Il massacro di Parigi e le rivelazioni-choc di Gioele Magaldi
16/11 •
Poi
non dite che non vi avevano avvisato. Anche la nuova strage di Parigi
era annunciata, e non solo dai proclami bellicosi dell’Isis. Da almeno
un anno, nelle librerie italiane (non sui giornali che avrebbero dovuto
recensirlo) fa bella mostra di sé lo sconvolgente libro “Massoni”, di
Gioele Magaldi, edito da Chiarelettere. Un saggio deliberamente ignorato
dal mainstream, che presenta contenuti scomodi e addirittura
devastanti, al punto da costringere a rileggere la storia del ‘900. Alla
storiografia ufficiale – l’intreccio di dinamiche socio-economiche di
massa – il libro aggiunge l’influenza di una regia occulta. E’ il
“convitato di pietra”, il vertice massonico mondiale, spesso evocato ma
mai prima “presentato”, con nomi e cognomi. Una struttura di potere
marcatamente progressista fino ai primi decenni del dopoguerra, e poi –
col doppio omicidio di Bob Kennedy e Martin Luther King – rovinosamente
degenerata in una parabola reazionaria, neo-feudale, neo-aristocratica.
Dallo storico patto “United Freemasons for Globalization”, la nuova
élite ha avuto mano libera fino al Pnac, il piano dei neo-con per il
“nuovo secolo americano” su cui costruire il “nuovo ordine mondiale”,
quindi l’11 Settembre e la “guerra infinita” (Iraq, Afghanistan, Libia,
Siria) che è sotto i nostri occhi, compreso l’ultimo spaventoso massacro
di Parigi. E resta sempre nell’ombra uno dei soggetti-chiave degli
ultimi sanguinosi sviluppi: si chiama “Hathor Pentalpha” ed è una delle
36 superlogge internazionali dell’oligarchia mondiale.
“Hathor”
è l’altro nome della dea egizia Iside, e non è un caso – per Magaldi –
che si chiami proprio Isis l’armata di tagliagole del “califfo”
Al-Baghdadi, terroristi e miliziani sostenuti da Turchia e Arabia
Saudita, appoggiati da settori dell’intelligence Usa
e impiegati in diversi teatri, sempre con la medesima missione:
destabilizzare gli assetti statali, generare terrore e caos, ingaggiare
l’Occidente in una sorta di Terza Guerra Mondiale che ha come obiettivo
strategico il depotenziamento della Cina, vero competitor mondiale
dell’egemonia del dollaro, e il suo alleato più potente, l’indocile
Russia di Putin. Analisi sviluppate in questi anni da decine di
osservatori internazionali, ma solo da Magaldi integrate anche con le
lenti dell’élite massonica planetaria. Già “gran maestro” della loggia
Monte Sion aderente al Grande Oriente d’Italia, Magaldi rivendica
orgogliosamente la sua appartenza libero-muratoria e, nel libro, insiste
sulla paternità massonica della modernità: «Lo Stato laico, la democrazia
e il suffragio universale non li ha portati la cicogna». Rivoluzione
Francese, Rivoluzione Americana. Persino la Rivoluzione d’Ottobre:
«Prima di far nascere l’Urss, Lenin fondò a Ginevra la superloggia
Joseph De Maistre». Inutile stupirsi più di tanto: «E’ comprensibile che
il soggetto storico che ha introdotto la modernità poi cerchi anche di
pilotarla a suo piacimento».
