Bugie per scatenare la guerra. Così fan gli Usa, da sempre
Scritto il 04/7/15 • nella Categoria:
segnalazioni
Quella dell’11 Settembre non è stata certo la prima volta in cui la nazione americana s’è vista trascinare in guerra
da un incidente particolarmente ambiguo. La Costituzione americana non
permette agli Stati Uniti di dare inizio a una qualunque guerra di aggressione, e riserva al solo Parlamento il potere di dichiarare guerra
ad un’altra nazione, in caso diventi necessario difendersi. Per questo
motivo, ogni volta che un presidente americano ha voluto prendere parte a
qualche guerra,
o iniziarne una nuova, ha dovuto servirsi di un incidente militare,
creato o provocato per giustificare in qualche modo l’intervento armato
di fronte al Parlamento e alla popolazione. Nel 1898, gli Stati Uniti
fecero guerra alla Spagna per sottrarle il controllo di Cuba, indispensabile per il controllo dell’intero Golfo del Messico. Il pretesto di guerra
venne dall’affondamento della nave militare “Maine” ancorata al largo
di Cuba, di cui furono subito incolpati gli spagnoli, nonostante questi
si dichiassero del tutto estranei al fatto.
Le
immagini della nave semi-affondata e quelle dei funerali dei marinai
furono fatte passare nei primi cinegiornali dell’epoca, generando nel
paese uno stato di indignazione sufficiente a poter scatenare una guerra,
che nel frattempo il futuro presidente Roosevelt, allora ministro della
marina, aveva preparato fin nel minimo dettaglio. Solo nel 1980, quasi
un secolo dopo, gli americani avrebbero riconosciuto che gli spagnoli
non erano responsabili dell’attacco, dicendo però – per non
autoaccusarsi – che il “Main” era affondato perché alcuni esplosivi
erano stati stipati troppo vicini alle caldaie. Nel frattempo, l’intera
armata spagnola era stata distrutta, e così gli americani diventavano la
nuova potenza marittima mondiale, con postazioni strategiche che
andavano dai Caraibi sino alle Filippine. Nel 1915, fu l’affondamento
del “Lusitania”, da parte di un sottomarino tedesco, a dare inizio alla
crisi tra Stati Uniti e Germania, che permise ai primi di entrare nel conflitto mondiale.
Pare
che gli americani abbiano fatto sapere di nascosto ai tedeschi che sul
“Lusitania” viaggiava un importante carico di armamenti destinato
all’Inghilterra. In questo modo, sarebbero riusciti a provocare
l’attacco da parte del sottomarino tedesco che affondò la nave, sulla
quale viaggiava anche un centinaio di cittadini americani. Nel 1941, fu
il noto attacco a Pearl Harbor a scatenare nella popolazione americana
quell’ondata di indignazione che permise a Roosevelt di entrare con
decisione nella Seconda Guerra Mondiale, contro Giappone, Italia e Germania.
Circa 3.000 marinai furono massacrati in un attacco a sorpresa, del
quale si sarebbe saputo in seguito che gli americani erano invece al
corrente già da molte ore. Ma in quell’occasione fu fatto di tutto
perché queste informazioni non arrivassero in tempo al comando del
porto, come ha poi confermato l’ammiraglio Kimmel, che aveva assistito
impotente al massacro dei suoi uomini e alla distruzione delle sue navi:
«Avevamo bisogno di una cosa, che i nostri mezzi non sono stati in
grado di farci avere: di vitale importanza erano le informazioni
disponibili a Washington, i messaggi intercettati che dicevano dove e
quando il Giappone avrebbe probabilmente attaccato. Io non ho ricevuto
queste informazioni».
Nel 1964, gli Stati Uniti decidevano di entrare ufficialmente in guerra
con il Vietnam del Nord, dopo aver aiutato militarmente per molti anni
il Vietnam del Sud, senza mai intervenire direttamente. Il pretesto di guerra
venne dal cosiddetto “Incidente del Golfo del Tonchino”, in cui delle
motovedette vietnamite furono accusate di aver lanciato siluri contro
l’incrociatore americano “Maddox”. Fu il ministro degli esteri, Robert
McNamara, a dare alla stampa la notizia della pronta reazione americana
all’attacco vietnamita: «Subito dopo l’attacco, rappresentanti americani
a Saigon si sono incontrati con rappresentanti del governo
sud-vietnamita, e insieme hanno concordato che un’azione punitiva
congiunta era necessaria». Ma lo stesso McNamara, 40 anni dopo, avrebbe
confessato che l’attacco delle motovedette era stato tutta un’invenzione
per creare, appunto, il necessario pretesto per entrare in guerra:
«Eventi successivi hanno mostrato che la nostra impressione di esser
stati attaccati quel giorno era sbagliata: non era successo». Nel
frattempo, erano morti quasi 60.000 soldati americani ed oltre 3 milioni
di civili vietnamiti.
