NEL
LABIRINTO DELLE PAROLE
“Questo
nostro, è un Sistema che obbliga l’essere umano ad una continua auto analisi,
relegandolo in una sorte di prigione mentale, dalla quale non si libererà mai,
non avendo autorevoli parametri con i quali rapportarsi”
Potremmo
paragonare l’uomo delle società tecnologiche, al pari di un infante che
conserva e custodisce, in forma maniacale, i suoi vecchi giocattoli; poi li
manipola, li scompone, inserisce nuovi meccanismi, fino al punto di non essere
più in grado di portare il tutto al suo stato originario.
L’esercizio
poi, alla costante introspezione e di metodica auto analisi, inibiscono
ulteriormente la sua capacità di comprensione, di critica e, in fine, di
scelta.
Per
questi motivi, l’individuo relativo della nostra epoca, non si comprende e
spera vivamente che qualche anima buona, trovi il filo della matassa, o meglio
ancora il filo di Arianna, tramite il quale uscire fuori dal labirintus delle
sue parole; parole delle quali non comprende il reale significato e la naturale
collocazione, ma che interpreta come i numeri di un’empirica equazione dal
risultato indecifrabile. In questo modo, si abbandona al subdolo masochismo
dell’altrui incomprensione. Il suo compiacersene, stimola l’azione narcotica
del suo vittimismo narcisista che, in maniera effimera, lenisce in parte, il
suo dolore esistenziale.
L’uomo
relativo, è chiuso e stretto nel suo guscio di cristallo e non intende, per
nessun motivo, frantumare il vetro delle sue illusioni. Lui fa delle parole e
dei grovigli di parole il suo primario nutrimento, e non intende uscirne, non
essendo emotivamente preparato ad affrontare lo spazio del non detto e del già
stato. Non accetta contraddittorio, in attesa dell’arrivo del grande saggio,
che condivida con lui, le sue elucubrazioni. Ma il grande saggio, si occupa di
fatti e non di incubi, tanto più se l’adepto, non ritiene in alcun modo di
mettere in discussione - a repentaglio - le proprie, relative e momentanee
conclusioni. Per via di questo contrasto logico, tutto risulta essere il
contrario di tutto, e viceversa; il sistema, è il non sistema, il luogo il non
luogo, l’essere il non essere.
Oggi,
l’uomo relativo, si trova di fronte ad un bivio: la strada della paura e
dell’oscurità, e la strada del coraggio e della conoscenza. Sta a lui scegliere
quella giusta. L’uomo relativo polemizzerebbe sul giusto e non giusto ma, se
lui riuscisse a pensare, fuori dal suo vocabolario mentale e non desse alla
parola, l’immeritata importanza di cui la onora, forse, troverebbe la sua strada.
Gli
strumenti per il raggiungimento della conoscenza, non che, dei meccanismi che
determinano gli equilibri psichici, non sono le parole, ma l’incontenibile
desiderio di verità; un bisogno così grande che va oltre le paure, le angosce,
egoismi e dipendenze, giudizi e pregiudizi, solitudine e smarrimento.
Oggi,
la parola è utopia. È un libro infinito, dove pagine bianche e nere si
susseguono, in un’alternanza ipnotica e delirante - un’arsura nevrotica di
pensieri scomposti, in guerra fra di loro, per una relativa supremazia di un
attimo di certezza.
Dentro
questa palude di infinite parole, l’uomo moderno annega i suoi veri bisogni, e
mentre la paura brucia i suoi sogni, ancora una volta, la vita raggiungerà la
morte come il fiume il mare.
Questi
sono i “luoghi” dentro i quali, si consumano i fatti della nostra esistenza -
non le parole della nostra fine! L’uomo relativo non aspira alla conoscenza.
Cerca un’assoluzione per i suoi peccati. Solo il mistero svelato porta alla
contemplazione della conoscenza, e solo l’accettazione del mistero, alla pace.
Questa possibilità è insita in ogni individuo, che desideri scoprirla.
Nell’accettazione
cristiana del mistero, si individua una forma particolare di comprensione
inespressa.
Il
parlottio intellettuale, se non trova sbocchi, diventa una malattia - una vera
patologia. La conoscenza pura (di se stessi e più in generale, del’uomo),
prescinde dal concetto di cultura o di uno specifico apprendimento, ma è
arbitraria in ogni singolo individuo. Gli strati più umili, della passata
civiltà contadina erano, un tempo, i soli e veri depositari dell’originaria e
sempiterna conoscenza – un inestimabile patrimonio di esperienze di tradizioni,
di casualità, di impegno costante , pratico, logico, e creativo, forgiato nei
millenni da una volontà naturale e trascendente, e da una scala di valori
etici, morali, spirituali, connaturata.
Oggi
il chiacchiericcio non è che un vezzo: la rinuncia ad una azione tangibile,
fortificante e concludente. Oggi la parola assurge al significato etimologico
di propaganda, vanità, dipendenza.
La
parola è nata come strumento semplificatore di mutuo scambio, e si è
trasformata in una sorta di potere sanguinario e giustizialista; la parola alla
pubblicità, al potere politico, temporale, guerrafondaio.
Fermare
il dialogo interno e trasformare la nostra immobilità in azione, è ciò che
dovremmo fare. L’uomo del XXI secolo, è un animale metropolitano e verso la
natura ha un insulso atteggiamento romantico e uno spirito turistico.
Per
questo motivo, l’uomo relativo, riconduce tutto alla sua specifica realtà, non
tenendo in alcuna considerazione il restante patrimonio culturale, esistenziale
che considera in totale antitesi con il suo pensiero. Se il suo cervello non
riesce ad integrarsi e compenetrare altri mondi, lui non appartiene a nessun
mondo e, non è di nessun aiuto; ne al mondo ne a se stesso.
Certo,
con questo mio chiacchiericcio, cado in contraddizione, ma è la sola eccezione
che mi voglio concedere, visti i presupposti relativistici di cui si tratta.
Infine,
ricollegandomi al pensiero iniziale, dirò che l’allegoria del giocattolo,
conservato fino in età adulta, custodito nel tempo e mai rimosso, porta al
martirio.
È
nell’incomprensione non svelata che l’uomo diventa vittima, servo incosciente
delle circostanze dominanti, ed è sempre nella soluzione tradita, mai avvenuta,
che l’uomo diventa carnefice, potere perverso e dittatore.
Queste
sono le sole due condizioni e il risultato ultimo del chiacchiericcio
perdurante e di autoanalisi infinita e lacerante che, nel suicidio, afferma la
sua terza ed ultima opzione.
Gianni
Tirelli
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