Nei
libri di storia, però, di massoneria si accenna, al massimo, tra le
pagine dedicate al Risorgimento italiano – essendo massoni Mazzini,
Garibaldi e Cavour, anch’essi appartenenti a una corrente impegnata in
una lotta secolare contro l’assolutismo monarchico e l’oscurantismo
vaticano. Fuoriuscito dal Grande Oriente d’Italia per fondare una sua
associazione, il Grande Oriente Democratico, Magaldi è stato affiliato
anche a una storica Ur-Lodge progressista anglosassone, la “Thomas
Paine”. E ora ha fondato un organismo politico-culturale, il Movimento
Roosevelt, che si richiama al lascito dei Roosevelt, entrambi massoni
progressisti: il presidente Franklin Delano, fautore del New Deal, e sua
moglie Eleanor, promotrice all’Onu della Dichirazione universale dei diritti
dell’uomo. Un orizzonte liberal-socialista, nutrito di idee keynesiane,
quelle che ispirarono lo storico piano elaborato da George Marshall per
far risorgere l’Europa
dalle macerie del dopoguerra. Tradotto oggi: fine dell’austerity
disposta dall’Ue ed estensione della spesa pubblica espansiva, verso la
piena occupazione. Anche qui: si parla spessissimo di Keynes e del Piano
Marshall, evitando però di ricordare che l’insigne economista inglese e
il famoso generale erano entrambi massoni progressisti. Magaldi rivela
che il loro ultimo “discendente”, il celebre sociologo Arthur
Schlesinger Jr., elemento di punta della super-massoneria progressista
anglosassone, è l’uomo a cui l’Italia deve il fallimento dei tentativi
di colpi di Stato rapidamente succedutisi, promossi da elementi della
super-massoneria reazionaria.
«L’Italia
è sempre stato un paese-laboratorio, un campo di battaglia decisivo
dove attuare esperimenti democratici oppure autoritari», spiega Magaldi:
«Non a caso, in Portogallo la Rivoluzione dei Garofani del 1974 venne
fatta scoccare il 25 aprile, anniversario della Liberazione italiana,
per rispondere al golpe dei colonnelli in Grecia». Come sempre, anche
oggi l’Italia è nel mirino: nel 2011 è stata investita in pieno dalla
potenza di fuoco dell’élite tecnocratica europea, dopo la lettera della
Bce con cui la Troika disarcionò Berlusconi, firmata da Jean-Claude
Trichet e dal “fratello” Mario Draghi, cui rispose il “fratello”
Napolitano insediando a Palazzo Chigi il “fratello” Mario Monti. Le
informazioni contenute nel suo libro, assicura Magaldi, sono tutte
documentate in 5.000 pagine di archivio, che l’autore si è sempre
dichiarato pronto a esibire in caso di contestazioni. Ma non ce n’è
stato bisogno: “Massoni, la scoperta delle Ur-Lodges” è stato accolto
nel modo più comodo, cioè con la congiura del silenzio da parte di
tutti, nel mainstream politico-editoriale. Troppe rivelazioni scomode,
per troppi personaggi ancora al potere, da Draghi in giù.
Silenzio
anche dagli storici, presi in contropiede dalla sconcertante rilettura
magaldiana del ‘900: il massone Pinochet contro il massone Allende in
Cile, il sostegno della massoneria progressista a John Kennedy, lo
“scudo massonico” organizzato per tentare di proteggere Bob Kennedy e
Martin Luther King, dalle cui uccisioni scaturì una drammatica rottura.
Dagli anni ‘70 si affermò l’ala destra, incarnata da leader come
Kissinger e Brzezinski, destinati a mettere all’angolo i leader della
corrente progressista. Segreti, misteri e contorsioni anche inattese:
l’attentato a Reagan promosso dai sostenitori occulti di Bush e
l’attentato (speculare e simmetrico) a Papa Wojtyla, orchestrato
dall’élite massonica che aveva sostenuto Reagan. La stessa oligarchia
del regime di Bruxelles è interamente massonica, sostiene Magaldi, e
appartiene alla corrente neo-conservatrice. Per questo oggi siamo
arrivati alla recessione strutturale, alla disoccupazione-record, alla
depressione storica di un paese come l’Italia. Loro, i
neo-aristocratici, hanno colonizzato il pianeta (e l’Europa)
col pensiero unico neoliberista: lo Stato deve capitolare, rinnegare la
sua funzione storica, servire le multinazionali e non più i cittadini,
rassegati a ridiventare sudditi. Per Magaldi non è solo un attentato
alla democrazia, è anche il tradimento della più autentica vocazione massonica.
