giovedì 11 settembre 2014

Servitù ‘culturali’: in Sardegna distruggono i nuraghi, in Sicilia bombe vicino alla Valle dei templi

VIDEO. Servitù ‘culturali’: in Sardegna distruggono i nuraghi, in Sicilia bombe vicino alla Valle dei templi

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La Sardegna è in buona compagnia nei giochi di guerra del Mediterraneo: pure in Sicilia carri armati e soldati in assetto militare sono ormai diventati parte integrante del paesaggio


Bombe sui siti archeologici: il valore della cultura

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S'oru
“Tredici nuraghi bombardati” “Nel poligono di Teulada si spara sui nuraghe”: i principali quotidiani sardi puntano l’attenzione sull’urgenza di salvaguardare il patrimonio archeologico dalla presenza militare.
Nel territorio di Teulada è presente un’importante area archeologica, che comprende un gran numero di nuraghi. Ugualmente nel poligono del Salto di Quirra, dove troviamo la Domu de janas de s’Oru e il nuraghe Serbiola, la prima situata a lato della postazione del lancio missilistico e la seconda all’interno della base di lancio.
I due poligoni ospitano in totale venti/trenta siti archeologici, un partimonio culturale che tra nuraghi, chiese, necropoli e ruderi punico-romani fa da sfondo alle esercitazioni militari.
La polemica nasce perché, malgrado esistano delle disposizioni di tutela, il rispetto di queste non viene garantito, per il semplice fatto che i controlli e le verifiche sull’attuazione delle disposizioni sono in mano ai militari stessi. Quindi non solo il patrimonio culturale è rinchiuso in un’area interdetta, inaccessibile alla popolazione, ma la Sardegna è anche privata della possibilità di salvaguardare questo patrimonio.
Il caso raggiunge il Parlamento Italiano, nel maggio di quest’anno, per opera di Mauro Pili, ex presidente della regione Sardegna per due legislature 1999 e 2001, che denuncia l’incompatibilità tra bombardamenti e testimonianze della storia sarda, sottoposte a gravi danni a causa della guerra simulata praticata nelle coste meridionali dell’isola dal 1956.
Il sottosegretario ai beni culturali Ilaria Borletti risponde, garantendo la totale sicurezza delle attività di fuoco, assicurando la totale assenza di danneggiamenti e tantomeno da parte dei mezzi ruotati e corazzati. Informazioni ricavate dalla supervisione dei responsabili alla salvaguardia dei beni archeologici in queste aree, ovvero gli stessi militari, potenziali danneggiatori.
Il poligono di Teulada è una base permanente per esercitazioni terra-aria-mare affidato all’Esercito e messo a disposizione della Nato. E’ il secondo poligono (dopo Quirra) dello Stato italiano per estensione: 7.200 ettari di terreno, cui si sommano i 75.000 ettari delle “zone di restrizione dello spazio aereo e le zone interdette alla navigazione” (servitù militari nel linguaggio corrente), normalmente impiegate per le esercitazioni di tiro contro costa e tiro terra-mare.
Alla luce di ciò non si può ridurre il tutto a un problema di poca chiarezza in merito alla tutela delle aree interessate. Anche se le basi militari fossero realmente in perfetto equilibrio con l’ambiente circostante. Anche se fossero poligoni militari che non inquinano né danneggiano, dove si sperimentano bombe che non lasciano traccia di uranio impoverito.
Anche se questo fosse vero, non eliminerebbe il problema di un territorio strappato a chi prima lo viveva, di testimonianze storiche presenti in questa terra da 3.700 anni, inaccessibili a chi voglia studiarle, salvaguardarle o semplicemente vederle.
Stessa realtà per quanto riguarda i paesaggi paradisiaci recintati da confini militari, patrimoni dal punto di vista ambientale, culturale ed economico ridotti a essere casa di ospiti indesiderati.
Si simula e si sperimenta tra cielo e mare. Talvolta la terra trema, altre si muta in fumo, tutti sanno che non si tratta sempre di casualità, ci si avvicina alla certezza quando un aereo militare rompe il silenzio di una giornata in spiaggia.
Immagini che caratterizzano il quotidiano di chi ogni giorno vede un territorio ammalarsi per gli interessi delle potenze economico-militari.

(In foto la domus de janas de S’oru)

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