giovedì 18 giugno 2015

BOMBE DI COLTRAN- BOMBE MIGRANTI- BOMBE CURDE
Redazione | 18-06-2015 Categoria: Società Stampa

Bombe di coltan - Bombe migranti - Bombe curde

DI FULVIO GRIMALDI
Cari interlocutori, questo è il penultimo post (spero di scriverne un altro a giorni) prima di un lungo viaggio che mi porterà fuori dall’Italia per circa 3 settimane. Rientro intorno al 15 luglio.  Avrò comunque occasioni di accesso a internet e quindi continuate a intervenire sul blog. Vi auguro una felice e dinamica estate, quanto più possibile al riparo dalle nefandezze del regime.
Noto con una certa meraviglia che quando scrivo di questioni non direttamente attinenti alla politica internazionale, i commenti si diradano, o non si riferiscono ai contenuti del post. Credo che l’ultimo mio post “Bimbi da cannone” tocchi nervi scopertissimi del nostro vivere comune, trattando argomenti drammatici e strategici, come l’aggressione ai nostri bambini e giovani, preludio e futuro fondamento di una società di decerebrati e appecoronati. Ma è mancato qualsiasi manifestazione di interesse da parte di chi segue il mio lavoro anche da anni. Temo che questo sia indizio di una certa schizofrenia che separa guerre, imperialismo, ideologie politiche, da quanto la deculturizzazione e disumanizzazione, che accompagnano il fenomeno del capitalismo mondialista nelle sue espressioni più feroci, provocano a livello di degrado morale e intellettuale. Quanto a me, insisterò ad allargare lo sguardo anche a questi fenomeni, che effetti collaterali non sono, ma precisi obiettivi del nuovo tecnonazismo in guerra ai corpi e alle menti.

Ricomincio da queste considerazioni per un breve discorso sulle tecnologie che accompagnano e spianano la marcia verso la dittatura mondiale della criminalità politica ed economica organizzata. Poi parleremo anche di Medioriente, guerre, kurdi, migranti.
Tecnologie? Mai innocenti. E’ stupefacente come dei pericoli di tumori e malanni innescati dalla distruzione delle cellule cerebrali per via delle onde elettromagnetiche da apparecchi appiccicati all’orecchio, pur ampiamente pubblicizzati nei primi tempi dell’introduzione dei cellulari, non si dica più una parola. Eppure gli apparecchi sono diventati via via più potenti e, dunque, pericolosi, tanto che si sono dovuti inventare gli auricolari e i salvifici suggerimenti di non tenere l’apparecchio aderente al viso. Suggerimenti svaporati come rugiada al primo sole, auricolari che, entro i 18 anni d’età riducono di una bella percentuale le capacità uditive. E qui, il primo regalo che si fa all’infante quando balbetta mamma, oltre alla play station per la formazione di teppisti, cecchini e piromani, è il cellulare. Che nessun insegnante d’asilo e delle scuole fino alla maturità può permettersi, se non vuole rischiare la nota di demerito del preside-manager per conto di Google o di Marchionne, di proibire e, nel caso, scaraventare dalla finestra.
Vedete queste foto? In apertura un padre separato che porta a pranzo la domenica i figli assegnati alla madre. Tre solitudini che cercano affannosamente di uscire dallo strangolamento dell’incomunicabilità con l’onanismo delle connessioni qualsiasi. Un altro padre che non sa collegarsi con il bambino, né collegare il bambino con quanto lo circonda, sprofondato nel telefonino. Una giovane donna che inchioda la figlioletta al cellulare e le infila l’auricolare nell’orecchio per spararle qualche musicaccia, o costringerla a parlare con la nonna.  Due ragazzi, amici o fidanzati, che non hanno nulla da dirsi e conversano con l’iperspazio. Comunicazione tra loro, con il mondo? Zero. Poi c’è il demente con le cuffie che non sente
l’annuncio della stazione e perde il treno, o quella con gli auricolari che ti viene incontro parlando a voce alta e credi che ti dica delle cose e chiedi “come?” mentre blatera al telefonino e ti guarda con occhi ciechi. E’ normale, no? Chi protesta, chi gli strappa l’apparecchio dalle mani e lo sbatte in faccia all’irresponsabile che lo infligge a sé e agli altri? Azzerando ogni percezione del reale che li circonda con immagini, rumori, odori, e relativi pensieri, sensazioni, vita.  
  