Nel
suo saggio, Magaldi rilegge gli eventi epocali che hanno determinato la
situazione di oggi, a partire da libri-evento come “La crisi della democrazia”
promosso dalla Commissione Trilaterale sempre con lo stesso obiettivo:
collocare i propri uomini (Thatcher, Reagan, Kohl, Mitterrand) alla
guida dei paesi-chiave, per occupare lo Stato e asservirlo ai diktat
delle grandi lobby multinazionali.
Nulla
di tutto ciò è avvenuto per caso, avverte Magaldi, che nell’esplosiva
appendice del suo lavoro editoriale fa dire al massone oligarchico
“Frater Kronos” che qualcosa è andato storto, qualcuno è andato oltre il
perimetro concordato. Un nome su tutti: quello del “fratello” George
Bush senior, che sarebbe “impazzito di rabbia” dopo la bruciante
sconfitta inflittagli nel 1980 dai sostenitori di Reagan. Da allora,
ancor prima di diventare a sua volta presidente, Bush avrebbe dato vita
alla «inquietante, pericolosa e sanguinaria» superloggia denominata
“Hathor Pentalpha”, che avrebbe reclutato il gotha neocon del Pnac, il
piano per il Nuovo Secolo Americano, da Cheney a Rumsfeld, nonché
fondamentali alleati europei, da Blair a Sarkozy, incluso il turco
Erdogan. Missione del clan: destabilizzare il pianeta, anche col
terrorismo, a partire dall’11 Settembre.
Per
questa missione, si legge sempre nel libro di Magaldi, è stato
riciclato il “fratello” Osama Bin Laden, arruolato dallo stesso
Brzezinski ai tempi dell’invasione sovietica in Afghanistan. Risultato,
dopo l’attentato alle Torri: una serie di guerre, in sequenza,
dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Libia alla Siria, anche dietro il
paravento della “primavera araba”. Ultimo bersaglio, la Russia di Putin.
Ma la “geopolitica del caos” si avvale sempre di più della più
grottesca creatura dell’intelligence, il fondamentalismo islamico: nel
lontano 2009, i militari americani del centro iracheno di detenzione di
Camp Bucca si videro recapitare l’ordine di rilascio dell’allora oscuro
Abu Bakr Al-Baghdadi, l’attuale “califfo” dell’Isis. Oggi, Al-Baghdadi è
l’uomo che minaccia l’Europa
e fa strage di innocenti a Parigi, e c’è chi se ne stupisce: politici e
giornalisti esibiscono sconcerto e raccapriccio, come se brancolassero
nel buio. Eppure, tra le pagine di “Massoni”, era tutto in qualche modo
già scritto. Ma non c’è pericolo che le analisi di Magaldi emergano al
punto da affacciarsi in prima serata sul mainstrem televisivo, e neppure
sulle pagine sempre reticenti della grande stampa.
(Il
libro: Gioele Magaldi, “Massoni. Società a responsabilità illimitata.
La scoperta delle Ur-Lodges”, Chiarelettere, 656 pagine, 19 euro).
Poi non dite che non vi avevano avvisato. Anche la nuova strage di
Parigi era annunciata, e non solo dai proclami bellicosi dell’Isis. Da
almeno un anno, nelle librerie italiane (non sui giornali che avrebbero
dovuto recensirlo) fa bella mostra di sé lo sconvolgente libro
“Massoni”, di Gioele Magaldi, edito da Chiarelettere. Un saggio
deliberamente ignorato dal mainstream, che presenta contenuti scomodi e
addirittura devastanti, al punto da costringere a rileggere la storia
del ‘900. Alla storiografia ufficiale – l’intreccio di dinamiche
socio-economiche di massa – il libro aggiunge l’influenza di una regia
occulta. E’ il “convitato di pietra”, il vertice massonico mondiale,
spesso evocato ma mai prima “presentato”, con nomi e cognomi. Una
struttura di potere
marcatamente progressista fino ai primi decenni del dopoguerra, e poi –
col doppio omicidio di Bob Kennedy e Martin Luther King – rovinosamente
degenerata in una parabola reazionaria, neo-feudale, neo-aristocratica.
