24 dicembre 1968 - Il
giorno della Grande Violazione
A volte la realtà è
talmente sconcertante che mortifica e annulla ogni più fervida fantasia,
scaraventandoci nella più totale prostrazione e dentro uno stato di impotenza
psicologica tale, da azzerare nell’individuo ogni eventuale, possibile reazione
emotiva e giudizio critico.
E’ la coscienza che
alimenta il cervello, ma la sua degenerazione, può innescare una “infezione”
così grave (iperplasia o ipertrofia), da indurre l’individuo,
all’autodistruzione. Questo è ciò che accade oggi all’uomo delle società
moderne.
E’ possibile che l’uomo dei
primordi (scimmia o non scimmia che fosse), abbia subito un trauma devastante,
a tal punto inimmaginabile, da destabilizzarne e alterarne la sua coscienza di
base, che utilizzava semplicemente per soddisfare le sue necessità e interagire
socialmente. Tutto questo, potrebbe essere imputato all’impatto di un meteorite
di grosse dimensioni con la crosta terrestre – a una pioggia radioattiva – a
uno spavento oltre ogni capacità di comprensione; insomma, la visione
sensoriale e traumatica di un fatto, talmente apocalittico da compromettere per
sempre la capacità di codifica del cervello - di contemplare e quindi di
assorbire un tale straordinario evento e, in seguito, di poterlo rimuovere.
Il solo modo a disposizione
dell’uomo “per incassare il colpo”, è stato di alterare la sua coscienza di
base in un’altra di natura relativistica. Prova ne è che, negli ultimi decenni,
fra guerre, olocausti, visioni apocalittiche di ogni genere, notizie raggelanti
sullo stato dell’ambiente, i vari accadimenti hanno, in brevissimo tempo,
modificato le nostre coscienze in coscienze malate.
E’ una coscienza sana che
nutre in maniera funzionale il cervello ma, una coscienza traumatizzata, lo
distrugge e lo fa implodere.
Chi ha vissuto l’orrore
dell’olocausto e la prigionia nei campi di concentramento nazisti, ha
inevitabilmente modificato la propria coscienza in una coscienza ipertrofica,
che ha prodotto una tale infinità di pensieri schizofrenici e di domande vane e
irrisolte (vista l’assurdità di una tale condizione), da costringere il proprio
cervello ad una inevitabile pressione contro le pareti della scatola cranica,
con tutti gli effetti del caso.
Quanti suicidi ci sono
stati dopo la liberazione dei deportati, e quanti soldati al ritorno dal
Vietnam hanno fatto la stessa fine? L’uomo ha rinunciato alla terra per le
macchine e questo, è segno di pura necrofilia, risultato di una coscienza
frustrata e squilibrata.
Violazione e profanazione,
che caratterizzano il nostro tempo (per brevità, definito moderno e civile),
vanno ascritte a una serie di sistematici comportamenti - assunti in seguito a
regole relazionali - che non hanno tenuto in nessun conto i ragionevoli limiti
etici, da sempre regolatori e armonizzatori di ogni azione umana.
La cosa stupefacente si
ricava dal fatto che tutti noi, in maniera arbitraria, persistiamo a chiamare
tali aberrazioni, diritti alla libertà.
Quello fu il peggiore dei
nostri giorni! La terra era li, una grossa palla sospesa nel vuoto. Circondata
dal nulla, viaggiava a tutta velocità verso l’ignoto, forse attratta da un
pianeta infinitamente più grande e dalla sua immensa forza di gravità; un mega
pianeta così distante e così diverso dai soliti, che nessun marchingegno umano
era in grado di scorgerlo. Un pianeta composto di pura energia, invisibile,
silenzioso ma con un tale potere di attrazione, che tutti i corpi del sistema
solare, prima o poi, sarebbero stati fagocitati dal suo devastante risucchio. A
questo pensavo! Allo stesso tempo la terra roteava su se stessa, e così
l’Everest, la sconfinata muraglia cinese, l’oceano Indiano, il Pacifico e fiumi
e laghi, senza che una sola goccia d’acqua si disperdesse nel circostante
universo - e noi tutti eravamo li. E c’ero anch’io, in quella infinitesima
parte di quel mondo mortificato, esposto a pubblico ludibrio. Un mondo che non
avrei mai voluto vedere, un mondo violato, ridicolizzato, messo a tacere per
sempre.
Era il 24 dicembre del 1968 e la televisione trasmetteva per
la prima volta l’immagine della nostra terra vista dallo spazio. Il mondo tutto festeggiò l’evento, ma
forse nessuno si rese conto, capì, che quel giorno, segnava l’inizio del
periodo più buio dell’umanità. Un oscuro senso di angoscia invase tutto il mio
essere, e un’amara paura si fece spazio fra le speranze del mio domani. Da quel
preciso momento siamo stati tutti condannati a pagare il prezzo della
violazione e della profanazione del Mistero.
Quando la terra era piatta
e senza confini, l’uomo era degno e perciò felice. L’acqua scorreva pura fra le
valli immacolate, fino giù, ai campi di grano, per dissetarli e onorarli con la
sua fresca devozione. Quando la terra era piatta, l’aria danzava libera fra le
foglie degli alberi, libera fra i capelli delle spose e tutte le cose vive,
annusavano il nuovo giorno, inebriate da tanta fragranza. Quando la terra era
piatta, gli uomini potevano sognare e Dio governava le loro notti. Che cosa
resta di Dio, oggi, e cosa resta dell’uomo?
Un incubo senza risveglio sovrasta le nostre vite. La paura,
è il perno cancerogeno intorno al quale si consuma la nostra esistenza. Nessun
potente farmaco o carezzevole parola, illuminato pensiero e strabiliante
scoperta, sono più in grado, di liberare l’uomo moderno, dal dolore e
dall’angoscia di questo mondo insensato.
Gianni Tirelli.
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