venerdì 13 febbraio 2015

gianni tirelli 19:42 (1 ora fa) LIBERISMO - IL NUOVO FASCISMO







gianni tirelli

19:42 (1 ora fa)

LIBERISMO - IL NUOVO FASCISMO

«Quando il mondo classico sarà esaurito, quando saranno morti tutti i contadini e tutti gli artigiani, quando non ci saranno più le lucciole, le api, le farfalle, quando l’industria avrà reso inarrestabile il ciclo della produzione, allora la nostra storia sarà finita» P.P. Pasolini (1962)

Per comprendere la sconcertante realtà di oggi generata dalla società dei consumi, dobbiamo partire dall’assunto, che i motivi, gli scopi e le finalità che l’hanno prodotta, non hanno alcuna attinenza con il concetto di bene comune, di progresso e di civiltà tanto sbandierati e decantati dal Sistema, ma sono riconducibili al mero interesse particolare e profitto dei pochi che hanno soggiogato e sfruttato i tanti attraverso la meccanicizzazione industriale e la moderna tecnologia.
E’ pertanto un clamoroso falso storico – una condizione di totale snaturamento delle cose, e che attraverso un’opera sistematica di plagio mentale indotta dal Sistema, abbiamo accettato e condiviso come portatrice di benessere e processo evolutivo dell’uomo. Niente di più falso e ipocrita!
E questo è un punto fermo, da quale non si può prescindere nella ricostruzione e indagine storica, delle logiche che hanno prodotto la società industriale.

La scienza, scrive Nikola Tesla, non è nient'altro che una perversione se non ha come suo fine ultimo il miglioramento delle condizioni dell'umanità.
Ciò che ha dato il via alla produzione industriale in serie di infiniti beni e prodotti, non è ascrivibile ad un fenomeno filantropico di imprenditori magnanimi al servizio di Cristo, ma alla loro smisurata avidità di denaro e di potere, facilitata dalle nuove tecnologie in commercio.
Ergo, venendo a decadere i presupposti di ordine morale ed etico, e quello spirito di solidarietà che dovrebbe essere alla base di un vero cambiamento socio/economico, tutto ciò che ne rimane, non è che una mera illusione, dove tutto si sbriciola, si deforma e implode. Una totale condizione di smarrimento dunque, che annichilisce ogni preesistente parametro di riferimento e punto fermo, facendo così precipitare le società dentro una perversa forma di relativismo, decretandone la loro fine.
Il dato più significativo che ha contraddistinto il Capital/liberismo in questi ultimi 50 anni (e che ha ridotto la qualità della vita degli individui a minimi di sempre, attraverso una sistematica e criminale contaminazione dell’ambiente), si estrare dalla totale e connaturata condizione di ignoranza dei suoi sostenitori, avendo ritenuto l’intelligenza e la cultura, come veri e propri impedimenti al suo piano di commercializzazione dei beni prodotti e di omologazione delle coscienze, al fine di renderle refrattarie ad ogni analisi e indagine critica, personalismo e impulso rivoluzionario.
E’ il trionfo dell’ignoranza, della pochezza, che diviene presupposto di ricchezza e credenziale determinante per accedere alla scalata del potere.

La più esatta traduzione della fatidica frase tanto cara agli imprenditori di tutto il mondo, "NOI CREIAMO POSTI DI LAVORO", in realtà (vista dagli occhi di un osservatore disincantato), se ne può apprezzare un diverso e più corretto significato: "NOI ASSOLDIAMO SCHIAVI DA SFRUTTARE PER DUE LIRE E UN CALCIO NEL CULO, E FARLI IN SEGUITO SCHIATTARE DI TUMORE, PER NOSTRO SOLO TORNACONTO". E questo vale per il “NON E’ ANCORA STATO PROVATO" di scienziati e ricercatori al soldo del potere, per dissimulare la pericolosità delle loro supposte “scoperte” – e in ultimo per, “IL PROGRESSO STA ARRIVANDO ANCHE QUI”, quando in verità si sottintende che la distruzione e la morte sono oramai vicine!

Si può dunque affermare - scrive Pasolini nel 75 - che la tolleranza della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere capitalista, è la peggiore delle repressioni della storia umana. Come si è potuta esercitare tale repressione? Attraverso due rivoluzioni interne all’organizzazione borghese: la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del sistema d’informazione.
Gli italiani - continua Pasolini - hanno accettato con entusiasmo questo nuovo modello che la televisione impone loro secondo le norme della Produzione creatrice di benessere (o, meglio, di salvezza dalla miseria). Lo hanno accettato: ma sono davvero in grado di realizzarlo? No! O lo realizzano materialmente, diventandone la caricatura, o non riescono a realizzarlo che, in misura così minima, da diventare vittime. Frustrazione o addirittura ansia nevrotica, sono ormai stati d’animo collettivi. Per esempio, i sottoproletari, fino a pochi anni fa, rispettavano la cultura e non si vergognavano della propria ignoranza. Anzi, erano fieri del proprio modello popolare di analfabeti, in possesso però del mistero della realtà e della ragione.
Guardavano con un certo disprezzo spavaldo ì “figli di papà”, i piccoli borghesi, da cui si dissociavano, anche quando erano costretti a servirli. Adesso, al contrario essi cominciano a vergognarsi della propria ignoranza: hanno abiurato dal proprio modello culturale (i giovanissimi non lo ricordano neanche più, l’hanno completamente perduto), e il nuovo modello che cercano di imitare non prevede l’analfabetismo e la rozzezza. I ragazzi sottoproletari – umiliati – cancellano nella loro carta d’identità il termine del loro mestiere, per sostituirlo con la qualifica di “studente”. Naturalmente, da quando hanno cominciato a vergognarsi della loro ignoranza, hanno cominciato anche a disprezzare la cultura (caratteristica piccolo borghese, che essi hanno subito acquisito per mimesi). Nel tempo stesso, il ragazzo piccolo borghese, nell’adeguarsi al modello televisivo – che, essendo la sua stessa classe a creare e a volere, gli è sostanzialmente naturale – diviene stranamente rozzo e infelice. Se i sottoproletari si sono imborghesiti, i borghesi si sono sottoproletarizzati. La cultura che essi producono, essendo di carattere tecnologico e strettamente pragmatico, impedisce al vecchio “uomo” che è ancora in loro, di svilupparsi.Da ciò deriva in essi una specie di rattrappimento delle facoltà intellettuali e morali.
La responsabilità della televisione, in tutto questo, è enorme. Non certo in quanto mezzo tecnico, ma in quanto strumento del potere e potere essa stessa. Essa non è soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un certo elaboratore di messaggi. È il luogo dove si fa concreta una mentalità che altrimenti non si saprebbe dove collocare. È attraverso lo spirito della televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo potere.
Non c’è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo – un virus letale e globale.
Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogans mussoliniani fanno sorridere; come (con dolore) l’aratro rispetto ad un trattore. Il fascismo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto la televisione), non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre….”  

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