Dallo storico patto “United Freemasons for Globalization”, la nuova
élite ha avuto mano libera fino al Pnac, il piano dei neo-con per il
“nuovo secolo americano” su cui costruire il “nuovo ordine mondiale”,
quindi l’11 Settembre e la “guerra infinita” (Iraq, Afghanistan, Libia,
Siria) che è sotto i nostri occhi, compreso l’ultimo spaventoso massacro
di Parigi. E resta sempre nell’ombra uno dei soggetti-chiave degli
ultimi sanguinosi sviluppi: si chiama “Hathor Pentalpha” ed è una delle
36 superlogge internazionali dell’oligarchia mondiale.Articoli Recenti
Gallino ha smascherato questo regime estremista e bugiardo
16/11 • segnalazioni •
Ho
conosciuto personalmente Luciano Gallino in un dibattito a Torino nei
primi anni ‘90 del secolo scorso. Avevo letto molti suoi scritti, ma non
lo avevo mai incontrato. Ero da poco diventato segretario della Fiom
regionale e fui invitato ad un confronto con lui ed altri sul lavoro. Mi
lasciai andare ad una filippica contro quegli intellettuali, in
particolare gli studiosi di scienze sociali, che – usai questa metafora –
non guardavano mai l’altra faccia della luna, cioè descrivevano i
cambiamenti in atto nel lavoro solo dal punto di vista delle direzioni
d’impresa. Erano gli anni del trionfo del toyotismo all’italiana
lanciato dalla Fiat di Cesare Romiti, che trovava il suo magnificato
modello nel nuovo stabilimento di Melfi. In realtà nasceva un nuovo
sistema di comando autoritario sul lavoro, che faceva passare per
partecipazione quella che in realtà era solo la ricerca della
sottomissione totale del lavoratore all’impresa.
Gallino
si offese molto per quella mia frase impertinente, anche se, come era
suo costume, nel dibattito usò solo analisi sociale e cortesia torinese.
Pochi giorni dopo mi arrivò in ufficio un pacco di libri e riviste di
sociologia. Era una piccola antologia di testi di Luciano Gallino,
accompagnati da una sua lettera molto gentile, ma che nella sostanza mi
invitava a documentarmi meglio prima di esprimere giudizi. Aveva
ragione. L’intellettuale ed il ricercatore olivettiano è diventato il
primo critico in Italia del modello liberista, sia per il lavoro, sia
per tutta la società. E questo suo percorso non è nato da una improvvisa
folgorazione sulla via di Damasco, ma dal rigore con il quale sin
dall’inizio della sua opera si è misurato con la realtà del lavoro, con
l’altra faccia della luna.
Gallino
era uno scienziato sociale che credeva nel processo riformatore. Non
uso la parola riformista, perché essa oggi è diventata sinonimo di
trasformismo e di politiche liberiste. Luciano Gallino provava un
rigetto culturale morale per il riformismo attuale. Lui che era stato
formato dalla stagione delle riforme dei primi anni ‘60 e
dall’organizzazione del lavoro veramente partecipativa della Olivetti di
Ivrea, sentiva sempre di più la necessità di smascherare l’imbroglio
politico ed intellettuale di chi oggi adopera quegli stessi termini,
riforme e partecipazione, per fare l’esatto contrario. Per questo
Gallino aveva sempre più radicalizzato la sua collocazione politica. Non perché avesse cambiato il suo punto di vista riformatore, ma perché non era disposto a farlo assorbire da un sistema di potere che andava nella direzione opposta a ciò che riteneva giusto.
