domenica 3 giugno 2012

IL TRAMONTO DESOLATO DI UN PICCOLO COMICO DI PROVINCIA



IL TRAMONTO DESOLATO DI UN PICCOLO COMICO DI PROVINCIA   di G.Tirelli

Il piccolo grande Somaro, quello di Romolo e Remolo, per capirci, è fra gli uomini di potere, il più incolto. E’ quello di, “Anche noi come Enrico Toti fece, come tutti lo abbiamo ammirato a scuola!!” Quello che ancora oggi, ha perso una buona occasione per stare zitto, dichiarando: “"Mai vista una situazione di questo tipo - gente sotto choc per il futuro presentato oscuramente - cominciamo a stampare euro noi con la nostra zecca”. Una fra le boutades più esilaranti del suo repertorio comico, sconfessata come sempre in tempo reale, e alla quale l’ometto adduce un significato ironico e provocatorio.

Stampare moneta senza una copertura aurea, corrisponde a mettere in circolazione soldi falsi. Ma che differenza può fare – falso o vero – per uno che ha improntato la sua vita sulla menzogna, il suo patrimonio sul commercio dell’effimero, e il potere politico sul mercimonio della dignità altrui? A bel vedere poi, non c’è nulla di più attinente al significato di “zecca” del Berlusca, che in virtù delle sue “difese immunitarie”, è scampato e sopravvissuto ad ogni trattamento di disinfestazione, a mio avviso troppo blando.  
E per tanto, eccolo ancora qui il nostro ometto italico, con l’eterna mandibola in tensione, il mento proteso verso fuori, immaginando così, di assicurarsi l’aria del duro: uno senza se e senza ma! Una imitazione deprimente, farlocca e poco rispettosa del Duce, Benito Mussolini. La sbiadita fotocopia di un personaggio grottesco da suburra, più verosimilmente attinente con la figura di un facoltoso transessuale al tramonto, che perde i pezzi di quel lavoro di sistematica contraffazione del corpo, che ha mortificato ogni suo residuo barlume di dignità – un uomo lacerato da un narcisismo paranoide e frustrante, e da una serie di complessi di inferiorità, mai risolti e sempre elusi. Un autentico traditore della patria che non ha mai affrontato le proprie responsabilità e la realtà dei fatti, trincerandosi dietro privilegi, impunità e il laido servilismo di un’orda di figuri (prossimi traditori) dei quali, presto, non se ne avrà più traccia.

Lui, il Capo del governo più incompetente e cialtrone di tutta la storia repubblicana, che le vuole basse, con poco tacco e tante tette, come se stesse ordinando dal macellaio, il filetto di una giovenca argentina, tagliato a fette non troppo alte e con quell’indispensabile venatura di grasso, per insaporirne la cottura.
Cosa resterà ai posteri di un tale esemplare umano? Un monumento al centro di una piazza, un busto bronzeo a Palazzo Madama, il nome in calce ad una via del centro, o cos’altro? No! Niente di tutto questo! Solo l’imbarazzante insegna di un bordello di lusso, nella città di Rosario patria natia di Ernesto Che Guevara, a memoria del fallimento umano, morale e politico di un uomo che si è perso dentro il vaneggiamento vanesio di un potere rubato. Un uomo triste, solo, che nella luce soffusa della sua alcova, si appresta a calare il sipario sull’ultimo atto di una commedia, tragica e grottesca, fra i glutei in affitto di una giovincella depravata, nella spasmodica ricerca, di quell’orgasmo tradito che sancirà, per sempre, la sua sconfitta umana e morale.

Gianni Tirelli

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