di questi beni: 800 milioni di euro ottenuti mediante la riduzione del Fondo per la coesione e lo sviluppo.Tradotto: pieno sostegno a inceneritori, centrali a biomasse e a nuove forme di attività mineraria. Insomma, nel decreto ‘Ambiente protetto’, di verde c’è poco. In compenso però, c’è tanta, troppa Sardegna. Nel senso sbagliato.
Sulcis, carbone e trivelle dietro l’angolo
Basta prendere l’articolo quindici del decreto. Dove si parla di nuovi limiti soglia a cui anche le regioni autonome dovranno conformarsi per l’attivazione della Valutazione d’impatto ambientale. E di siti per lo stoccaggio del biossido di carbonio. “In questo caso, il riferimento è al progetto di cattura e sequestro della Co2 prodotta dalla centrale a carbone che dovrebbe sorgere al posto della Carbosulcis, come stabilito dalla legge ‘Destinazione Italia’”, dice Deliperi. “Un progetto la cui realizzazione sembra però legata all’esito della procedura d’infrazione aperta dall’Unione europea per aiuti di Stato”, precisa il responsabile del GriG.
In ogni caso, il nuovo decreto apre alla possibilità di effettuare perforazioni esplorative di iniezione dell’anidride carbonica allo stato supercritico, cioè liquido. Il problema, tuttavia, è che la fattibilità e la sicurezza di questa procedura è ancora tutta da dimostrare. “Con la Co2 non parliamo di un pacco che rimane fermo dove lo metti”, precisa Deliperi. “Desta dunque preoccupazione per l’eventuale fuoriuscita dell’anidride carbonica dai depositi in cui verrà confinata. E a concentrazioni elevate può essere letale”, aggiunge il presidente dei Medici per l’ambiente – Isde Sardegna Vincenzo Migaleddu.
Si sa tuttavia che lo stoccaggio della Co2 necessita di giacimenti di carbone non umidi e profondi tra gli 800 e i 1500 metri. Tutto il contrario, insomma, rispetto a quelli della Carbosulcis, che che vanno dai 200 e i 700 metri. E sono troppo umidi. Lo stabilisce l’Enea, l’ente che insieme alla Sotacarbo ha condotto uno studio preliminare sulle condizioni dei giacimenti compresi tra Carbonia e Portovesme. Insomma, lì lo stoccaggio non si può fare,. Pertanto, trivellazioni e prove di iniezione dovranno essere effettuate nella parte dei giacimenti che si trova sotto il braccio di mare compreso tra Portovesme e Carloforte.
Rimane poi aperto un problema: l’idea che non si voglia arrivare all’implementazione di una procedura conosciuta come “Enhanced coal bed methane”, che prevede l’iniezione nel sottosuolo di anidride carbonica – è questa l’analogia con la procedura del sequestro della Co2 – per ottenere metano. In pratica, una tecnica analoga a quella della fratturazione idraulica delle rocce del sottosuolo o fracking. Anche in questo caso il rischio è che s’inneschino terremoti, ma c’è un altro problema, la possibilità che le falde acquifere vengano contaminate da metalli pesanti o sostanze radioattive smosse nel corso dell’iniezione della Co2.
Sardegna, terra di biomasse
“Il nuovo decreto legge rappresenta la fase operativa del precedente ‘Destinazione Italia’ anche sotto un altro aspetto. Difatti, ora si punta alla re-industrializzazione delle aree inquinate dai veleni di fabbrica anziché sulle bonifiche. Per questo motivo s’incentiva la realizzazione della megacentrale a biomasse della Chimica Verde e dell’impianto che la Powercrop sta già realizzando a Macchiareddu”,spiega Migaleddu. E lancia un nuovo allarme: “Decine di nuove centrali a biomasse sono in arrivo con l’applicazione dei Paes (Piani d’azione per l’energia sostenibile, ndr) comunali. In Barbagia, ad esempio, è previsto un inceneritore a biomassa ogni due paesi”. Dello stesso avviso Deliperi, per il quale “il Far west normativo in materia di energia che caratterizza la Sardegna porterà al moltiplicarsi delle domande per la realizzazione di impianti a biomassa”.
“A proposito di Far west – aggiunge Migaleddu – occorre ricordare che la Sardegna ospita o ha già autorizzato centrali a biomassa per una potenza elettrica di oltre 180 Megawatt. Una simile presenza non è sostenibile, visto che questi impianti hanno un coefficiente di emissione di particelle sottili e ultrasottili, di diossine e furani (inquinanti organici e potenzialmente cancerogeni) superiore anche a quello dell’olio combustibile”.
Ma c’è di più: la biomassa comporta un enorme consumo di territorio. “Basti pensare che per alimentare una centrale da circa 40 Mwe (Megawatt elettrico) occorrono circa 550mila tonnellate di biomassa all’anno, che richiedono a loro volta decine di migliaia di ettari di terreno dedicati alle colture scelte per la combustione. In questo modo verranno drasticamente penalizzate le produzioni alimentari”, continua il medico sassarese.
“Insomma, la sinistra è passata dal partito della massa a quello della biomassa”, attacca infine Migaleddu. Ma poi aggiunge: “In realtà, si tratta di un’operazione bipartisan: l’omologazione passa soprattutto attraverso l’assenza di progetti alternativi, come dimostra la difesa del Piano energetico licenziato da Cappellacci da parte dell’attuale giunta”.
Piero Loi
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