Fernando
Santi, il leader storico dei socialisti della Cgil, quando il Psi di
Nenni si orientò su posizioni che cominciò a criticare come troppo
moderate, fu accusato di scivolare verso il massimalismo. Con una
fulminate battuta allora il sindacalista rispose: non è vero che io sono
diventato un estremista, io sono il riformista di sempre, sono gli
altri che mi hanno scavalcato a destra. È una risposta che vale anche
per Luciano Gallino. Mentre una generazione di intellettuali e politici
di origine comunista, operaista, radicale, si innamorava della
flessibilità del lavoro e della globalizzazione e ne diventava
apologeta, egli si faceva rigoroso e implacabile contestatore dei “tempi
moderni”. Il sociologo olivettiano diventava no global senza cambiare
di un millimetro il suo impianto culturale originale. E così ha condotto
una dura, infaticabile lotta culturale contro l’egemonia del pensiero
unico liberista, un impegno che lo ha collocato controcorrente rispetto
al dogmatismo trionfante, ma che ne ha fatto il riferimento culturale di
tutte le lotte contro le precarietà e il dominio autoritario del
lavoro, contro la diseguaglianza sociale e le privatizzazioni.
Con
i suoi scritti Gallino faceva lotta di classe, quella lotta di classe
che denunciava essere diventata lo strumento dei ricchi contro i poveri,
di chi ha il potere
contro chi lo subisce. Ma nel suo impegno Gallino manteneva sempre il
rigore dello scienziato sociale, le conclusioni giungevano sempre alla
fine di rigorose e dimostratissime analisi dei fatti. Per questo erano
così fastidiose per un potere
che vende senso e ideologia per cancellare i fatti, che vuol convincere
che la ripresa economica è dietro l’angolo non perché sia vero, ma
perché l’ottimismo economico aumenta i profitti. Gallino entrava
sicuramente nella categoria non foltissima dei grandi professori
integri, categoria tanto odiata dai giovani arrampicatori renziani
formatasi negli spettacoli televisivi. Luciano Gallino era un gufo,
saggio, acutissimo, che naturalmente vedeva lontano.
Nel suo ultimo libro, che non sapevamo sarebbe stato il suo testamento, Gallino scrive ai suoi nipoti e descrive la Doppia Crisi,
economica ed ecologica del capitalismo. È un messaggio assolutamente
radicale quello che manda alle nuovissime generazioni. Ha vinto il
capitalismo peggiore, quello raccontato nel Tallone di Ferro di Jack
London. Non ci son aggiustamenti possibili all’orizzonte, ma bisogna
perseguire cambiamenti radicali nel nome dell’eguaglianza sociale, della
vita umana e della natura. L’Unione Europea è una dittatura finanziaria
che ha distrutto le costituzioni democratiche e lo stato sociale
europeo e l’euro è lo strumento del dominio liberista. Gallino è così
diventato NoEuro dopo un’analisi concreta della situazione concreta,
grazie alla quale ha concluso che giuste riforme sociali possano
realizzarsi solo con una profonda rottura del sistema attuale. Già venti
anni fa mi ero scusato con Luciano Gallino per quella mia polemica
ingiusta nei suoi confronti. Abbiamo poi avuto un lungo impegno comune e
solidale, ma ora voglio scusarmi di nuovo e ringraziare il grande
scienziato sociale, sempre integro e per questo assolutamente radicale.
(Giorgio Cremaschi, “Gallino, uno scienziato sociale rigororo e radicale”, da “Micromega” del 10 novembre 2015).