Non è così che si lacera e si aliena da se, dagli altri, la società? La si riduce in frantumi, la si disconnette, la si disperde in monadi sparse nel vuoto di paradigmi imposti da entità estranee e ferocemente nemiche? Qui non si tratta di nostalgie per idilli rurali, di ritorno ai bei tempi antichi, di repulsa di ogni tecnologia. Si tratta di smascherare, sotto lo sbrilluccichio di un progresso che abbrevierebbe i tempi dello spreco, faciliterebbe le comunicazioni, risolverebbe problemi, accelererebbe i nostri passi, le occulte intenzioni dei realizzatori e operatori di determinate tecnologie. Il telefonino ti fa chiamare il carro attrezzi, ti fa avvertire del tuo arrivo, ti informa sulla salute di qualcuno, ti indica gli orari dei treni, ti fa vedere la posta elettronica, ti risolve un calcolo, ti dà il risultato della partita. Giusto. Benissimo. Ti fa risparmiare tempo, velocizza, ti fa correre. Verso dove non è detto, ma è una bella domanda. Intanto, però, con i tuoi figli non hai scambiato una cippa,  alla bambina hai negato la scoperta di facce, comportamenti, il rumore della metro, i cartelli delle stazioni, al figlioletto un gioco, una carezza, un’indicazione, al fidanzato segmenti di ponte verso l’intesa.
Spariscono i tempi intermedi, quelli della percezione di ciò che ti circonda, della riflessione, immaginazione, memoria, elaborazione, scoperta. I tempi che ti nutrono. E i tempi della socialità tra corpi, istinti, pensieri, parole. Questo hanno programmato i vari guru della tecnologia digitale, scienziati pazzi di una cupola di Frankenstein, ma lucida sui guadagni monetari e politici da ricavare. Con il disfacimento della realtà vissuta insieme agli altri si propongono l’atomizzazione di una società educata a gloriarsi di essere composta da individui isolati, ma connessi, affini a tutti gli altri individui isolati ma connessi e, quindi, al passo con i tempi, in, cool, trendy. Vale anche per internet, dove si svolgono amori e odii deprivati delle mille sfumature dell’espressione, dei toni, delle pause, dei colori del viso, del significato degli occhi, dei retro pensieri che agitano le mani.
Che fare? Buttare computer e cellulari nella spazzatura e sostituire i borborigmi degli analfabeti della frase semplice, unico parto possibile del pensiero semplice, i trogloditi dei tweet, con lettere scritte a mano? Non credo che neanche la decrescita felice arrivi a tanto. Il punto sta nella selezione, nella capacità di autogovernarsi, di scegliere secondo necessità effettive. E questo punto sta all’inizio di tutto, sta nell’educazione, in famiglia, nella scuola, in una cultura della critica e della scelta consapevole, in un giornalismo che ti faccia distinguere e non omologare, in un contesto collettivo di liberi e pensanti. Il perfetto contrario di quanto il robotino di Rignano sull’Arno  propone, impone, con la sua “buona scuola”, con le sue frenetiche accelerazioni tra i birilli di un’innovazione nichilista che corre verso un nulla da assoggettare.
Tutto sta nel disunire quello che intelligenza, necessità, progetto, civiltà, hanno unito. I musulmani dai cristiani e tra sciti e sunniti, gli arabi tra laici e religiosi, gli ucraini tra russi e non russi, gli etero dai non etero, le donne dagli uomini, i vecchi dai giovani, i nativi dai sopraggiunti, i brutti e cattivi, con tozzo di pane, dai brutti, sporchi e diversi senza tozzo di pane. Tutto serve a rovesciare in inoffensivo il criterio delle priorità, volgere quelle reali, temutissime, in quelle ricostruite, compatibilissime. C’è Roma, il suo governo, i partiti di governo, strutturalmente corrotti, che sprofondano nell’immondezzaio della storia? Ecco che un bel Gay Pride, con il sindaco gay friendly, ci riporta, a dispetto della sua volgarità e del suo becero interclassismo gestito dall’apposita lobby, all’ottimismo, all’autostima, alla rassicurante constatazione di un’unanimità del “mondo civile”. La solita unanimità “civile” che vede trionfare appaiati principi dei crimini contro l’umanità come Obama, Hillary Clinton, Hollande, Netaniahu, con tutto il cucuzzaro dei diritti civili.
Ma mentre per frantumare popoli più colti e maturi di noi ci vogliono le bombe, i nazi di Kiev, i jihadisti e un po’ di terrorismo – vero o fabbricato - degli uni contro gli altri, da noi è bastato un iPad, o qualche bruto razzista della Val Bembrana per volgarizzare i propositi di Renzi e dei suoi mandanti.