Nel
1990, la situazione fra gli Stati Uniti e l’Iraq di Saddam Hussein si
era fattav tesa, e la squadra di neo-conservatori vicini al presidente
Bush convinse quest’ultimo ad un intervento armato contro il dittatore
iracheno. Gli americani fecero allora sapere a Saddam che non avevano
nulla in contrario se si fosse impadronito dei campi petroliferi del
Kuwait, un territorio che da sempre l’Iraq reclamava come proprio. La
trappola funzionò. E Saddam invase in Kuwait. Subito dopo, Dick Cheney
(che in quel periodo era ministro della difesa) fece avere all’Arabia
Saudita delle foto satellitari nelle quali si vedevano 250.000 soldati
di Saddam ammassati verso il confine del loro paese. Temendo
un’invasione imminente, i saduti concessero agli americani il permesso
straordinario di stabilire delle basi militari sul loro territorio,
mettendoli così in grado di attaccare comodamente l’Iraq.
Contemporaneamente, partiva una massiccia campagna mediatica contro
Saddam, che veniva accusato di aver usato contro i suoi connazionali
curdi delle armi chimiche, che gli stessi americani gli avevano venduto,
per poi coprire con il loro silenzio il genocidio in corso, pur
essendone perfettamente al corrente.
La
campagna mediatica contro il dittatore iracheno culminava con la
toccante testimonianza di una giovane infermiera kuwaitiana, che
descriveva al mondo le atrocità commesse dai soldati di Saddam negli
ospedali del suo paese invaso: «Mentre ero là ho visto i soldati
iracheni entrare nell’ospedale armati di mitra, hanno tolto i neonati
dalle incubatrici, hanno portato via le incubatrici e hanno lasciato i
bimbi a morire sul pavimento freddo». La notizia fece il giro del mondo,
e da quel momento nessuno ebbe da ridire sui bombardamenti americani in
Iraq. Qualche anno dopo, alcuni giornalisti vennero in possesso di foto
satellitari che stano state scattate dai russi sulla stessa zona di
deserto e proprio negli stessi giorni. «La cosa più importante era
quello che non mostravano. Ti saresti aspettato di vedere dei carri
armati lungo il confine, ma non ce n’era nemmeno uno. E non c’era
niente, alle spalle della frontiera, che potesse rifornire quella
quantità di carri armati e soldati».
Le
stesse immagini che mostravano distintamente i carri armati iracheni al
centro di Kuwait City rivelavano anche che lungo la frontiera con
l’Arabia Saudita non c’era assolutamente nulla: non un mezzo, non un
uomo, non un carro armato. Anche l’infermiera che aveva commosso il
mondo si rivelò essere la figlia dell’ambasciatore del Kuwait a
Washington, che aveva recitato ad arte la scena delle incubatrici (del
tutto inventata), dopo esser stata allenata professionalmente da una
delle più note società di pubbliche relazioni di Washington, la “Hill
& Knowlton”. Nel frattempo, gli americani ne avevano approfittato
per piazzare delle basi permanenti in Arabia Saudita e per sterminare
l’intero esercito iracheno. In uno spietato e vile tiro al bersaglio, in
piena violazione di tutti i trattati di guerra
mai esistiti, migliaia di soldati iracheni furono massacrati e
letteralmente inceneriti dall’aviazione americana, mentre si trovavano
del tutto scoperti e impossibilitati a fuggire, sulla via del ritorno
verso Baghdad.
(Ricostruzione estratta dal documentario “Il nuovo secolo americano”, di Massimo Mazzucco, editato su YouTube).
