martedì 15 marzo 2011

E' DURA DA DIGERIRE SCOPRIRE DI ESSERE STATI INFORMATI MALE PER ANNI E PER QUESTIONI GRAVISSIME!


Fulvio Grimaldi

Latif, l'iracheno

pubblicata da Fulvio Grimaldi il giorno lunedì 14 marzo 2011 alle ore 16.17
Nel momento in cui la Clinton suonava la carica degli avvoltoi con bomba contro la Libia, ero a Viterbo a una conferenza sulla "primavera araba". Accanto alla Mecozzi, Cgil, che cinguettava di "società civile" libica da soccorrere, e a Parlato che, ancora dolorante per le frustate ricevute da Rossanda per aver scritto cose in difesa di Gheddafi, "antimperialista nel mondo arabo e in Africa e promotore di benessere sociale", borbottava che i libici di Allah e della bandiera monarchica erano diversi dagli insorti di Tunisia ed Egitto, dal palco si erse, con la virulenza di tutti i rinnegati dalla coscienza sporca, tale Latif Al Saadi, l'iracheno. Sbraitato il dovuto contro un Gheddafi impoveritore e stragista del suo popolo, coerentemente lo accoppiava al "sanguinario dittatore" Saddam, la cui rimozione era costata, ma questo non l'ha ricordato, il giusto prezzo di due milioni di iracheni ammazzati. L'imbelle Occidente, lamentava poi il compare dei fuorusciti che, in cambio di sterline e dollari, giuravano sulle armi di distruzione di massa di Saddam, stava esitando a saltare addosso a Gheddafi, proprio come per anni aveva abbandonato gli iracheni tra le zanne del dittatore iracheno. Un abbandono che qualche iracheno aveva subito sulla pelle sotto forma di ininterrotti bombardamenti, bombe, embargo genocida e scatenamento di Khomeini contro il suo paese. Come tutti i fuorusciti che si rispettino, Latif era andato in cerca di fortuna e compensi occidentali già alcuni decenni fa. Tuttavia dell'Iraq conosceva vita, morte e cazzate. "Quando gli americani arrivarono, assicurava, gli iracheni magari non gli gettavano fiori (e questo non poteva non ammetterlo), ma se ne restarono chiusi in casa, in speranzosa attesa di democrazia e diritti umani". Che sarebbero arrivati in forma di sterminio di una nazione, rasatura al suolo di un grandioso edificio di benessere, cultura millenaria, dignità e rettitudine antimperialista, genocidio affidato a marines stupratori e a milizie iraniane trapanatrici di teste sunnite. Il mestatore se la spassava intanto in Europa tra le coccole di intervistatori con velina Cia-Mossad. Io, invece, c'ero a Baghdad, come c'ero stato tante volte dal 1977 in poi. E gli iracheni non li avevo visti "chiusi in casa", ma in piazza o in armi in tutto il paese a infliggere all'invasore e ai suoi sgherri locali il massimo danno dai tempi del Vietnam. Dignità che sta ai Latif del mondo come un roseto a una latrina. Cosa volete, l'ominicchio rappresenta in Italia il Partito Comunista Iracheno. Già, quello che, su ordine di Mosca, nel 1979 si schierò con gli ayatollah all'assalto del proprio paese e, coerentemente, appena insediati i mezzani dell'occupante al "governo" dell'Iraq sbranato, vi si sono associati. Oggi, in quel regime, continuano a reggere bordone ai ratti e ai loro ammaestratori.

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