lunedì 23 novembre 2015

PARIGI-SIRIA: CUI PRODEST. Una crepa nell′imperialismo.

PARIGI-SIRIA: CUI PRODEST. Una crepa nell′imperialismo.
Redazione | 22-11-2015 Categoria: Mondialismo Stampa

PARIGI-SIRIA: CUI PRODEST. Una crepa nell'imperialismo.


 “Non è la guerra di Israele, è la vostra guerra, è la guerra della Francia, perchè è la stessa guerra. Perché se riescono qui, ed è Israele ad essere criticata e non i terroristi, e se non siamo solidali, allora questa peste di terrorismo verrà da voi. E’ una questione di tempo: verrà in Francia!” (Netaniahu, agosto 2014)
Di uno dei kamikaze di Parigi è rimasto solo un dito. E tutti stanno guardando quello” (www.spinoza.it, Il Fatto Quotidiano)
“Per sconfiggere l’Isis dobbiamo bombardare i curdi” (Erdogan). “Per sconfiggere l’Isis dobbiamo eliminare Assad” (Hollande). “Per sconfiggere l’Isis dobbiamo distruggere la Siria” (Obama). “Per sconfiggere l’Isis dobbiamo bombardare l’Isis” (Putin)
Il post-Parigi Torme di morti viventi che avanzano, ti circondano, ti vengono addosso, ululano, guaiscono, miagolano, sbavano, singhiozzano, ruggiscono, digrignano i denti, emettono borborigmi rivoltanti. Non è un film. Sono i cronisti e i commentatori della stampa d’Occidente che, come ti mordono, diventi come loro. Come si dice a Blob? E’ la cosa più orribile che abbia mai visto.

L’alfa e l’omega Moshe Ya’alon, testa militare dell’idra israeliana, braccio destrissimo di Netaniahu, è la gallina che ha cantato per prima. Non s’era ancora spenta l’eco delle mitragliate nel Bataclan, che l’energumeno ha indicato l’obiettivo principale dell’operazione: “In Europa i diritti umani devono sottostare alle esigenze della sicurezza. Dobbiamo intercettare tutte le comunicazioni, stringere tutti i controlli, porre poliziotti davanti a ogni esercizio pubblico. Dobbiamo seguire l’esempio degli Usa dove, dopo l’11 settembre, la sicurezza ha prevalso su ogni altra considerazione. Detto da uno dei massimi esperti nell’annientamento di diritti umani e relative vite. Ma non sono solo gli spurghi di questo nazisionista a far correre il pensiero da Parigi a Tel Aviv.
E’ l’espressione più recente del genocidio strisciante palestinese che dura da settant’anni, altro che i dieci del nazismo. Di fronte al quale spunta la domanda maliziosetta del perché mai i jihadisti, che pongono da sempre Israele in cima agli infedeli da liquidare, non si
siano mai sognati di fare anche solo uno sgambetto a qualche rappresentante del nemico principale a casa sua (occupata). Hanno, sì, ammazzato ebrei, ma mai in Israele. Che potrà sacrificare suoi correligionari nei paesi “infestati da antisemitismo” e mai sufficientemente a fianco dello Stato ebraico, ma deve pur rassicurare i propri cittadini sulla propria indefettibile sicurezza.
Ottobre-15 novembre: Netaniahu e i suoi jihadisti ammazzano 80 civili palestinesi. Fanno a gara con i compari di Parigi (e di New York, Londra, Madrid, Sinai, Beirut, Ankara, Siria, Iraq, Yemen, Somalia, Afghanistan, Nigeria…). Viene abbattuto sul Sinai il Boeing russo e muoiono 224 civili. A Beirut  esplodono bombe nei quartieri sciti e muoiono 41 civili. Duemila sono i morti dei bombardamenti sauditi in Yemen, facilitati dalle armi che Finmeccanica e Renzi vendono a Riyad. Sono 250mila le vittime, insieme a 11 milioni di profughi interni ed esterni, di cinque anni di guerra alla Siria. Sono 2, 5 milioni le vittime delle guerre Nato-Golfo in Iraq. E poi Afghanistan, Pakistan, Somalia, Libia, Palestina, Sahel invaso dalla Francia, paesi latinoamericani destabilizzati… Lumini, pianti, gigantografie, cordoglio universale, inni, riti e liturgie, ai primi. Silenzio, indifferenza, (soddisfazione?), per tutti gli altri, con molti più bambini e donne, con un oceano di distruzioni e devastazioni. 
