LE
FAVOLE DI BARNARD PER I BAMBINI DEI SUOI LETTORI: 1
(da leggere ai vostri bambini, e non è una
battuta)
C’era una volta un vecchio vulcano che si chiamava
Ubo. Viveva in una nazione dell’Africa nera e misteriosa, lontano, ma tanto
lontano da casa nostra. La cosa da sapere è che per un tempo lungo come mille
strade, e vecchio come cento nonni, Ubo aveva fatto il suo lavoro, che era di
sputare fumo, poi lava incandescente, poi scintille infuocate, e tanto altro di
focoso e caldo.
La gente che viveva in quelle regioni usava
tutta quella roba incandescente che il vecchio vulcano sputava fuori per tante
cose importanti. Per esempio, ci facevano il fuoco dei villaggi per cucinare le gazzelle o
gli uccelli che catturavano, o per fare le zuppe di orzo che coltivavano nei
campi. Eh! Come si fa a mangiare carne cruda o zuppe fredde? Ci vuole il fuoco
per cucinarli, e la gente di quelle regioni africane il fuoco non l’avevano, se
non quando Ubo lo sputava fuori in abbondanza, così che tutti l’avessero.
Oppure, nelle stagioni fredde, bisognava scaldarsi coi fuochi nelle capanne, e
di nuovo quelle regioni africane il fuoco non l’avevano se non quando Ubo lo
sputava fuori in abbondanza così che tutti l’avessero e potessero accendere le
stufe nelle capanne. Ma ancora: la luce di notte per tutta quella gente veniva
dalle torce infiammate, ancora merito del fuoco di Ubo. Bene.
Ma sapete bimbi, gli uomini non sono mai
contenti. Il vulcano gli dava il fuoco, ma anche cenere, fumo, e qualche volta
dei tremori della terra che facevano un po’ paura. E quindi quella stessa gente
che usava il fuoco di Ubo, poi gli dicevano cose brutte, che lo ferivano. Ad
esempio,
essi imprecavano quando cadeva troppa cenere sulle capanne, e dicevano “Maledetto vulcano, ma stattene buono!”. Oppure, se c’era un tremore della terra – che altro non era se non uno sternuto di Ubo ma che svegliava la gente di notte – gli gridavano “Ubo magari non ci fossi!”.
essi imprecavano quando cadeva troppa cenere sulle capanne, e dicevano “Maledetto vulcano, ma stattene buono!”. Oppure, se c’era un tremore della terra – che altro non era se non uno sternuto di Ubo ma che svegliava la gente di notte – gli gridavano “Ubo magari non ci fossi!”.
Ubo
tutte queste cose le sentiva, e siccome i
vulcani vivono mille e mille anni, lui le sentì per mille e mille anni.
Fino a
che il suo cuore, che era ancora più caldo dei suoi fuochi, cominciò a
raffreddarsi. Offesa dopo offesa, il suo cuore cominciò a stancarsi, e a
battere sempre più debole. Sempre più debole. Finché un giorno si
raffreddò del tutto,
perse il suo calore. Divenne freddo. E il freddo del cuore, bimbi, gela
tutto.
Così fu che Ubo il vulcano si spense col cuore fermo. Niente più fumo,
niente
più borbottii, ma niente più fuoco e lava da cui i villaggi prendevano
il fuoco
per vivere. Ubo si fermò, gli uomini gli avevano fermato il cuore.
Gli
uomini sono stolti, certo, ma quando poi
devono affrontare le conseguenze della loro stoltezza si perdono e hanno
paura. Adesso, con Ubo spento, non c’era più fuoco, non potevano più
trovare il fuoco per cucinare, per
scaldarsi d’inverno, o per illuminare la notte. Ubo si era spento nella
tristezza.
Allora i saggi dei villaggi pensarono che
dovevano pregare gli Dei del cielo per convincere Ubo a risvegliarsi. E lo
fecero, con grandi cerimonie e grandi processioni… ma nulla, Ubo non si
svegliava. No cibo, no luce, no caldo.
Allora i guerrieri dei villaggi pensarono che
se avessero fatto paura a Ubo con le loro armi, lui si sarebbe convinto a
risvegliarsi e a ridare lava e lapilli per il fuoco. Così diedero l’assalto al
vecchio vulcano, con grandi urla e minacce. Ma poveri fessi! Cosa può fare
l’uomo contro la forza della natura di un immenso vulcano? Nulla, povero
sciocco uomo. Ubo neppure li ascoltò. No fuoco. No cibo, no luce, no caldo.
Che disastro!
Dovete sapere che in uno di questi villaggi
viveva un bambino di nome Bommi. Era un bambino strano. A lui Ubo era sempre
piaciuto, e mai aveva avuto paura delle scosse della terra che Ubo causava
quando sternutiva. Mai gli era dispiaciuto di trovare la cenere per terra la
mattina… la cenere è soffice, pensava Bommi, e ci giocava a farci i disegni
sopra. E così mentre tutti i saggi, tutti i guerrieri, tutti gli uomini
importanti dei villaggi erano riuniti a pensare, disperati, come risvegliare
Ubo, lui partì dal suo villaggio per andare dal suo vecchio immenso amico, Ubo.
