
BRUTTI
PICCOLI E CATTIVI
Credere che
l’appartenenza politica possa ancora fungere da spartiacque fra ciò che è
giusto e iniquo, fra la verità e la menzogna, la libertà e la licenza e fra il
diritto e l’abuso, non è che uno squallido esercizio di illusionismo.
Gli uomini
vanno giudicati per le loro azioni e per l’esempio sulla società.
Gli uomini
di potere, che siano politici o imprenditori, rappresentano, non solo la parte
più marcia della società, ma i canoni estetici di una bruttezza rivoltante e
inquietante, espressione di una ingordigia fuori controllo, di un narcisismo
patologico e di un invalidante inettitudine fisica.
Individui
piccoli, vuoti e laidi, loro, i cui tratti somatici e la cui bruttezza,
trascendono ogni simpatia, ogni sentimento di fiducia e di rassicurazione; un
sudiciume morale e spirituale che inevitabilmente, vuoi o non vuoi, ha
modellato i loro tratti in un ghigno perverso, in una gestualità goffa e
maligna, in un tono di voce senza anima, senza passione - monocorde come una
campana a lutto; esseri dai visi perennemente unti dalla seborrea, sfigurati
dall’inestetismo di un triplo mento rugoso che straborda come lardo sugli
improbabili colletti bianchi a celare, come un cappio, l’ultimo lembo di un
gozzo al culmine del suo prolasso. Corpi ansiogeni e sudaticci, dai culi
flaccidi, torturati da sanguinanti emorroidi a grappolo. Gente che non sa
vivere, non sa vestire, non sa mangiare, lontana anni luce da ogni più remoto
concetto di dignità umana e di bellezza - persone tristi e sole, frustrate e
infelici, che non hanno mai assaporato la gioia profonda di un gesto di vera
consapevolezza, di autentico affetto e di una stretta di mano sincera e
disinteressata.
Quale donna
normale (con la capacità di intendere e volere) o avvenente signorina di
compagnia, potrebbe mai concedersi (senza prima, avere incassato un congruo
tornaconto e represso il disgusto iniziale), alle brame di individui dalle
fattezze ripugnanti e dall’animo servile?
Gianni
Tirelli

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