La Marsigliese, cantata a petto in fuori da mandanti, sicari e masse di poveretti lobotomizzati, ha fatto risuonare in Mali, Niger, Ciad, RCA, Costa d’Avorio, Libia, Siria, Iraq, liberté, egalité e fraternité sotto forma di esclavage, racisme, colonialisme.. E poi rompono i coglioni alle comunità islamiche, prime vittime sia dei loro correligionari mercenari, sia dell’Occidente che questi ha reclutati, perché non si manifestano abbastanza duri contro gli islamisti. Non sarà perché i musulmani non mercenari dell’impero hanno capito benissimo chi fa gli attentati?  Infine tutto il mondo proclama Je suis Paris (come prima, quando si è autoinsultato chiamandosi Je suis Charlie). Ovviamente tutti si sentirebbero come chi finisce in costume da bagno in una messa cantata se dicessero anche Je suis Beirut, Je suis Ramallah, Je suis Damas, Je suis Sanaa…..


Insegnanti di terrorismo. In Israele e da noi.
Il sasso nell’acqua e i suoi cerchi Il metodo scientifico che non ammette refutazioni è quello storico. Allora vediamo la storia dei grandi attentati terroristici, da Pearl Harbour all’11 settembre, da Piazza Fontana alle armi chimiche turche in Siria e se tre indizi fanno una prova, che prova fanno 100 indizi?  L’altra chiave di lettura irrinunciabile e quasi sempre inconfutabile, è il cui prodest. Vediamolo, uno per uno, relativo a Parigi uno e due.
Si rinfocola lo scontro di civiltà tra Occidente civile e Islam e Sud del mondo incivile. Si alimenta la paura dei popoli, funzionale alle guerre di aggressione fatte passare per difesa, e all’ulteriore stretta verso Stati di polizia. Patriot Act,  stati d’emergenza (e dunque commissari di regime al posto di rappresentanti del popolo (vedi Renzi a Roma e ovunque), legge marziale e riforme reazionarie della Costituzione (vedi Renzi) garantiscono la sorveglianza totale e mezzi di annientamento delle insubordinazioni sociali, della privatezza e della libertà d’espressione. Una prima applicazione nel dopo-attentato è stata l’occupazione militare del quartiere di St.Denis. Stato d’assedio nei confronti dei suoi cittadini, una popolazione multinazionale giovane vivacissima, contestatrice, non certo scelta a caso perché da anni, con la sua popolarissima università, focolaio di idee e di movimenti, costituisce una spina nel fianco della Parigi da normalizzare. L’assalto al presunto covo, le bombe, la sparatoria, il terrore degli abitanti, i morti, i feriti, la gente costretta in casa, mezzi blindati dell’esercito, delle forze speciali e della polizia, elicotteri ad altezza di finestre, morte ventilata dai gendarmi a chi usciva di casa, irruzioni e perquisizioni dove capita. Prove di dittatura, prove di colpo di Stato, prova di quello che ci attende tutti. Già si era visto a Boston, col pretesto delle bombe alla maratona. Per alcune settimane la città sembrava un quartiere di Baghdad nel 2003. Da noi queste cose le abbiamo incominciato a vedere nella Val di Susa.militarizzata.
Tempestivo e chiarissimo il nostro procuratore antiterrorismo Franco Roberti: “Dovremo cedere pezzi della nostra libertà”. Del poco che ancora rimaneva dopo l’avvento del golpista di Rignano. Creando e anfetamizzando l’odio razziale, tipo Salvini e Le Pen, si lacera il tessuto sociale e si atomizzano gli individui  e si perfeziona il regno delle diseguaglianze. Si offrono opportunità di controllo sociale e demolizione dei diritti agli europei amici che, subito, ne approfittano per eclatanti sospensioni di partite (Hannover), terrificanti allarmi bomba a gogò, aerei dirottati. Si mettono in un angolo i governi riluttanti alle avventure militari e relative spese (Germania, Italia, Spagna, europei minori). Si neutralizza il monopolio della Russia, unico efficace e sincero combattente contro il terrorismo, che ha sparigliato l’intera scena mediorientale e ha alterato l’equilibrio geopolitico mondiale, gettando gli Occidentali nel panico e nell’isteria.
