Sul crac delle piccole banche
salvate dal governo si è detto talmente tanto che, come ha ricordato
qualcuno su Facebook «abbiamo scoperto di essere un popolo di sessanta
milioni di esperti di obbligazioni subordinate». Tra quei sessanta
milioni, l’11 dicembre, ha detto la sua anche l’autore di “Gomorra”
Roberto Saviano, che ha affidato a “Il Post” una lunga riflessione dal
titolo “La moglie di Cesare e il padre di Maria Elena Boschi”. Il succo
del ragionamento di Saviano è piuttosto semplice. Banca Etruria era
tecnicamente fallita prima che il governo la salvasse – insieme a Banca
Marche, Carife e Cassa di Risparmio di Chieti. Il vicepresidente di
Banca Etruria è il padre del ministro Maria Elena Boschi, esponente di
primo piano del governo in carica. Ergo, la ministra Boschi si deve
dimettere. E chi non le chiede di dimettersi è connivente e pavido di
fronte a un potere che è ancora più forte e senza argini di quello
dell’orrido Berlusconi.
Prima questione. Banca Etruria e le altre banche
erano tecnicamente fallite? Probabilmente sì. E se il governo non fosse
intervenuto com’è intervenuto, agli azionisti, agli obbligazionisti, ai
correntisti, alle famiglie e alle imprese cui le banche
avevano concesso credito sarebbe andata molto peggio, come ha spiegato
molto bene il direttore di “Formiche” Michele Arnese in uno degli
articoli più chiari e completi sulla vicenda. Voleva questo, Saviano?
Sperava che le quattro banche
fallissero? Che anche i correntisti, le famiglie e le imprese pagassero
come hanno pagato gli azionisti e gli obbligazionisti? Evidentemente
sì. Allora non si capisce perché, solo poche righe dopo, il
giornalista-scrittore parli con trasporto della «tragedia che ha colpito
Luigino D’Angelo, il pensionato che si è suicidato dopo aver perso
tutti i risparmi depositati alla Banca Etruria», come se fosse stato il
governo, salvando le quattro banche,
a spingerlo al suicidio, come se qualunque altra soluzione non avrebbe
messo lui e molti altri nella medesima situazione. Quindi, giusto per
mettere un punto e a capo: non è il governo che ha spinto al suicidio
Luigino D’Angelo, bensì i guai della banca a cui aveva affidato tutti i
suoi risparmi. L’intervento del governo, semmai, ha evitato disastri
peggiori.
Seconda
questione. Se Josefa Idem si è dimessa per un piccolo caso di evasione
fiscale, la ministra Boschi dovrebbe dimettersi perché suo padre «è» il
vicepresidente di una delle quattro banche
tecnicamente fallite e salvate dal governo. «È», dice Saviano.
Indicativo presente. E non pago, definisce Banca Etruria «la banca di
suo padre», come se la sede dell’istituto di credito fosse nel giardino
di casa Boschi. Piccolo dettaglio: Pier Luigi Boschi è stato sì in
passato, vicepresidente di quella banca, ma per soli otto mesi.
Dettaglio non irrilevante, ai fini dell’invettiva. Peraltro, se la Idem
si è dimessa per un caso che riguardava lei stessa, non vediamo perché
la Boschi dovrebbe dimettersi per un caso che – fino a che il diritto
non dirà che le colpe dei padri ricadono sui figli, perlomeno – non la
riguarda personalmente. Per opportunità? O meglio, per rispondere alla
«carica moralizzatrice del Movimento Cinque Stelle», che altro non è che
la presunzione di colpevolezza, sempre, comunque e a prescindere, pure
indiretta in questo caso? No grazie, caro Roberto.
Terza
questione: fino a ieri, dice Saviano, c’era una folta schiera di
scrittori, giornalisti, intellettuali che «si sono sentiti investiti di
monitorare cosa stesse accadendo alla politica italiana». Perché c’era Berlusconi, il Caimano. È grazie a loro, sostiene, se non siamo diventati la Russia
di Putin e la Turchia di Erdogan. Cosa che, sottintende, potrebbe
succedere oggi, perché «l’opinione pubblica è più indulgente. I media sono più indulgenti». «Perché – si chiede – sotto Berlusconi non ci si limitava a distinguere tra responsabilità politica e opportunità politica,
ma si era giustizialisti sempre?». Tradotto: belli i tempi in cui si
poteva beatamente sorvolare il merito delle questioni in nome
dell’emergenza democratica.
Delle due, una, quindi. Se Saviano è davvero convinto di quel che dice – che le banche
non andassero salvate, che è stato il salvataggio di Banca Etruria ad
aver ammazzato Luigino D’Angelo, che Banca Etruria sia «la banca di Pier
Luigi Boschi», che per questo sua figlia dovrebbe rimettere il mandato e
che chi non la pensa come lui è connivente con una specie di regime
peggiore di quello di Berlusconi
– possiamo chiuderla qui, stendendo un velo di pietosa indifferenza sul
suo intervento. Se invece ha usato una tragedia umana – non umanitaria,
come dice il ministro Padoan, ma umana – per attaccare il governo Renzi
– o, peggio ancora, per legittimarsi come capopopolo dei suoi
oppositori, di veli pietosi ne servirebbero ben più d’uno.
(Francesco Cancellato, “Caso Banca Etruria: ma Saviano ci è o ci fa?”, da “Linkiesta” del 12 dicembre 2015).
