Ormai possiamo chiamarla crisi della democrazia, o meglio: crisi
della partitocrazia che ha sorretto l’attuale sistema. In Spagna
nessuno dei partiti tradizionali – popolari (centrodestra) e socialisti –
ha ottenuto la maggioranza assoluta. Come era accaduto in Italia nel
2013 e, a ben vedere, come è avvenuto poche settimane fa in Francia,
dove per fermare l’avanzata di Marine Le Pen, Sarkozy e Hollande hanno
dovuto coalizzarsi. Fino ad alcuni anni fa, il sistema si reggeva
sull’alternanza centrodestra/centrosinistra che permetteva di mantenere
ai margini i partiti alternativi e di opposizione. Quindici anni di
folli politiche europee hanno portato a una continua erosione delle
sovranità nazionali e al simultaneo impoverimento delle economie reali,
dunque all’esplosione dell’indebitamento e della disoccupazione,
generando per la prima volta dal dopoguerra massicci e spontanei moti
popolari di protesta, che si traducono in un crescente consenso per i
movimenti politici alternativi.
La
gente non crede più ai partiti tradizionali perché ne ha constatato
l’impotenza. Chiede un cambiamento reale e, non trovandolo, segue
“Podemos” e “Ciudadanos” in Spagna, la Le Pen in Francia, il Movimento 5
Stelle e la Lega in Italia. Trattasi, finora, di movimenti di
maggioranza relativa o di forte minoranza, che però costringono
l’establishment a chiudersi sulla difensiva, aprendo così un nuovo
quadro: se centrodestra contro centrosinista non basta più, occorre che
centrodestra e centrosinistra si uniscano nel nome, paradossalmente, del
Supremo Interesse della Nazione per fermare l’“avanzata populista”,
“salvare l’Europa”, “difendere l’euro”,
“lottare contro le derive razziste”, eccetera eccetera. Probabilmente
andrà a finire così anche in Spagna: una bella ammucchiata
Psoe-Popolari. E forse basterà. Per ora. Ma dopo?
Se
non si affrontano le vere ragioni di questo dilagante e finora
irreversibile malcontento, la protesta continuerà a crescere, come ho
spiegato nel mio post di sabato 19. E da pacifica rischia di diventare
violenta, inducendo l’establishment a risposte ancora più radicali. In
fondo Mario Monti l’ha già lasciato intendere, in una recente
intervista, affermando che
«ci si può addirittura chiedere se la democrazia
come noi la conosciamo e l’integrazione internazionale siano ancora
compatibili, e questo porrebbe un problema gigantesco. In passato
l’integrazione ha diffuso e rafforzato la democrazia
in Europa, perché i vari Stati che uscivano da esperienze dittatoriali
si sono aggrappati alla Ue per consolidare le loro democrazie – dalla
Grecia al Portogallo, agli Stati ex comunisti. Oggi però la democrazia, anzi la deriva delle nostre democrazie, minaccia l’integrazione». Dunque il prossimo passo potrebbe essere la fine della democrazia, come la conosciamo oggi. Tutti sudditi, come nell’Unione Sovietica. Allacciate le cinture. Ci aspettano tempi difficili.
(Marcello
Foa, “Finta destra contro finta sinistra, anche la Spagna dice basta:
il sistema sta crollando”, dal blog “Il cuore del mondo” su “Il
Giornale” del 21 dicembre 2015).
Ormai possiamo chiamarla crisi della democrazia, o meglio: crisi
della partitocrazia che ha sorretto l’attuale sistema. In Spagna
nessuno dei partiti tradizionali – popolari (centrodestra) e socialisti –
ha ottenuto la maggioranza assoluta. Come era accaduto in Italia nel
2013 e, a ben vedere, come è avvenuto poche settimane fa in Francia,
dove per fermare l’avanzata di Marine Le Pen, Sarkozy e Hollande hanno
dovuto coalizzarsi. Fino ad alcuni anni fa, il sistema si reggeva
sull’alternanza centrodestra/centrosinistra che permetteva di mantenere
ai margini i partiti alternativi e di opposizione. Quindici anni di
folli politiche europee hanno portato a una continua erosione delle
sovranità nazionali e al simultaneo impoverimento delle economie reali,
dunque all’esplosione dell’indebitamento e della disoccupazione,
generando per la prima volta dal dopoguerra massicci e spontanei moti
popolari di protesta, che si traducono in un crescente consenso per i
movimenti politici alternativi.La gente non crede più ai partiti tradizionali perché ne ha constatato l’impotenza. Chiede un cambiamento reale e, non trovandolo, segue “Podemos” e “Ciudadanos” in Spagna, la Le Pen in Francia, il Movimento 5 Stelle e la Lega in Italia. Trattasi, finora, di movimenti di maggioranza relativa o di forte minoranza, che però costringono l’establishment a chiudersi sulla difensiva, aprendo così un nuovo quadro: se centrodestra contro centrosinista non basta più, occorre che centrodestra e centrosinistra si
uniscano nel nome, paradossalmente, del Supremo Interesse della Nazione per fermare l’“avanzata populista”, “salvare l’Europa”, “difendere l’euro”, “lottare contro le derive razziste”, eccetera eccetera. Probabilmente andrà a finire così anche in Spagna: una bella ammucchiata Psoe-Popolari. E forse basterà. Per ora. Ma dopo?
Se non si affrontano le vere ragioni di questo dilagante e finora irreversibile malcontento, la protesta continuerà a crescere, come ho spiegato nel mio post di sabato 19. E da pacifica rischia di diventare violenta, inducendo l’establishment a risposte ancora più radicali. In fondo Mario Monti l’ha già lasciato intendere, in una recente intervista, affermando che «ci si può addirittura chiedere se la democrazia come noi la conosciamo e l’integrazione internazionale siano ancora compatibili, e questo porrebbe un problema gigantesco. In passato l’integrazione ha diffuso e rafforzato la democrazia in Europa, perché i vari Stati che uscivano da esperienze dittatoriali si sono aggrappati alla Ue per consolidare le loro democrazie – dalla Grecia al Portogallo, agli Stati ex comunisti. Oggi però la democrazia, anzi la deriva delle nostre democrazie, minaccia l’integrazione». Dunque il prossimo passo potrebbe essere la fine della democrazia, come la conosciamo oggi. Tutti sudditi, come nell’Unione Sovietica. Allacciate le cinture. Ci aspettano tempi difficili.
(Marcello Foa, “Finta destra contro finta sinistra, anche la Spagna dice basta: il sistema sta crollando”, dal blog “Il cuore del mondo” su “Il Giornale” del 21 dicembre 2015).
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