Si distrae sia dal molto sospetto abbattimento del Boeing russo sul Sinai, sia dal terrorismo USraeliano sempre più evidente all’opinione pubblica (la crocchia dirigente francese è in gran parte correligionaria degli israeliani: Hollande, Fabius, Sarkozy, Royal e così l’élite intellettuale, Bernard Levy, Glucksman…). Si giustifica il riarmo che rafforza il complesso militar-industriale a scapito di altre economie e industrie che prosperano sui rapporti pacifici. Si fa una pera di sangue all’anemico presidente francese che può gonfiare e lepenizzare i suoi gracili muscoletti in vista della prossima tornata elettorale. Poi, per coprire l’evidente collusione con gli attentatori, evidenziata dalle quasi 4 ore di licenza di uccidere concesse in piena Parigi prima dell‘intervento della polizia, si organizza una canizza due giorni dopo, in un quartiere di fermenti sociali e culturali, dove la polizia, uccidendo “terroristi” e anche passanti, può ricuperare la faccia perduta.
Si criminalizza la vasta comunità immigrata araba e ci si prepara a espulsioni e a chiusure delle frontiere ai rifugiati. Si impone a un’opinione pubblica, riottosa ma domata, l’accettazione del TTIP (trattato di libero scambio Usa-UE) e del TISA (accordo per la privatizzazione di tutti i servizi), che eliminano i residui delle sovranità nazionali e popolari e sanciscono la dittatura dei poteri economici  di cui i gruppi dirigenti euro-atlantici sono l’espressione. E visto che i terroristi imperversano e si moltiplicano in internet, si potrà disciplinare questo estremo strumento di libertà e permettere ai service, Google, Yahoo, Facebook, Twitter, eccetera, di spiare per i regimi i propri clienti. E, come ciliegina su questo tiramisù del tecno-nazismo, si riabilitano, per la proprietà transitiva, i portavoce più volgari e razzisti del sionimperialismo, Charlie Hebdo, che avevano appena sconcertato l’umanità perbene con queste oscene vignette sull’abbattimento dell’aereo russo. Sono quelli che Hollande chiama “i nostri valori”. Le didascalie: 1) I rischi del low cost russo; 2) L’aviazione russa intensifica i bombardamenti. Uguali alle vignette anti-ebrei dei nazisti.
Repetita juvant Un ulteriore criterio per smascherare la strategia delle False Flag, ormai strumento prevalente per le guerre esterne e interne, è la pedissequa ricorrenza di elementi di continuità. Ogni volta c’è chi fornisce preavvisi degli attentati.(a Parigi, la comunità ebraica, i servizi sauditi e iracheni). Poi si denunciano “le falle” negli apparati e sistemi di sicurezza. Così si giustificano ulteriori misure fasciste  e si preme su governi non adeguatamente militanti a schierarsi con maggiore decisione. Ogni volta si uccidono (anche quando già catturati, come Coulibaly nel negozio Kosher), o muoiono, tutti gli attentatori, che però si fanno identificare da documenti personali fortuitamente lasciati sul posto (magari lindi e integri nel taxi della fuga, o in mezzo alla Torri polverizzate). Poi si procede a largo raggio per schiacciare  ogni velleità politica delle comunità immigrate  attraverso retate a casaccio di loro membri. Integralisti islamici saputi devoti ai rigori dei loro costumi e pronti alla partenza per il paradiso, si scoprono puttanieri, giocatori d’azzardo, bevitori, frequentatori di ambienti equivoci (i presunti piloti dell’11 settembre), o malviventi e spacciatori (la “cellula” belga degli attentatori).