Sul crac delle piccole banche
salvate dal governo si è detto talmente tanto che, come ha ricordato
qualcuno su Facebook «abbiamo scoperto di essere un popolo di sessanta
milioni di esperti di obbligazioni subordinate». Tra quei sessanta
milioni, l’11 dicembre, ha detto la sua anche l’autore di “Gomorra”
Roberto Saviano, che ha affidato a “Il Post” una lunga riflessione dal
titolo “La moglie di Cesare e il padre di Maria Elena Boschi”. Il succo
del ragionamento di Saviano è piuttosto semplice. Banca Etruria era
tecnicamente fallita prima che il governo la salvasse – insieme a Banca
Marche, Carife e Cassa di Risparmio di Chieti. Il vicepresidente di
Banca Etruria è il padre del ministro Maria Elena Boschi, esponente di
primo piano del governo in carica. Ergo, la ministra Boschi si deve
dimettere. E chi non le chiede di dimettersi è connivente e pavido di
fronte a un potere che è ancora più forte e senza argini di quello
dell’orrido Berlusconi.Prima questione. Banca Etruria e le altre banche erano tecnicamente fallite? Probabilmente sì. E se il governo non fosse intervenuto com’è intervenuto, agli azionisti, agli obbligazionisti, ai correntisti, alle famiglie e alle imprese cui le banche avevano concesso credito sarebbe andata molto peggio, come ha spiegato molto bene il direttore di “Formiche” Michele Arnese in uno degli articoli più chiari e completi sulla vicenda. Voleva questo, Saviano? Sperava che le quattro banche fallissero? Che anche i correntisti, le famiglie e le imprese pagassero come hanno pagato gli azionisti e gli obbligazionisti? Evidentemente sì. Allora non si capisce perché, solo poche righe dopo, il giornalista-scrittore parli con trasporto
della «tragedia che ha colpito Luigino D’Angelo, il pensionato che si è suicidato dopo aver perso tutti i risparmi depositati alla Banca Etruria», come se fosse stato il governo, salvando le quattro banche, a spingerlo al suicidio, come se qualunque altra soluzione non avrebbe messo lui e molti altri nella medesima situazione. Quindi, giusto per mettere un punto e a capo: non è il governo che ha spinto al suicidio Luigino D’Angelo, bensì i guai della banca a cui aveva affidato tutti i suoi risparmi. L’intervento del governo, semmai, ha evitato disastri peggiori.
Seconda questione. Se Josefa Idem si è dimessa per un piccolo caso di evasione fiscale, la ministra Boschi dovrebbe dimettersi perché suo padre «è» il vicepresidente di una delle quattro banche tecnicamente fallite e salvate dal governo. «È», dice Saviano. Indicativo presente. E non pago, definisce Banca Etruria «la banca di suo padre», come se la sede dell’istituto di credito fosse nel giardino di casa Boschi. Piccolo dettaglio: Pier Luigi Boschi è stato sì in passato, vicepresidente di quella banca, ma per soli otto mesi. Dettaglio non irrilevante, ai fini dell’invettiva. Peraltro, se la Idem si è dimessa per un caso che riguardava lei stessa, non vediamo perché la Boschi dovrebbe dimettersi per un caso che – fino a che il diritto non dirà che le colpe dei padri ricadono sui figli, perlomeno – non la riguarda personalmente. Per opportunità? O meglio, per rispondere alla «carica moralizzatrice del Movimento Cinque Stelle», che altro non è che la presunzione di colpevolezza, sempre, comunque e a prescindere, pure indiretta in questo caso? No grazie, caro Roberto.
Terza questione: fino a ieri, dice Saviano, c’era una folta schiera di scrittori, giornalisti, intellettuali che «si sono sentiti investiti di monitorare cosa stesse accadendo alla politica italiana». Perché c’era Berlusconi, il Caimano. È grazie a loro, sostiene, se non siamo diventati la Russia di Putin e la Turchia di Erdogan. Cosa che, sottintende, potrebbe succedere oggi, perché «l’opinione pubblica è più indulgente. I media sono più indulgenti». «Perché – si chiede – sotto Berlusconi non ci si limitava a distinguere tra responsabilità politica e opportunità politica, ma si era giustizialisti sempre?». Tradotto: belli i tempi in cui si poteva beatamente sorvolare il merito delle questioni in nome dell’emergenza democratica.
Delle due, una, quindi. Se Saviano è davvero convinto di quel che dice – che le banche non andassero salvate, che è stato il salvataggio di Banca Etruria ad aver ammazzato Luigino D’Angelo, che Banca Etruria sia «la banca di Pier Luigi Boschi», che per questo sua figlia dovrebbe rimettere il mandato e che chi non la pensa come lui è connivente con una specie di regime peggiore di quello di Berlusconi – possiamo chiuderla qui, stendendo un velo di pietosa indifferenza sul suo intervento. Se invece ha usato una tragedia umana – non umanitaria, come dice il ministro Padoan, ma umana – per attaccare il governo Renzi – o, peggio ancora, per legittimarsi come capopopolo dei suoi oppositori, di veli pietosi ne servirebbero ben più d’uno.
(Francesco Cancellato, “Caso Banca Etruria: ma Saviano ci è o ci fa?”, da “Linkiesta” del 12 dicembre 2015).
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