Ho conosciuto personalmente Luciano Gallino in un dibattito a Torino
nei primi anni ‘90 del secolo scorso. Avevo letto molti suoi scritti, ma
non lo avevo mai incontrato. Ero da poco diventato segretario della
Fiom regionale e fui invitato ad un confronto con lui ed altri sul
lavoro. Mi lasciai andare ad una filippica contro quegli intellettuali,
in particolare gli studiosi di scienze sociali, che – usai questa
metafora – non guardavano mai l’altra faccia della luna, cioè
descrivevano i cambiamenti in atto nel lavoro solo dal punto di vista
delle direzioni d’impresa. Erano gli anni del trionfo del toyotismo
all’italiana lanciato dalla Fiat di Cesare Romiti, che trovava il suo
magnificato modello nel nuovo stabilimento di Melfi. In realtà nasceva
un nuovo sistema di comando autoritario sul lavoro, che faceva passare
per partecipazione quella che in realtà era solo la ricerca della
sottomissione totale del lavoratore all’impresa.Ci vogliono in guerra, l’Isis è solo manovalanza (di fiducia)
15/11 • idee •
E adesso siamo davvero in guerra. «Tutta la vita politica
europea sarà sconvolta per sempre», dice Giulietto Chiesa, secondo cui
d’ora in avanti ogni disagio sociale sarà rubricato come problema di
ordine pubblico: «La nostra vita diverrà un eterno passaggio attraverso
un metal detector». Lo sanno bene i politici che balbettano di fronte
alla strage di Parigi, che espone al ridicolo l’intero dispositivo
francese della sicurezza: a dieci mesi dalla mattanza di “Charlie
Hebdo”, non meno di 70-80 professionisti armati, alloggiati, organizzati
e coordinati nella capitale transalpina hanno potuto mettere a segno 7
attacchi simultanei in pieno centro. «Vuol dire che è meglio che quelli
della Suretè si diano al giardinaggio», scrive Aldo Giannuli. Possibile
che gli uomini di Hollande si siano fatti sorprendere così? Peraltro, se
si pensa che siamo a 14 anni dall’attentato alle Twin Towers, dopo tre
guerre (Afghanistan, Iraq e Libia) e un mare di soldi spesi, «qui la
disfatta non è solo dei francesi, ma di tutta l’intelligence
occidentale». Puzza di bruciato? Se ne accorge persino il mainstream:
Paolo Pagliaro, nella trasmissione “Otto e mezzo” condotta da Lilli
Gruber su “La7”, ricorda che l’Isis è stato finanziato da Turchia e
Arabia Saudita, ed equipaggiato dagli Usa.
Il vicepresidente Joe Biden riconobbe, tempo fa, che le armi inviate ai
“ribelli” anti-Assad erano “finite” tutte alle milizie jihadiste del
“califfo” Abu Bakr Al-Baghdadi, l’uomo fotografato in Siria in compagnia
del senatore John McCain.
«La
Russia, con il suo intervento in Siria, ha cambiato il quadro politico
mondiale», osserva Giulietto Chiesa su “Megachip”. «Il piano di
ridisegnare la mappa medio-orientale è fallito. Daesh è, di fatto,
sconfitta là dov’è nata. Dunque i suoi manovratori spostano l’offensiva
in Europa».
Obiettivo chiarissimo: terrorizzare il vechio continente e costringerlo
sotto l’ombrello americano. «A mettere a posto la Russia penserà
Washington. Del resto l’Airbus abbattuto nel Sinai, in termini di sangue
russo innocente, è equivalso al massacro parigino. E non ce ne eravamo
accolti». Merkel e Hollande, i due leader che «stavano cambiando rotta
per uscire dal cappio americano», sono avvertiti. E mentre i Renzi di
tutta Europa
non osano affrontare le telecamere non sapendo cosa dire, ci si domanda
inevitabilmente chi siano i manovratori del potente e vastissimo gruppo
di fuoco che ha potuto fare quello che voleva, nel pieno centro di
Parigi. «L’Isis è creatura di una Spectre composta da pezzi di Occidente
e petromonarchie del Golfo», annota Chiesa. «Qualcuno la guida, ed è
molto potente, carico di denaro e di armi. Il fanatismo è la sua
facciata. Ma non spiega la sua “intelligence”». Una traccia l’ha fornita
un anno fa Gioele Magaldi col suo libro “Massoni”, edito da
Chiarelettere: una delle 36 Ur-Lodges, vertice massonico del potere
mondiale, avrebbe un debole per le stragi e la strategia della
tensione. Si chiama “Hathor Pentalpha” e, secondo Magaldi, annovera tra i
suoi leader il capo del centrodestra francese, Nicolas Sarkozy.