I più collaudati servizi di intelligence e sorveglianza delle maggiori potenze si scoprono ciechi, muti e sordi (e dunque vanno rafforzati), mentre certe forze di polizia assistono passive all’azione di Charlie Hebdo, o arrivano quattro ore dopo l’inizio dell’operazione, a strage compiuta, nelle zone a maggiore vulnerabilità (1 poliziotto davanti al giornale più inviso ai musulmani, due poliziotti davanti al Bataclan, proprietà di ebrei). Ogni atto di terrorismo in Occidente ha favorito guerre d’aggressione.Tutti i grandi attentati, dalle Torri Gemelle al Pentagono, da Piazza Fontana alla Maratona di Boston, da Charlie Hebdo alla stazione di Bologna, all’operazione Northwoods, che doveva attribuire a Cuba bombe negli Usa e abbattimento di aerei Usa pianificati dal Pentagono (e che Kennedy stoppò, in un anteprima del dissidio di oggi tra circoli militaristi e opzioni soft di destabilizzazione), da Londra 2005 a Madrid 2004, rivelano all’analisi più superficiale manipolazioni di fatti, baggianate tecniche e strumenti umani inconsapevoli o manovrati, tutto regolarmente soppresso da investigatori e media di regime.
I convenienti tabù degli utili idioti e amici del giaguaro A questa fenomenologia dei terrorismi di Stato danno una mano preziosa, atta a narcotizzare eventuali perplessità delle opposizioni politiche e sociali, i tabù Nato e False Flag delle sedicenti sinistre. I volumi di prove all’incontrario dei più autorevoli esperti della materia, dei tecnici, degli storici, degli investigatori indipendenti, non hanno accesso alle dichiarazioni e pubblicazioni di politici e media di “sinistra”, in perfetta sintonia con l’occultamento che ne fanno i regimi e loro mezzi d’informazione. E, si sa, queste unanimità servono al più forte e minchionano il più debole. Qualcosa che vada oltre il dubbio traspare dai Cinque Stelle, ma anche questo viene rigorosamente dribblato nella pubblicistica di “sinistra” e nei suoi microrganismi recentemente proliferanti, da Sinistra Italiana ai sinistri radicali, da Coalizione Sociale ai mille partitini comunisti rifondati, dai guru di pace, nonviolenza e antifascismo. E a questo proposito, è discutibile la pressione del M5S, che pure coraggiosamente e da solo entra in campo in difesa della Siria e contro le guerre, quando accredita la fondatezza dei propositi di regime per un potenziamento degli organi di controllo e sicurezza: Abbiamo più polizie e il più alto numero di agenti rispetto alla popolazione di tutta l’Europa. E il loro comportamento in ordine pubblico, affine a quello impiegato negli Usa contro neri e manifestanti, fa sembrare eserciti della salvezza le forze dell’ordine in tutta Europa e soprattutto in Russia.
Neanche la più efferata dimostrazione di aggressività della Nato, come la superfetazione di basi inquinatrici e omicide, o la recente esercitazione Kolossal “Trident Juncture 15” di prova alla guerra in Africa, Medioriente e Russia, ha fatto entrare nei proclami e programmi di anche una sola conventicola della “nuova sinistra” un accenno di messa in discussione del principale apparato della globalizzazione militare e totalitaria. Neanche la montagna di serie confutazioni, da centinaia di fonti di indiscutibile competenza, di questo o quest’altro episodio di terrorismo, ha mai avuto ospitalità nel “manifesto”, o nella saggistica dell’intellighenzia di sinistra. Una ininterrotta successione di false bandiere, di provocazioni  di Stato storicamente dimostrate e anche riconosciute, perfino ammesse ed elogiate da un nostro Capo di Stato, Cossiga, qui non ha prodotto altro che diffamazione e ridicolizzazione dei “dietrologi” e “complottisti”.  Utili idioti, questi fideisti delle sacre tavole della disinformazione, o amici del giaguaro? Fate voi. Per me giocano tutti nella stessa squadra.