Migranti, piaga d’Egitto dai benefici elettorali La falange degli stenografi di regime ha assecondato la strategia imperiale di fare a pezzi l’Europa, a partire dalle marche deboli del Sud, scatenando quell’uragano osceno sull’apocalisse migratoria. Al suo traino, il sicariato, più o meno consapevole, delle sedicenti “sinistre” che, tra pianti inani su migranti e Rom, lubrificano il razzismo del finto anti-sistema Salvini, coprendolo di salsa umanitaria. Nessuna di queste si è mai sognata di chiedere che si ponga fine al brigantaggio dell’Occidente, causa prima e universale della fuga di popolazioni da bombe, mercenari tagliateste, devastazioni climatiche, economiche, sociali. Nessuno avverte che i milioni di fuggitivi ospitati dai paesi limitrofi, già scassati di loro, servono al disfacimento mondialista di tutti gli Stati Nazione ancora dotati di briciole di sovranità (salvo gli sguatteri incoronati del Golfo, utili come strumenti surrogati e dotati di mezzi da spendere in armi occidentali). Proprio come le decine di migliaia che, tra le loro macerie, hanno rimediato un biglietto per il passaggio nel paradiso di Buzzi e Odevaine, dei coltivatori di ortofrutticoli, opportunamente disumanizzati dai muggiti di Salvini.
Eravamo alla vigilia di un ballottaggio che doveva salvare qualche piuma al giostraio di Palazzo Chigi e ai suoi Pony Domati (PD) e ammaestrati. Dopo avere infettato le già poco salubri trasmissioni di ogni tipo e schifezza anti-Rom, Salvini aveva cominciato a battere la fiacca. Del resto, i pogrom anti-Rom erano ormai avviati sul giusto binario. Occorreva un rilancio, qualcosa da cui questo energumeno e la stampa buonista piagnona e quella cattiva forcaiola, potessero trarre elementi per nuove divisioni di massa, distrazioni di massa, rincoglionimenti di massa. E così una affaruccolo da poche decine di persone alla sbando tra le stazioni di Roma, Milano e Ventimiglia, risolvibile, volendo, con un minimo di razionalità, è stato montato in piaga d’Egitto al quale uno Stato ultracentenario, che gestisce 60 milioni di cittadini e spende 80 milioni al giorno per far guerre in giro per il mondo, non può che arrendersi
Tutti a precipitarsi nel proprio bunker, a scampare al disastro.Tutti a votare bene ai ballottaggi, contro chi sui migranti auspica accoglienza, o anche solo balbetta, e a favore di coloro che accendono ceri all’altarino del sindaco mazzabubù Gentilini. La plebe, con o senza soldi, ha gonfiato la Lega oltre ogni minimo standard etico e politico, gli ignavi o nauseati sono rimasti a casa, i compatibili col malaffare hanno votato PD, i liberi e pensanti hanno promosso i 5 Stelle in tutti i ballottaggi dove avevano contro camorra, mafia, malversatori e loro sponsor. Sono soddisfazioni. Ma la soddisfazione subisce un contraccolpo terribile a Venezia.
Nel docufilm “L’Italia al tempo della Peste” ho cercato di mostrare i criminali e i loro crimini contro Venezia e contro l’umanità e ho intervistato Felice Casson, massimo baluardo da decenni contro i terminator ladroni del Mose, delle Grandi Navi, del Canale Contorta e, prima ancora, contro inquinatori vari e contro il complottismo sovversivo di Gladio e simili operazioni del regime atlantico-democristiano. Casson sarà pure del PD, ma per antirenzismo compete alla pari con Alessandro Di Battista e Paola Taverna. E’ accertato che per Casson non ha votato la maggior parte dello stesso PD, il cui DNA è clonato da quelli che hanno governato lo sfacelo della città e del paese. E sono convinto che i voti in più  li abbia ricevuti da cittadini 5Stelle. Il che non esime da  un’attenta riflessione sul pesce in barile del vertice pentastellato che, dicendo che i cittadini devono scegliere in autonomia, si è astenuto a dichiararsi pro-Casson. Tanto più che, qui e là, il vincitore 5Stelle non ha disdegnato voti ben più spuri. Quando Venezia sarà stata sfasciata dalle Grandi Navi e relativi canali, affogata dal Mose, spopolata a vantaggio di bottegai delle chincaglierie che galleggiano sugli acquisti dei crocieristi, la civiltà umana saprà a chi renderne merito.