Obiettivo strategico: annullare la democrazia, anche a colpi di attentati, per riconsegnare il potere all’élite più reazionaria, neo-feudale, neo-aristocratica.
Sorta
nel 1980 quando George Bush fu sconfitto da Reagan nella corsa alla
Casa Bianca, la “loggia del sangue e della vendetta” avrebbe promosso
l’apocalisse dell’11 Settembre, punto di partenza della “guerra
infinita” che da allora sta destabilizzando il pianeta. Oltre ai Bush,
dal vecchio George Herbert al figlio George Walker fino al fratello, Jeb
Bush, tra gli alfieri della “Hathor” figurerebbero anche Tony Blair,
l’uomo da cui nacque l’invenzione delle “armi di distruzione di massa”
di Saddam Hussein, nonché un leader autoritario come il turco Ergogan,
appena rieletto con un plebiscito da una Turchia abbondantemente
terrorizzata con un’ondata di paurosi attentati molto simili a quello di
Parigi. Nel nome “Hathor”, spiega Magaldi, c’è il richiamo diretto
all’Isis: Hathor è l’altro nome della dea Iside, molto popolare nel
milieu massonico, compreso quello dei “controiniziati” che userebbero a
scopo di potere
– e con sanguinario cinismo – la propria conoscenza esoterica, fatta
anche di precisi riferimenti simbolici. Sempre su “Megachip”, Roberto
Quaglia ricorda la passione di Christine Lagarde (Fmi) per la
numerologia, e osserva che la strage parigina è avvenuta un venerdì 13,
nell’11esimo mese dell’anno e nell’11esimo “arrondissement” di Parigi.
La
maggior parte delle vittime, quelle del teatro Bataclan, erano
spettatori di un concerto di heavy metal, sul palco c’erano gli “Eagles
of Death Metal”. «Due settimane prima, a Bucarest (nota una volta come
“la piccola Parigi”), in una strage su scala minore oltre 50 ragazzi
perivano nel rogo sviluppatosi durante un concerto heavy metal, evento
che ha rapidamente portato alla caduta del governo rumeno e
l’instaurazione di un governo “tecnico” più eurocratico che mai»,
aggiunge Quaglia. Frequentare concerti heavy metal sta iniziando a farsi
pericoloso? «Ciò detto, buona Terza Guerra Mondiale a tutti». Secondo
Quaglia, all’Isis «non bastava venire bombardata dalla Russia con bombe
vere», tenendo conto che quelle sganciate dagli Usa
erano, di fatto, rifornimenti. «L’Isis vuole che anche la Francia ora
si faccia avanti per bombardarli e, possibilmente, che invii anche
truppe di terra per combatterli meglio. Cosa c’è di strano? Ha già
annunciato simili attentati pure a Roma, Londra e Washington». Evidente
la strategia: coinvolgere l’Europa
nell’opzione-guerra, quella su cui scommettono dal 2001,
ininterrottamente, le “menti” dell’11 Settembre, capaci di “inventarsi”
come nemico pubblico prima l’ex uomo Cia in Afghanistan, Osama Bin
Laden, e ora il bieco “califfo”, capo di un’orda di tagliatori di teste,
completamente indisturbati fino all’entrata in azione, in Siria, dei
bombardieri di Putin.
Non
era già Bin Laden, continua Quaglia, a sperare che – 14 anni fa –
l’Afghanistan venisse bombardato e l’Iraq invaso? «Dopotutto fu proprio
questo che egli ottenne». La solite malelingue sostengono che Isis è
stato creato dagli Stati Uniti? E pazienza «se fra le malelingue c’è il
generale francese Vincent Desportes, cosa volete che ne sappia uno come
lui?». E le foto di Al-Baghdadi con McCain? «A chi non capita,
dopotutto, di trovarsi per sbaglio assieme a personaggi sgradevoli che
passavano di lì per caso?», scrive Quaglia, con sarcasmo: «Potrebbe
accadere ad ognuno di noi». Alla vigilia dell’attentato di Parigi il
capo della Cia si sarebbe incontrato col responsabile dei servizi
segreti francesi? «Probabilmente questa gente va insieme a bersi una
birra più spesso di quanto pensiamo – e cosa c’è di male?». Come spesso
accade in questi casi, aggiunge Quaglia, le informazioni della strage su
Wikipedia sono apparse a velocità da record: «Pare che alcuni fatti
(una dichiarazione di Hollande) siano stati riportati addirittura prima
che accadessero. Ma a questi piccoli miracoli siamo ormai abituati: i
più smaliziati ricorderanno la Bbc annunciare l’11 settembre 2001 il
crollo del Wtc7 con 20 minuti di anticipo rispetto al fatto».
