Le centinaia di universitari (e non solo) ungheresi, assiepate innanzi al palco allestito a Baile Tusnad (Tusnádfürdő in ungherese), città termale della Romania a maggioranza etnica magiara, si ricorderanno a lungo la data del 26 luglio 2013. Rivolgendosi a loro, in occasione della “Balvanyos Hungarian Summer University”, il Primo Ministro Viktor Orbán si è esibito in un lungo discorso di quelli che nessun leader politico, nell’Europa di oggi, si sognerebbe mai di fare.
Le parole del capo del governo hanno penetrato i cuori dei patrioti ungheresi, rintuzzando quel sentimento di speranza che gli ultimi fatti potrebbero aver fiaccato. Patria, sovranità economica ed alimentare, difesa della cultura tradizionale dall’omologazione globalista e tutela del diritto naturale sono i cardini intorno ai quali si è snodato il suo discorso.
Orbán, apparso per nulla turbato dall’incidente automobilistico cui era stato coinvolto poco prima di giungere a Baile Tusnad, si è lanciato in un attacco frontale nei confronti di quello che ha lui stesso definito «nuovo ordine mondiale». Egli ha spiegato quali sono le scelte che uno Stato come l’Ungheria sta realizzando per fronteggiare le mire di un simile progetto, teso al profitto di una minoranza e alla cancellazione delle differenze tra i popoli.
Per farlo, ha dapprima descritto la genesi della situazione attuale. È partito da lontano, dal 1918, così proponendo una vera e propria lezione di storia. Orbán ha rilevato come gli epiloghi delle due guerre mondiali siano stati accomunati dall’illusoria speranza di un «mondo diverso», che si è entrambe le volte infranta innanzi alla creazione di assetti volti al dominio imperialistico. Nel 1945, in particolare, la suddivisione del mondo in due blocchi contrapposti ha finito per schiacciare gli aneliti di libertà degli europei. Al contrario, ha spiegato Orbán, dopo il 1989 e la caduta del Muro di Berlino, l’unificazione europea è stata finalmente «una buona risposta». Una risposta, tuttavia, che nei fatti è stata minata da alcuni «gravi errori». Su tutti, la subordinazione delle istanze nazionali all’alta finanza. Portando l’esempio dell’Ungheria, il suo Primo Ministro ha laconicamente commentato: «Sono andati via con i carri armati, sono tornati con le banche».
Ciononostante, Orbán ha assicurato che l’Ungheria, pur non essendo una grande potenza, è oggi in grado di resistere alle ambizioni di quanti vorrebbero sfruttarne le risorse. Egli ha citato, a titolo di esempio, la vicenda dei campi Ogm coltivati dalle multinazionali e che lo Stato ungherese ha deciso di distruggere. Un’azione forte, che ha impedito che sul suolo nazionale si diffondesse un’ingerenza agro-alimentare che, in nome di un presunto «progresso», distrugge la coltura tradizionale. Orbán ha poi ricordato che il «nuovo ordine mondiale» intende disgregare non solo le nazioni e le rispettive volontà popolari, ma anche il principio stesso che anima la famiglia, perno di ogni società. Un principio che non può non fondarsi sul diritto naturale.
Il leader ungherese ha rassicurato il suo popolo, garantendo che Budapest è pronta ad affrontare una simile sfida nonostante le inevitabili, cospicue avversità. Orbán ha fatto presente che la restituzione del prestito al Fondo monetario internazionale, avvenuta con anticipo rispetto ai termini previsti, è sintomo di salute economica. Elementi che testimoniano la vitalità dell’Ungheria, ha proseguito il Primo Ministro, sono stati anche l’edificazione di un nuovo sistema economico (il cosiddetto “capitalismo gulash”, caratterizzato dall’esclusiva presenza di capitali nazionali) e di un nuovo sistema politico (con la riforma costituzionale).
A conferma della disponibilità di risorse nelle casse dello Stato, Orbán ha annunciato un vasto piano di assistenza demografica, avendo individuato nell’incremento della natalità la punta di diamante di uno Stato intenzionato a crescere e prosperare. Visione d’avanguardia che non sembra appartenere all’Unione europea, determinata invece a dilapidare energie per promuovere tra gli Stati membri l’estensione omosessuale del concetto di famiglia.
Sarà anche per questo che Orbán ha infine evocato la necessità che le risposte ai problemi dell’epoca attuale vengano sviluppate dapprima nei singoli ambiti nazionali, per poi tradursi in accordi a livello continentale. L’inversione di questo ragionevole senso rischia di degenerare in un rapporto di sottomissione. Quel rapporto di sottomissione – avrà forse voluto far intendere Orbán – che si è più volte consumato attraverso le procedure d’infrazione contestate all’Ungheria da Bruxelles.
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