Sono strabilianti,.dopo anni di finte incursioni anti-Isis e di vero supporto all’Isis della coalizione occidentale, le vittorie diplomatiche e militari della Russia e dei relativi alleati in Siria e Iraq. Sottaciute dai media di ogni colore, come la conquista della base aerea di Aleppo, lo sfondamento verso Palmira, i missili Cruise dal Mar Nero al centro di Raqqa, o l’avanzata irachena nell’Anbar. In compenso viene esaltata la conquista di Sinjar da parte dei curdi iracheni, armati dagli Usa e protetti da Israele che, come i curdi di Siria, pure armati dagli Usa, si stanno appropriando di territori arabi, fuori dal Kurdistan, funzionali al piano USraeliano di frantumazioni delle nazioni arabe. Con grande irritazione di Erdogan e del suo piano di una zona cuscinetto per contenere i curdi e strappare territorio alla Siria. Quella zona, nei piani israelo-occidentali, è già dei curdi.
La crepa nell’imperialismo. Con la sua mossa del cavallo il migliore scacchista del torneo ha messo sotto scacco il re. Cosa può fare il re a questo punto? Ha due possibilità. O mobilita pedoni, torri, regine e li scaglia contro l’avversario e i suoi pezzi. Eliminazione di Assad e squartamento di Iraq e Siria, con, a rischio di una conflagrazione generale, la messa in riga di Russia, Iran, Libano (vedi bombe  di Beirut) e arabi ancora vivi. Oppure sospensione della partita in attesa di tempi migliori, magari dopo che qualche altro eccidio di russi attribuito all’Isis ammorbidisca quello che, comunque, resta il nemico pubblico numero uno.
C’è il cambio di rotta dell’accordo di Vienna, dove i 5+1 hanno dovuto piegarsi al piano russo-iraniano di tregua (come a Minsk) e di dialogo con le opposizioni siriane non terroriste (io stesso a Damasco le avevo incontrate nella persona di un vescovo maronita, leader della maggiore formazione non asservita all’imperialismo e ai petrodittatori, favorevole a una modifica della costituzione, ma anche alla permanenza di Assad). Hanno accantonato annosissimi progetti di distruzione della Siria, accettato il periodo di transizione, con Assad, e poi si vedrà alle successive elezioni. C’è il G20 con l’inusitato testa a testa confidenziale di Putin e Obama. Si  confermano così le due linee d’azione che dividono i guerrafondai dai diplomatici. Da un lato chi, vista la prospettiva di una sconfitta di Daish e Al Nusra per mano russo-iracheno-siriano, vuole scatenare l’inferno di una guerra terrestre di Golfo e Occidente contro Assad, facendo finta di avercela con i terroristi, sapendo benissimo che l’unica forza militare efficace sul terreno contro l’Isis e Al Nusra è l’esercito patriottico con i suoi alleati. Dall’altro, sempre alla luce della debacle dei propri mercenari, chi pensa di guadagnare tempo accettando la mediazione dei difensori della Siria.
L’asse Israele-Francia (il primo al perseguimento del Grande Israele, la seconda per riprendersi le vecchie colonie) è integrato da Cia, Pentagono, cioè complesso militar-industriale,Turchia, mallevadori di Daish nel Golfo. L’asse Russia-Iran-Baghdad-Damasco-Hezbollah, vittorioso sul campo, vede confluire nella sua proposta di soluzione politica i Brics, gran parte del Sud del mondo, paesi europei come Germania, Italia, Spagna e perfino il parlamento britannico che ha negato a Cameron l’intervento di terra. Ha voglia il patetico personaggetto di Parigi a urlare “Allons enfants à la guerre”, e a spedire i suoi Rafale a bombardare edifici vuoti a Raqqa (così è stato filmato). C’ è anche da noi tal Ammiraglio Di Paola, palafreniere del Pentagono. Appuntatosi sul petto di ministro della Difesa il genocidio libico, sgarra dalla linea italiana e, infilatosi il pugnale tra i denti, perora che non ci si limiti alla “solidarietà” parolaia con Parigi e si vada giù di brutto contro Assad. Come minimo otterrà gli F35 e qualche miliardo in aggiunta agli 80 che sottraiamo giornalmente a pensioni, salari di miseria, scuole e ospedali.
