LA GRANDE PAURA. G. Tirelli
Il sentimento che più affligge le democrazie occidentali è la paura della
morte - conseguenza di un atteggiamento che, alla ricerca della verità, ha
anteposto l’idolatria e il relativismo consumista, sacrificando l’impianto
etico originario.
Una tale paura, indotta dalla degenerazione della coscienza, non va confusa
con lo spirito (o istinto) di autoconservazione da sempre connaturato
nell’uomo. Dal punto di vista evolutivo, la morte individuale è una conseguenza
ed una necessità contenuta nel concetto stesso di infinito, risultante di una
discontinuità del processo vitale.
Non siamo che foglie d’autunno che lasciano la presa perché la primavera
ritrovi le sue originarie ragioni e la terra confermi le sue speranze. La
nostra vita, come di ogni altra forma vivente è, allo stesso tempo, l’altare
sacrificale sul quale ci immoliamo volontariamente per onorare la volontà del
Mistero che, per i suoi figli benedetti, ha deciso, pace e riposo. Lo stesso
riposo di cui si nutrono i nostri bambini, perché possano sbocciare al sole
della vita con ritrovata energia. Per questo la morte, è la metafora di un
sonno ristoratore e rigeneratore e, le foglie che cadono e le nuove gemme che
sbocciano, sono le estreme condizioni che concorrono all’immortalità dell’anima.
E’ la gente che non teme la morte e ne comprende la sua necessità, a
godere, di una felicità, unica e costante. Sono le persone felici a non avere
paura della morte essendo la felicità, il prolungamento della consapevolezza.
La morte, è la sola ed unica versione della macchina del tempo che è in
grado di riportarci all’origine di tutte le cose, per poi dare inizio ad un
nuovo ed infinito viaggio verso la consapevolezza. Ciò che é’ineluttabile,
rientra nella sfera del divino; così la morte, alla quale é dovuto grande
rispetto.
Il primo fondamento della libertà, è il potere decidere della propria vita
e della morte. Diversamente, la libertà è illusione.
Fra i vari diritti dell’uomo uno, in particolare, è sempre più disatteso: é
il diritto alla morte e, chi impedisce questo diritto, è un assassino.
Non esiste, per tanto, nulla di più logico della morte e più irrazionale
della paura di morire.
La vita e la morte sono le due facce di una stessa moneta, ma la vita, è
ciò che rappresenta il suo valore. Nel regno dei morti, applicheremmo lo stesso
concetto, ma in modo esattamente opposto. Tutto questo non relativizza la
verità, anzi, la conferma, come dogma assoluto, essendo la stessa, il paradigma
di due circostanze opposte, eccezionali ed estreme.
Senza l’aldilà, quindi, non saremmo di qua: come il giorno e la notte, il
bene e il male! Un uomo muore, perché qualcosa lo ha abbandonato e per nessun
altro motivo. Potremmo pugnalare il suo cuore con una lama intinta nel curaro,
per mille, e mille volte ancora ma, se qualcosa non abbandona il suo corpo, per
fare ritorno alla sorgente della vita (il nulla), sarebbe condannato
all’immortalità.
E qui, entriamo nel campo dell’assurdo! Nessuna terribile malattia potrebbe
minare la sua esistenza, ne il rullo di uno schiaccia sassi, dilaniare i suoi
organi; basterebbe ricomporlo. Se qualcosa, non lo abbandona, gli sarebbe
negata la morte, ma anche la vita. Un tale uomo, dunque, non esiste!
Il Nulla, sommo architetto e creatore (nella sua infinita razionalità e
logica), si perderebbe dentro l’Enigma. E’ mai possibile che un uomo in carne
ed ossa, possa vivere in eterno quando, l’Eterno, non è che il cadenzare
armonioso della vita e della morte, dell’andata e del ritorno, dell’alba e del
tramonto?
Solo la coscienza è eterna e immortale - Lei che vaga fra la vita e la
morte, fra sogni e realtà, fra l’aldilà e la speranza, la sola che ci pone la
domanda di chi siamo e dove andiamo.
Come possiamo, non credere in un’altra dimensione, quando l’alternativa é
il nulla?
“ Vorreste conoscere il mistero della morte!. Ma come scoprirlo, se non
cercandolo nel cuore della vita? Giacché, la vita e la morte, sono una cosa
sola, così come il fiume e il mare. In fondo alle vostre speranze e ai vostri
desideri sta la muta conoscenza di ciò che è oltre la vita; e, come il seme che
sogna sepolto dalla neve, il vostro cuore sogna la primavera. Fidatevi dei
sogni, perché in loro si cela la porta dell’eterno. La paura della morte, non è
che il tremito del suddito quando la mano del re gli si posa in fronte in segno
d’onore. Nel suo brivido, il suddito non è forse felice perché si onorerà di
quel segno regale? Non è tuttavia più preso dal suo tremore? Poi che cos’è morire, se non stare nudi
nel vento e disciogliersi nel sole? E dare l’ultimo respiro, che cos’è se non
liberarlo dal suo flusso inquieto, affinché possa involarsi finalmente e
spaziare disancorato alla ricerca di Dio? Solo se bevete al fiume del silenzio,
voi canterete veramente. E quando avrete raggiunto la vetta del monte, allora
comincerete a salire. E quando la terra chiederà le vostre ossa, allora
danzerete veramente.” Gibran
Ci sono fra gli uomini, individui che demonizzano la morte e sbandierano il
diritto alla vita, macabro vessillo teso ad esorcizzare la paura di una
esistenza vuota e priva di alcun contenuto che, nella promessa di immortalità,
elude ogni più remoto barlume di consapevolezza, di volontà e di verità.