Mamma li curdi! I curdi dell’YPG avanzano nel territorio di Kobane e, stavolta, guarda la combinazione!, gli aerei della Coalizione saudito-qatariota-occidentale li sostengono con bombardamenti anti-Isis, suscitando la collera del colluso-colliso subimperialista di Ankara. Quei bombardamenti che i piloti Usa hanno confessato i loro comandanti non gli fanno fare sugli stragisti del califfo, ma piuttosto, come risulta da infinite testimonianze, contro le forze irachene, scite, iraniane, formalmente alleate contro lo Stato Islamico, ogni qual volta diano segno di poter prevalere sull’invasore. Bombe che finiscono con voluttà anche su civili e infrastrutture sotto controllo di Damasco.
C’è qualcosa di maleodorante nel giubilo che unisce destre e sinistre, imperiali e sudditi, per le vittorie dei curdi. Precisato, contro le falsificazioni dei democratici “anti-dittature arabe” (salvo quelle del Golfo), che i curdi non si sono mai battuti contro Assad, con il quale, anzi, hanno concordato l’autodifesa contro il comune nemico, ci si dovrebbe chiedere qual è la coerenza di chi, di fronte a un nemico comune alle due parti in causa, esalta la resistenza dei laici e progressisti curdi, dalle donne emancipate e combattenti, e degrada in difensori del dittatore contro i ribelli (di un Esercito cosiddetto Libero Siriano, del tutto svaporato e ricomparso sotto i turbanti Isis e Al Qaida), gli stessi patrioti siriani laici, progressisti, dalle donne emancipate e combattenti. Effetto Cia-Mossad cui nessun “sinistro” si sottrae. Perché sostenere, armare, pagare, rifocillare l’Isis contro Baghdad e Damasco, e poi affiancare i curdi, sullo stesso fronte di Damasco, con le bombe sull’Isis? L’obiettivo è chiaro e abbagliante come un cielo d’agosto sul Sahara.

Ricordate il progetto di squartamento degli Stati arabi formulato e perseguito da Israele fin dagli anni’80? La strategia di frantumazione degli Stati sovrani consolidatisi in nazione pluralistica (vedi Sudan, Libia, domani l’Algeria, Jugoslavia, altri), nell’immediato deve istituzionalizzare il disfacimento della Siria (poi del Libano) e la tripartizione dell’Iraq. Un pezzo agli sciti, uno ai sunniti, uno a curdi. E ancora meglio di uno Stato curdo unitario, tre pseudostatarfelli curdi in Turchia, Siria, Iraq. E che non si metta di traverso il sultano neo-ottomano e ultraislamista Erdogan (definito moderato e democratico da Tonino Perna sul”manifesto”, con auspicio di una sua rapida entrata in questa Europa, civile e democratica), atterrito dalla prospettiva di uno Stato kurdo che si porti via 20 milioni di cittadini turchi, tre di iracheni, 1,5 di siriani e magari anche qualche iraniano.
 A Tel Aviv e Washington non gliene frega niente di Erdogan , anzi, vista la malapartita con un concorrente potente e influente come l’Iran, figuriamoci se si dà via libera a una Turchia potenza regionale (che, oltre tutto, fa anche gasdotti con Putin). Quindi, occhio, i curdi si battono per se stessi, non meno che il popolo siriano, ma quelli che li sostengono e celebrano sanno che servono al divide et impera dei neocolonialisti atlantico-israeliani?  E che il Curdistan vagheggiato è quello petrolifero di Massud Barzani,, narcotrafficante, contrabbandiere, ras della provincia irachena e fiduciario di Washington e Tel Aviv che gli succhiano il petrolio e gli comprano mezzo territorio.
 Non ricorda il Renzi di Crozza?
Resta da gettare il fascio della lampada di Diogene su quel Salahattin Demirtas,  per i sinistri e il “manifesto” novello Tsipras (e basterebbe questo), e sul suo Partito del Popolo, HDP,  balzato al 13% in elezioni che hanno visto il taglio degli artigli a quell’Erdogan che, contro i propositi occidental-sionisti, non vuole lo Stato curdo e continua a foraggiare di armi e miliziani i jihadisti anti-kurdi che la Coalizione bombarda. Prima c’era il PKK, che combatteva, vuoi per l’indipendenza, vuoi per l’autonomia. Le profferte di pace del leader Ocalan, ammorbidito dal carcere, proprio mentre l’interlocutore turco sbranava i fratelli siriani e prendeva a sprangate il proprio popolo, lo hanno parzialmente neutralizzato. Ma non del tutto, come rivelano gli scontri tra militanti del PKK e del nuovo HDP a Diyabakir. Occorreva un rimpiazzo “moderato”, che riconoscesse il monopolio della violenza al persecutore di sempre. Per poi entusiasmare i consociativi dell’umanitario mettendo sul vertice del partito la ghirlanda del 10% di GLBTQ. Populismo? Furbata?
Viene denunciato da kurdi insoddisfatti che non proprio tutti i candidati messi in campo da Demirtas, fuori dalle grandi e visibili città, corrispondono agli standard di integrità e diversità che il partito sbandiera. Sarà. I miei dubbi potranno essere dissipati. Ma lo saranno difficilmente da un leader che si dice democratico, innovatore, ripulitore, dirittoumanista, ma non ha esalato un fiato sulle scelleratezze di Occidente e Israele nella regione, ed è poi il rappresentante ufficiale, nella Turchia della Nato, di Amnesty International, la più sporca delle agenzie di disinformazione e diffamazione al servizio dei genocidi imperiali. Calma e gesso, andrebbe suggerito ai chierichetti dell’ennesima catarsi..

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