sabato 11 agosto 2012


ILVA: UNA VITTORIA DELL'OPERAIO O DEL PADRONE ?
LA SOLUZIONE ANTICAPITALISTA, UNICA VERA SOLUZIONE 

articolo di Marco Ferrando
Colpisce non tanto il diffuso plauso che si respira a
 sinistra verso la sentenza 
sull'Ilva,
 ma l'atteggiamento 
subalterno verso la proprietà che l'intera vicenda rivela.
 Lo dico non dal versante
 di un ambientalismo
 ideologico
indifferente al lavoro ( “sussidi” al posto della fabbrica). 
Ma proprio dal versante
 delle ragioni dei
 lavoratori, 
del loro posto di lavoro e della loro salute. 
Che sono un riferimento centrale per
 la stessa
 battaglia ambientalista.

A me pare che la sentenza del tribunale del Riesame 

non tuteli né il lavoro, né
 la salute. 
Tutela clamorosamente 
gli interessi della proprietà: dietro la foglia di fico di innocue
 raccomandazioni
 ambientali e col patrocinio
 di un
 governo
 Monti infarcito di “amici” dell'azienda.

Guardiamo in faccia la realtà. Nel '95 lo Stato regala 

Italsider al “rottamaio”
Riva a prezzi stracciati. 
Diciotto anni dopo lo Stato socializza i costi dei crimini del padrone,
 mettendo 
la miseria di 300 milioni 
di denaro 
pubblico ( ossia dei contribuenti) nella cosiddetta “bonifica”. 
Il padrone Riva 
non mette un euro. I 90 milioni 
di investimento “ecologico” nell'area Ilva che l'ex prefetto 
Ferrante sbandiera,
 se mai fossero veri,
 riguardano
 il passato. Ed evidentemente sono stati senza effetto.
 Sul futuro la proprietà 
 si tiene le mani libere.
 Continua a battere cassa per ottenere altri soldi pubblici. 
 Si riserva di scaricare sui lavoratori eventuali 
spese 
aziendali per la “messa a norma degli impianti” dichiarando
 in quel caso una
 “possibile riduzione della 
produzione con possibili effetti sul personale” 
( Ferrante su Sole 24 ore dell'8/8).
 Infine lo stesso Ferrante
 figura,
 in rappresentanza di Riva, come controllore della messa 
a norma degli impianti 
“sequestrati”: il padrone 
controlla se stesso. In altri termini:  posti di lavoro e salute
 restano nelle mani 
e sotto il controllo di
 una proprietà
 e di un padrone che la stessa magistratura, con decenni di ritardo,
 ha dichiarato “criminali”.

Ciò che stupisce, tuttavia, non è la brutalità del profitto e dello Stato 
che lo tutela. Ma la subordinazione al 
padrone ( e allo Stato) di chi dovrebbe tutelare gli operai e la loro vita. 
In altri termini, capisco l'esultanza 
dell'”unità nazionale montiana” a sostegno della “soluzione” trovata, 
col coro immancabile di Confindustria e
 banchieri. Ma perchè l'esultanza di Nichi Vendola e persino
 di Paolo Ferrero?

C'è una cosa che  accomuna tutte le sinistre sindacali e politiche 

in questa
 vicenda, al di là delle loro diverse
 collocazioni. Che nessuno ha rivendicato e rivendica l'esproprio 
di una
 proprietà criminale. 
Che tutti considerano
 normale- nel nome della “difesa del lavoro”- che resti al suo posto 
un padrone
 che assassina operai e loro
 familiari nel nome del profitto. Nel migliore dei casi gli si chiede,
 con scarso
 successo, di pagare i costi del
 proprio crimine e della sua continuità.

E' una posizione subalterna.

Il PCL si è schierato da subito, come sempre, al fianco degli operai 

dell'ILVA 
e della difesa del lavoro, 
contro
 ogni posizione che in nome dell'ambiente chiede la chiusura della fabbrica.
 Ma la difesa del lavoro è
 inseparabile 
dalla difesa della vita del lavoratore e dei suoi figli. Un padrone che
 si fa scudo
 del diritto al lavoro per
 negare
 il diritto alla vita, dev'essere espropriato e senza alcun indennizzo.
 L'azienda nazionalizzata va posta 
sotto il
 controllo degli operai. Gli enormi utili realizzati dal padrone Riva
 ( oltre 3 miliardi di euro nei soli ultimi due anni) 
vanno requisiti e investiti nella riorganizzazione della produzione,
 nel cambiamento degli impianti, nella
 bonifica 
dei territori. Il tutto sotto il controllo vigile dei lavoratori e dei comitati
 di quartiere della città. 
Questa è l'unica vera soluzione di svolta, capace di difendere 
insieme lavoro 
e salute, produzione e ambiente.

Perchè non  battersi unitariamente a sinistra per questa 

rivendicazione
 elementare? 
Perchè non raccogliere e tradurre attorno a questa rivendicazione
 il punto
 di vista di una parte importante
 della
 stessa classe operaia dell'Ilva, che non è disponibile a piegare la testa
 al padrone?

Si dirà che questa soluzione è “irrealistica” perchè è incompatibile

 col capitalismo.
 E' una verità mal posta. 
E' il capitalismo ad essere incompatibile col lavoro e con la vita. 
 Conciliare lavoro
 e vita significa mettere in
 discussione i fondamenti su cui il capitalismo si regge.
 A partire dal “sacro” 
diritto di proprietà.

Il caso ILVA è solo la drammatica metafora  di un bivio generale

 che interroga
 il movimento operaio:
 o si riconduce ogni lotta sociale e ambientale alla prospettiva 
anticapitalista e
 dunque rivoluzionaria, 
o ci si subordina ai miasmi velenosi di un capitalismo fallito
 e dei suoi odiosi 
ricatti. In altri termini: 
o un governo dei lavoratori, o il governo del capitale. “Irrealistica” ,
quella sì,
 è l'eterna pretesa 
della conciliazione degli opposti. Magari presentando come
 “vittoria” una
 soluzione benedetta dal padrone.

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