Sono gli stessi che in forma di proseliti promettono la vita eterna fra le
braccia del creatore ed esaltano la sofferenza catartica di questa miserabile
vita terrena e della sua provvisorietà – sono i ricchi gerarchi del clero
pagano e idolatra che, nel sempre più rari interventi rubati all’ozio e ad una
vanità femminea, gridano a gran voce “beati gli ultimi, che loro sarà il regno
dei cieli”.
Sono quelli che esaltano il primato dello spirito, per poi accanirsi su
corpi inermi (cavie umane) con le macchine assemblate da Satana, e prolungare
così all’infinito una tortura lacerante in un esaltato accanimento,
sperimentale, degno del più spietato aguzzino nazista. Sono quelli che non
accettano la sconfitta di una scienza effimera e miope, che ha anteposto il
profitto e il potere, al buon senso, alla carità cristiana e al principio
etico. Sono loro le anime infernali di questo secolo, loro, terrorizzate dal
più ineludibile atto di giustizia: la morte.
Una profonda consapevolezza sulla necessità della morte, è quanto di più
terapeutico esista, contro ogni forma di paura. Se non ne comprendiamo a fondo
il suo significato più alto, ogni vera felicità ci é preclusa.
Alcune religioni, ancora oggi, immuni dal cancro del liberismo,
relativista, conservano intatta la loro natura trascendente, adducendo nella
vita, il significato di espiazione catartica e, nella morte, la liberazione da
ogni conflitto, per poi ascendere, per diritto divino, verso i prati celesti
della libertà cosciente e dell’eterno appagamento.
Ogni nostro disagio esistenziale, innescato da quella che, per un
eufemismo, abbiamo definito, la “modernità”, fanno tutti capo e, per vie
diverse, alla paura della morte.
E’ singolare vedere, come, nel mondo occidentale (dove il disagio
psicologico e neurologico a raggiunto soglie di dolore quasi insopportabili e
paralizzanti), la paura del dopo, sia vissuta come un costante tormento e
stillicidio. Una spada di Damocle che destabilizza e condiziona le nostre
scelte quotidiane, i rapporti con gli altri e, si accanisce su quell’equilibrio
spirituale che è alla base di ogni autentica felicità.
I sorrisi smaglianti e commoventi di bambini senza pane e senza acqua e, di
altri, affetti dalle più diverse patologie da denutrizione e di natura
igienico-sanitarie, sono il prodotto miracoloso di una filosofia dell’anima,
applicata al quotidiano dove, la convinzione naturale e logica, di un altro
mondo, giusto e ricco di promesse, edulcora e sdrammatizza ogni avversità
terrena, fino ad accettarla come necessaria. Questo perché, la loro condizione
(qualunque sia), non prescinde mai dalla Fede essendo, l’una, complementare
all’altra. La fusione di due metalli, in una lega inossidabile e indissolubile,
impermeabile ad ogni paura e debolezza.
La paura della morte è la paura della vita, e la gioia di vivere non
corrisponde alla paura di morire.
Noi occidentali, diversamente, oberati da comodità invalidanti e
concentrati a tempo pieno, sui modelli di un’esteriorità effimera e
voluttuaria, abbiamo tradito i presupposti stessi dell’esistenza, snaturando la
nostra funzione primaria di servi del mistero, per precipitare dentro il buio
della nostra stupidità.
La paura della morte, è il prezzo della nostra codardia. Se non siamo in
grado di recuperare (e non lo siamo) tutte quelle scale di valori e di principi
etici, che abbiamo mercificato in cambio di vizio, perversione, indolenza e
vanità, la Grande Paura avvolgerà per sempre i nostri cuori e, in nessuna altra
dimensione, troveremo conforto ai morsi della nostra disubbidienza.
L’individuo, spiritualmente in armonia, con le ragioni della vita, accetta
la morte come un atto dovuto, supremo gesto di giustizia, paradigma di
vittoria, che ci libera da quell’involucro di materia, bio-degradabile,
deputato a alla purificazione della coscienza, per mondarci da ogni paura e
renderci, così, degni, di entrare in contatto con il sovrannaturale. La paura,
coincide con la perdita della speranza e con l’impossibilità di intravedere un
futuro.
Atei, credenti e agnostici, non sono che le sigle a marchio di una paura
più profonda, causa di infelicità e rancore. In verità, l’uomo di questo
secolo, non é che un idolatra da quarto soldi, in perpetua adorazione di un
mondo che ha mitizzato vergogne, menzogne e infamia.
L’uomo libero è il solo a decidere della propria morte. In lui è un bisogno
ineludibile che, presto o tardi, dovrà soddisfare.
Per tanto ingrazio Dio per la morte che cancella ogni potere, che tace ogni
menzogna, vergogna, dissolve ogni paura, dolore, ansie e passioni. Ringrazio
Dio per la morte che da respiro alla mia vita.
Gianni Tirelli
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