IL TRAMONTO DESOLATO DI UN PICCOLO COMICO DI PROVINCIA di G.Tirelli
Il piccolo grande Somaro, quello di Romolo e Remolo, per
capirci, è fra gli uomini di potere, il più incolto. E’ quello di, “Anche noi
come Enrico Toti fece, come tutti lo abbiamo ammirato a scuola!!” Quello che
ancora oggi, ha perso una buona occasione per stare zitto, dichiarando:
“"Mai vista una situazione di questo tipo - gente sotto choc per il futuro
presentato oscuramente - cominciamo a stampare euro noi con la nostra zecca”.
Una fra le boutades più esilaranti del suo repertorio comico, sconfessata come
sempre in tempo reale, e alla quale l’ometto adduce un significato ironico e
provocatorio.
Stampare moneta senza una copertura aurea, corrisponde a
mettere in circolazione soldi falsi. Ma che differenza può fare – falso o vero
– per uno che ha improntato la sua vita sulla menzogna, il suo patrimonio sul
commercio dell’effimero, e il potere politico sul mercimonio della dignità
altrui? A bel vedere poi, non c’è nulla di più attinente al significato di
“zecca” del Berlusca, che in virtù delle sue “difese immunitarie”, è scampato e
sopravvissuto ad ogni trattamento di disinfestazione, a mio avviso troppo
blando.
E per tanto, eccolo ancora qui il nostro ometto italico,
con l’eterna mandibola in tensione, il mento proteso verso fuori, immaginando
così, di assicurarsi l’aria del duro: uno senza se e senza ma! Una imitazione
deprimente, farlocca e poco rispettosa del Duce, Benito Mussolini. La sbiadita
fotocopia di un personaggio grottesco da suburra, più verosimilmente attinente
con la figura di un facoltoso transessuale al tramonto, che perde i pezzi di
quel lavoro di sistematica contraffazione del corpo, che ha mortificato ogni
suo residuo barlume di dignità – un uomo lacerato da un narcisismo paranoide e
frustrante, e da una serie di complessi di inferiorità, mai risolti e sempre
elusi. Un autentico traditore della patria che non ha mai affrontato le proprie
responsabilità e la realtà dei fatti, trincerandosi dietro privilegi, impunità
e il laido servilismo di un’orda di figuri (prossimi traditori) dei quali,
presto, non se ne avrà più traccia.
Lui, il Capo del governo più incompetente e cialtrone di
tutta la storia repubblicana, che le vuole basse, con poco tacco e tante tette,
come se stesse ordinando dal macellaio, il filetto di una giovenca argentina,
tagliato a fette non troppo alte e con quell’indispensabile venatura di grasso,
per insaporirne la cottura.
Cosa resterà ai posteri di un tale esemplare umano? Un
monumento al centro di una piazza, un busto bronzeo a Palazzo Madama, il nome
in calce ad una via del centro, o cos’altro? No! Niente di tutto questo! Solo
l’imbarazzante insegna di un bordello di lusso, nella città di Rosario patria
natia di Ernesto Che Guevara, a memoria del fallimento umano, morale e politico
di un uomo che si è perso dentro il vaneggiamento vanesio di un potere rubato.
Un uomo triste, solo, che nella luce soffusa della sua alcova, si appresta a
calare il sipario sull’ultimo atto di una commedia, tragica e grottesca, fra i
glutei in affitto di una giovincella depravata, nella spasmodica ricerca, di
quell’orgasmo tradito che sancirà, per sempre, la sua sconfitta umana e morale.
Gianni Tirelli
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