Una mattina ci arrivò. Era ai piedi di questo
grande vulcano, apparentemente morto. Bommi lo guardò. Poi lo chiamò per nome:
“Ubooooo!”. Ma nulla, nessuna
risposta. Ancora più forte: “Ubooooooooooo!!!!!!”.
Nulla. Bommi iniziò a preoccuparsi. E se fosse vero che la stoltezza degli
uomini mai contenti avesse veramente ucciso il suo grande amico? Bommi posò
l’orecchio sulle pendici del grande vulcano per sentire se per caso il suo
cuore batteva ancora. Ascoltò, ascoltò, ma nulla, il cuore non batteva.
Gli avvoltoi volavano in giri ampi nel cielo,
come quando sotto di loro c’è una preda morta da aggredire. Bommi sentì paura.
E ora cosa faccio? si chiese. Allora decise di scalare il grande vulcano fino
alla cima e di vedere cosa era successo dentro di lui. Bommi era agile e corse
su per la montagna veloce fino al cratere. Arrivato là vi si affacciò e guardò
dentro. Tutto là sotto era fermo, un lago grigio di cenere e basta. Bommi
chiamò Ubo con tutta la voce che aveva nei polmoni, ma nulla. “Ubo! Ubooo! Ubooooooo!”… inutile,
nessuna risposta.
Allora pensò a una cosa. E se corro giù e
raccolgo i più bei fiori che trovo e glieli dono? Di sicuro nessuno ha mai
regalato a un vulcano dei fiori, si disse Bommi. Dai, lo faccio, magari mi dice
qualcosa!
E così fu che Bommi si mise a correre su e giù
per il vulcano a cogliere fiori e a buttarli nel cratere, su e giù, su e giù,
su e giù cento volte.
E qui successe una cosa stranissima. Bommi
correva svelto su e giù coi suoi piedini nudi da africano, e pestava lesto le
pendici del vulcano avanti e indietro come una furia. Bè, bambini, Ubo che
dormiva nel suo sonno di tristezza, iniziò a sentire come una specie di…
… solletico! I piedini di Bommi gli facevano
il solletico, e così si svegliò per capire chi era che gli faceva il solletico.
Al suo risveglio Ubo ebbe un’incredibile sorpresa:
Prima cosa sentì un profumo delizioso che in
mille e mille anni della sua vita non aveva mai sentito. Erano tutti i fiori
che Bommi gli aveva gettato dentro. Poi quando aprì gli occhi vide questo
bimbetto coi suoi piedini nudi che correva su è giù per le sue pendici
instancabile, con altri fiori in mano. Ubo era stupefatto. E così parlò per la
prima volta da tanti anni:
“Ma chi
sei tu? E perché mi fai il solletico correndo su e giù coi tuoi piedini?”
La voce di un vulcano è potente e può fare
paura a un uomo, immaginate a un bambino come Bommi. Ma la cosa buffa era che
siccome Bommi gli stava facendo il solletico correndo su e giù coi suoi piedini,
Ubo parlava ma anche… ridacchiava, rideva… così Bommi non ebbe paura, e
rispose:
“Mi
chiamo Bommi e sono un tuo amico, Ubo. Perché non ci vuoi più bene e non ci dai
più il fuoco? Abbiamo fame e freddo e le nostre notti sono ora buie!”
Ubo non poteva credere alle sue orecchie, e
neppure al suo naso, perché Bommi continuava a correre su e giù per il vulcano
e a buttarvi dentro fiori profumati, sempre facendogli il solletico coi suoi
piedini svelti. E rispose:
“Bimbo,
io ho mille e mille e più anni, ma mai nessuno mi aveva parlato. Mai nessuno mi
aveva fatto il solletico. Mai nessuno mi aveva profumato. E tutto quello che
vuoi in cambio per questo è... il fuoco? Corri a casa piccolo amico mio, te ne darò quanto ne
vuoi per tutta la tua vita e di più!”
Bommi non poteva credere alle sue orecchie.
Non sapeva cosa dire, non aveva mai sentito un vulcano parlare, specialmente
Ubo, che tutti gli uomini davano per morto. I suoi piedini si misero a correre
come una gazzella e tornò al suo villaggio, giusto in tempo per vedere il sole
tramontare. E…
La notte aveva appena fatto spuntare le stelle
nel cielo sopra ai villaggi senza cibo cotto, senza riscaldamento e senza luci,
quando d’improvviso tutta la volta celeste s’illuminò di una fiammata immensa
che si sparse in tutte le direzioni dalla bocca di Ubo. E la terra tremò. Ora
il fuoco c’era di nuovo, per tutti, in abbondanza, eccome!
I saggi e i guerrieri dei villaggi uscirono
dalle loro capanne con gli occhi spalancati, e da stolti quali sempre sono,
declamarono che era merito loro! Ringraziarono gli Dei, o le loro armi…
Ma in un angolo di villaggio, sotto un albero,
sedeva un bimbetto chiamato Bommi, che avrebbe voluto avere le braccia lunghe
come le strade per abbracciare il suo grande amico Ubo, e magari fargli ancora un
po’ di solletico…
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