L’IO MINCHIA
Ed eccolo ancora qui, guardatelo il nostro
ometto italico, impegnato nel suo ennesimo monologo monotematico a beneficio
degli imbecilli! Lui, fasullo, finto, indecoroso e patetico, sullo sfondo di
una quanto squallida scenografia da avanspettacolo, a recitare il requiem della
sua fine.
Lui, con l’eterna mandibola in tensione, il
mento proteso verso fuori, immaginando così, di assicurarsi l’aria del duro.
Un’imitazione deprimente, farlocca e poco rispettosa del Duce, Benito
Mussolini. La sbiadita fotocopia di un personaggio grottesco da suburra, più
verosimilmente attinente con la figura di un facoltoso transessuale al tramonto,
che perde i pezzi di quel lavoro di sistematica contraffazione del corpo, che
ha mortificato ogni suo residuo barlume di dignità. Un uomo lacerato da un
narcisismo paranoide e frustrante, e da una serie di complessi di inferiorità,
mai risolti e sempre elusi. Un autentico traditore della patria che non ha mai
affrontato le proprie responsabilità e la realtà dei fatti, trincerandosi
dietro privilegi, impunità e il laido servilismo di un’orda di figuri (prossimi
traditori) dei quali, presto, non se ne avrà più traccia.
Non c’è nulla di più sporco, sudicio e laido,
di un ometto chiatto e attempato, senza dignità e autostima, che si trapianta e
pittura i capelli di un nero corvino, anteponendo il trucco a una decorosa
pelata – un Nano con l’eterno cerone, le scarpe rialzanti e le pompette stimolanti – il buffone
dalle mille cravatte a pallini e gli eterni doppio petto blu. Un vero trattato
ambulante di psicopatia, frustrazione e perverso e morboso narcisismo,
paradigma di un luridume interiore, che nemmeno cento docce al giorno potranno
mai detergere.
Un uomo sporco nel più profondo dell’anima,
circondato e osannato da uno stuolo di accattoni, servi, papponi e baldracche,
che hanno mercificato gli ultimi residui di dignità, a fronte di privilegi,
impunità ed effimero potere.
Un uomo stupido, con poco charme, che veste
come un manichino di provincia, con un linguaggio banale volto a negare tutto
ciò che è evidente. Uno per cui, la bugia, costituisce una regola relazionale e
la sua introiezione proiettiva, lo porta ad attribuire, a quelli che ritiene i
suoi avversari e nemici, tutti suoi difetti, a cominciare dalla menzogna.
Questa sottospecie di omuncolo, è così
marcio, infame e codardo, che volere ridurre le sue responsabilità penali sulla
base dell’età anagrafica delle puttane ingaggiate dalla sua rete di papponi, è
mortificante per lo stesso significato di Giustizia. Sarebbe come stendere un
velo di omertà sui fatti.
Un perdente sotto ogni punto di vista, un
fallito a tutti gli effetti, accerchiato e circondato da cortigiani senza
attributi della sua stessa risma, e con i quali condivide un reciproco
disprezzo, diffidenza, e la propensione al tradimento.
Un folle, più volte a capo del governo, osannato
e acclamato da una massa di ritardati senza patria - uno che ha sdoganato la
prostituzione, a moderno ammortizzatore sociale, relativizzando così ogni
principio etico e morale, e riducendola ad un Tabù dal quale liberarsi. Un
modello distorto sulla percezione di cosa sia giusto o sbagliato, legale e non,
vero o falso.
La portata diseducatrice ascrivibile a tali
comportamenti (e perdurata nell’arco di un ventennio), ha prodotto forme di
emulazione fra i giovani più fragili, indifesi e meno abbienti, esimendoli da
ogni responsabilità oggettiva e senso della legalità.
I danni, di varia natura prodotti da questo
signore all’Italia e agli italiani, sono incalcolabili, e solo dopo la sua
dipartita potremo avere un’idea chiara ed esaustiva della loro portata. Come affermava
Montanelli, “dopo Berlusconi dovranno passare almeno 50 anni prima di
pronunciare la parola “destra” e, io aggiungo, democrazia.
E cosa dire delle “bellezze al bagno”, di questa
singolare e moderna destra delle libertà? E’ possibile incontrarle ai comizi
privati e monotematici del Grande Nano, o fuori dai tribunali, riconoscibili
dalle acconciature, biondo platino, o rosso Tiziano, ispirate al mito della dea
forzista - cervelli obnubilati dalle infinite tinte e visi levigati dal
botulino “fino alla soglia della cancellazione espressiva”. Vecchie befane
ossigenate e cotonate, contraffate dal bisturi di un improbabile chirurgo di
quart’ordine, inceronate come maschere di un perenne carnevale fuori stagione e
addobbate come alberi di natale di luccicanti bigiotterie di cattivo gusto.
Sono queste le fedelissime del Premier Nano, attanagliate da un feroce
complesso di inferiorità verso ogni forma di sobrietà, gusto, intelligenza e
cultura.
E in fine, cosa resterà ai posteri di un tale
esemplare umano? Un monumento al centro di una piazza, un busto bronzeo a
Palazzo Madama, il nome in calce ad una via del centro, o cos’altro? No! Niente
di tutto questo! Solo l’imbarazzante insegna di un bordello di lusso (Palacio
Berlusconi), nella città di Rosario, patria natia di Ernesto Che Guevara, a
memoria del fallimento umano, morale e politico di un uomo che si è perso
dentro il vaneggiamento vanesio di un potere rubato. Un uomo triste, infelice e
solo, che nella luce soffusa della sua alcova, si appresta a calare il sipario
sull’ultimo atto di una commedia, tragica e grottesca, fra i glutei in affitto
di una giovincella depravata, nella spasmodica ricerca di quell’orgasmo tradito,
che sancirà per sempre, la sua sconfitta umana e morale.
Il folle narcissico, scriveva Emilio Gadda, è
incapace di analisi psicologiche, non arriva mai a conoscere gli altri: né i
suoi, né i nemici, né gli alleati. Perché? Perché in lui tutto viene relato alla
erezione perpetua e alla prurigine erubescente dell'Io-minchia, invaghito,
affocato e affogato di sé medesimo.
GJTirelli
Nessun commento:
Posta un commento