E
siamo anche abituati ad altre puntuali “coincidenze”: tutte le volte
che i terroristi colpiscono, qualche esercitazione antiterrorismo è
sempre in corso. Accadde a New York l’11 Settembre, a Londra il 7 luglio
2005. Stavolta, a Parigi, la polizia era accorsa in forze alla Gare de
Lyon per un allarme bomba. «E sempre per un “allarme bomba” lo stesso
giorno è stato fatto sgomberare anche l’albergo dove si trovava la
squadra nazionale tedesca di calcio, in città per l’incontro serale con
la Francia. Dite che è poco?». Quel giorno, infine, era in corso «anche
un’esercitazione completa proprio per il caso di un multi-attacco, che
coinvolgeva polizia e pompieri, esattamente come in tutti i casi più
eclatanti di terrorismo che ci hanno propinato». Secondo Quaglia, è
impossibile non leggere una precisa regia dietro tutti questi eventi.
Tanto più vero oggi, dopo la recente decisione del governo Hollande di
apporre il segreto di Stato alle indagini sulla strage di “Charlie
Hebdo”: i magistrati avevano scoperto che le armi provenivano da una
strana triangolazione tra Slovacchia, Belgio e servizi segreti francesi.
Realtà occulta, spaventosa e “inaccettabile”, come quella disegnata da
Gioele Magaldi? «E’ previsto che ve ne rendiate conto a puntate, così da
non farci troppo caso», conclude Quaglia. «Avete mai sentito la ricetta
di come vanno bollite le rane così che non saltino fuori dalla
pentola?».
E adesso siamo davvero in guerra. «Tutta la vita politica
europea sarà sconvolta per sempre», dice Giulietto Chiesa, secondo cui
d’ora in avanti ogni disagio sociale sarà rubricato come problema di
ordine pubblico: «La nostra vita diverrà un eterno passaggio attraverso
un metal detector». Lo sanno bene i politici che balbettano di fronte
alla strage di Parigi, che espone al ridicolo l’intero dispositivo
francese della sicurezza: a dieci mesi dalla mattanza di “Charlie
Hebdo”, non meno di 70-80 professionisti armati, alloggiati, organizzati
e coordinati nella capitale transalpina hanno potuto mettere a segno 7
attacchi simultanei in pieno centro. «Vuol dire che è meglio che quelli
della Suretè si diano al giardinaggio», scrive Aldo Giannuli.
Possibile che gli uomini di Hollande si siano fatti sorprendere così?
Peraltro, se si pensa che siamo a 14 anni dall’attentato alle Twin
Towers, dopo tre guerre (Afghanistan, Iraq e Libia) e un mare di soldi
spesi, «qui la disfatta non è solo dei francesi, ma di tutta
l’intelligence occidentale». Puzza di bruciato? Se ne accorge persino il
mainstream: Paolo Pagliaro, nella trasmissione “Otto e mezzo” condotta
da Lilli Gruber su “La7”, ricorda che l’Isis è stato finanziato da
Turchia e Arabia Saudita, ed equipaggiato dagli Usa.
Il vicepresidente Joe Biden riconobbe, tempo fa, che le armi inviate ai
“ribelli” anti-Assad erano “finite” tutte alle milizie jihadiste del
“califfo” Abu Bakr Al-Baghdadi, l’uomo fotografato in Siria in compagnia
del senatore John McCain.
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