LA STORIA. Il gioielliere toscano che vuole trivellare mezza Sardegna
Articolo pubblicato il 1 settembre 2014
Un business da 204 milioni l’anno nel campo dei preziosi e un sogno nel cassetto: trivellareSardegna, Toscana e Lazio “per realizzare 20-30 centrali geotermiche da 20 Mw l’una entro i prossimi cinque anni”. È questo l’obiettivo dichiarato del gioielliere toscano Gianni Gori, già presidente di Graziella Green Power e oggi a capo della neonata Rete Geotermica, una sorta di consorzio che raggruppa circa quindici imprese attive nel settore della geotermia.
“La rete – dichiara il gioielliere aretino a Il Sole 24 ore – punta a sviluppare impianti a ciclo combinato chiuso che sfruttano la geotermia a media entalpia, ovveri a temperatura del fluido compresa tra 90 e 150 gradi, ancora non impiegata in Italia. Finora la realizzazione di questi impianti è stata bloccata dalle difficoltà riscontrate nel rilascio delle autorizzazione da parte delle istituzioni preposte”.
Sul rilascio dei permessi per lo sfruttamento di risorse geotermiche era intervenuto lo scorso febbraio il governo. Il decreto “Destinazione Italia”, poi convertito in legge, ha infatti revisionato le competenze, assegnando allo Stato (e non alle Regioni) il ruolo di guida e di coordinamento per lo sviluppo del settore geotermico. Insomma, in fatto di permessi l’incertezza è massima. Soprattutto, l’attuale giunta regionale non si è ancora espressa sull’articolato programma di ricerche che investe il suolo sardo proposto da varie società private, che prevedono di effettuare trivellazioni alla profondità di 3000 metri.
Nel frattempo, le società attive nel settore si organizzano. Alla nuova rete aderiscono la Sorgeniadell’imprenditore Carlo De Benedetti, l’Exergy del gruppo Maccaferri (già presente in Sardegna con la centrale a biomasse Powercrop, oggi in fase di realizzazione nell’area industriale di Macchiareddu), la Turboden e, tra le altre, le controllate della Graziella Green Power di GoriMagma Energy Italia e ToscoGeo, quest’ultima nota nell’isola per avere depositato in Regione quattro richieste per altrettanti permessi di ricerca per risorse geotermiche che prendono il nome dal comune capofila dell’area (Guspini, San Gavino Monreale, Sardara, Villacidro non ripresentato per il momento). Nell’isola, si contano poi una richiesta presentata dall’Exergia Toscana (progetto “Cuglieri”, al momento ritirato dalla proponente, ndr), tre della GeoEnergy (“Martis”, “Sedini” e “Siliqua”) e una della Saras che nel progetto Igia-geotermico dichiara di voler perforare il sottosuolo fino a 6.000 metri di profondità. In tutto, si tratta di circa 100.000 ettari di territorio coinvolto.
Per Gori, “l’impatto degli impianti è prossimo allo zero”. Ma a più riprese i comitati territoriali sorti nell’Isola hanno evidenziato le criticità dei progetti depositati in Regione. “In modo particolare preoccupano gli effetti sull’ambiente e quelli diretti e indiretti sulla salute umana, per esempio la potenziale compromissione di acquiferi produttivi fondamentali per le attività locali, come conseguenza delle trivellazioni profonde necessarie alla realizzazione delle centrali geotermoelettriche”, spiega la geologa Laura Cadeddu. Una volta entrate in azione, le trivelle provocherebbero infatti la fuoriuscita dal sottosuolo di idrogeno solforato e di metalli pesanti come i sali di arsenico e il mercurio. A rischio dunque le matrici ambientali.
Stando così le cose, le trivellazioni non si coniugherebbero neanche con le attività del settore primario. “Alla geotermia a bassa o media entalpia, che in entrambi i casi richiedono trivellazioni profonde – aggiunge la geologa – i comitati oppongono invece la cosiddetta geotermia superficiale (in quest’ultimo caso la massima profondità raggiunta è di circa 400 metri, come del resto previsto nelle stesse linee guida regionali, non ancora implementate a favore della geotermia di profondità, ndr), a patto però che l’energia generata venga impiegata per la copertura del fabbisogno delle comunità e delle piccole e medie industrie”.
Così, secondo i comitati, le nuove centrali finirebbero per alimentare il far-west energetico che caratterizza l’Isola e l’esportazione di energia elettrica verso la penisola, anche se nel 2013 la Sardegna ha prodotto circa il 43% in più del proprio fabbisogno energetico (dati Terna 2013).
Piero Loi
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