Chi decide la partita sono i missili russi che, il giorno dopo l’attentato, hanno frantumato a Raqqa centri di comando e colonne di rifornimenti. Mentre John Kerry a Vienna,,preso pragmaticamente atto del nuovo rapporto di forze, fraternizzava apertamente con il ministro degli esteri russo, Lavrov, e ne elogiava il piano politico, mentre Obama si isolava con Putin ad Ankara e ne usciva parlando di “incontro costruttivo”, sottolineando il “ruolo positivo della Russia in Siria”, i generali a Washington, futuri presidenti e amministratori delegati delle società degli armamenti, sputavano fiamme contro la Russia. Il ministro della guerra e dell’industria militare, Ashton Carter, definiva per l’ennesima volta la Russia “una minaccia globale” al pari dell’Isis e chiamava l’intervento di Mosca  “benzina sull’incendio siriano”. Lo stesso capo di stato maggiore, generale Joseph Dunford, anatemizzava la Russia come “minaccia esistenziale agli Stati Uniti”, affermazione che il portavoce di Kerry ripudiava. Ma che viene condivisa dalla candidata presidenziale preferita dai nostri “sinistri”, Hillary Clinton, la belva del genocidio libico.
Significativo nel contesto di queste divergenze, l’appello a partecipare alla sua guerra che Hollande ha lanciato all’Europa, non alla Nato, mentre entrambe hanno clausole che impongono la partecipazione di tutti alla difesa del membro “aggredito” .Appello che ha scarse possibilità di essere accolto, se non da attori minori come i baltici, l’Ucraina, la Polonia, la Grecia, ora entrata in simbiosi militare con Israele. Non per nulla, dopo che Putin aveva puntato il dito contro certi commensali del G20, dicendo che ben 40 paesi alimentano e sostengono l’Isis (turchi, israeliani e tagliateste del Golfo fischiettavano, facendo finta di non sentire), ecco che gli schermi tv e i fogli di regime europei, anziché indignarsi, ci rovesciano addosso pensose riflessioni sull’anomalia che nostri alleati, da noi riforniti di armi, abbiano potuto approvvigionare la “massima minaccia alla civiltà occidentale”. C’è motivo di sospettare che l’evidenza della sinergia Golfo-Israele-Turchia-Daish, da noi denunciata e documentata mille volte, grazie a Putin abbia costretto a questa clamorosa virata buona parte dello schieramento anti-Assad. L’asse del rifiuto alla guerra aperta ne esce rafforzato. Altra affermazione dell’azione russa.
Chi decide sta in alto e si vede poco Qui non si sta argomentando che gli Usa, Obama, i poteri economici che guadagnano più dalla conquista economica  che dalle guerre, siano candidi angeli della pace e della rinuncia al dominio. L’obiettivo strategico della dittatura economica, politica e militare sul mondo  accomuna tutti perché è dettato dal vertice di una piramide della quale tutti, dell’una linea, o dell’altra, sono i mattoni, seppure conniventi-confliggenti. La differenza sta nel metodo. L’accordo sul nucleare con l’Iran, il connubio con Cuba nel segno della restaurazione capitalista, Aung San Suu Kji coalizzata con i tanto detestati generali e, ora, il riconoscimento del ruolo russo, rappresentano il prevalere dell’opzione dell’infiltrazione e dell’accerchiamento, sempre a scopo di regime change ovviamente, come in altre occasioni le rivoluzioni colorate.
Si vorrebbe concludere che poté più il capitalismo neoliberista che i marines, la guerra sporca, la destabilizzazione strisciante che i colpi di Stato militari e l’invasione-occupazione. Costano di meno, cosa di cui Obama e il suo retroterra bancario-petrolifero devono tener conto, anche perché alla Fortezza Bastiani statunitense non si affacciano i tartari, bensì 50 milioni di poveri, un apparato produttivo in disarmo, una marea di disoccupati, un debito stellare e intorno alle metropoli si addensano minacciose le baraccopoli e tendopoli di milioni di senzatetto, senza sanità, senza speranza. Forse, si teme, non basteranno i droni assassini, i poliziotti serialkiller, i campi di concentramento allestiti in tutti gli stati dell’Unione a trattenere chi, da ulteriori guerre, verrà buttato oltre i margini della sopravvivenza. In ogni caso deciderà la Cupola, la criminalità organizzata finanziaria. La crepa non sarà facile da rinsaldare. Sta a noi, all’umanità, allargarla a voragine. Per questo va fatto chiarezza sul terrorismo e va sostenuta la Russia.

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