Quella dell’11 Settembre non è stata certo la prima volta in cui la nazione americana s’è vista trascinare in guerra
da un incidente particolarmente ambiguo. La Costituzione americana non
permette agli Stati Uniti di dare inizio a una qualunque guerra di aggressione, e riserva al solo Parlamento il potere di dichiarare guerra
ad un’altra nazione, in caso diventi necessario difendersi. Per questo
motivo, ogni volta che un presidente americano ha voluto prendere parte a
qualche guerra,
o iniziarne una nuova, ha dovuto servirsi di un incidente militare,
creato o provocato per giustificare in qualche modo l’intervento armato
di fronte al Parlamento e alla popolazione. Nel 1898, gli Stati Uniti
fecero guerra alla Spagna per sottrarle il controllo di Cuba, indispensabile per il controllo dell’intero Golfo del Messico. Il pretesto di guerra
venne dall’affondamento della nave militare “Maine” ancorata al largo
di Cuba, di cui furono subito incolpati gli spagnoli, nonostante questi
si dichiarassero del tutto estranei al fatto.Le immagini della nave semi-affondata e quelle
dei funerali dei marinai furono fatte passare nei primi cinegiornali dell’epoca, generando nel paese uno stato di indignazione sufficiente a poter scatenare una guerra, che nel frattempo il futuro presidente Roosevelt, allora ministro della marina, aveva preparato fin nel minimo dettaglio. Solo nel 1980, quasi un secolo dopo, gli americani avrebbero riconosciuto che gli spagnoli non erano responsabili dell’attacco, dicendo però – per non autoaccusarsi – che il “Maine” era affondato perché alcuni esplosivi erano stati stipati troppo vicini alle caldaie. Nel frattempo, l’intera armata spagnola era stata distrutta, e così gli americani diventavano la nuova potenza marittima mondiale, con postazioni strategiche che andavano dai Caraibi sino alle Filippine. Nel 1915, fu l’affondamento del “Lusitania”, da parte di un sottomarino tedesco, a dare inizio alla crisi tra Stati Uniti e Germania, che permise ai primi di entrare nel conflitto mondiale.
Pare che gli americani abbiano fatto sapere di nascosto ai tedeschi che sul “Lusitania” viaggiava un importante carico di armamenti destinato all’Inghilterra. In questo modo, sarebbero riusciti a provocare l’attacco da parte del sottomarino tedesco che affondò la nave, sulla quale viaggiava anche un centinaio di cittadini americani. Nel 1941, fu il noto attacco a Pearl Harbor a scatenare nella popolazione americana quell’ondata di indignazione che permise a Roosevelt di entrare con decisione nella Seconda Guerra Mondiale, contro Giappone, Italia e Germania. Circa 3.000 marinai furono massacrati in un attacco a sorpresa, del quale si sarebbe saputo in seguito che gli americani erano invece al corrente già da molte ore. Ma in quell’occasione fu fatto di tutto perché queste informazioni non arrivassero in tempo al comando del porto, come ha poi confermato l’ammiraglio Kimmel, che aveva assistito impotente al massacro dei suoi uomini e alla distruzione delle sue navi: «Avevamo bisogno di una cosa, che i nostri mezzi non sono stati in grado di farci avere: di vitale importanza erano le informazioni disponibili a Washington, i messaggi intercettati che dicevano dove e quando il Giappone avrebbe probabilmente attaccato. Io non ho ricevuto queste informazioni».
Nel 1964, gli Stati Uniti decidevano di entrare ufficialmente in guerra con il Vietnam del Nord, dopo aver aiutato militarmente per molti anni il Vietnam del Sud, senza mai intervenire direttamente. Il pretesto di guerra venne dal cosiddetto “Incidente del Golfo del Tonchino”, in cui delle motovedette vietnamite furono accusate di aver lanciato siluri contro l’incrociatore americano “Maddox”. Fu il ministro degli esteri, Robert McNamara, a dare alla stampa la notizia della pronta reazione americana all’attacco vietnamita: «Subito dopo l’attacco, rappresentanti americani a Saigon si sono incontrati con rappresentanti del governo sud-vietnamita, e insieme hanno concordato che un’azione punitiva congiunta era necessaria». Ma lo stesso McNamara, 40 anni dopo, avrebbe confessato che l’attacco delle motovedette era stato tutta un’invenzione per creare, appunto, il necessario pretesto per entrare in guerra: «Eventi successivi hanno mostrato che la nostra impressione di esser stati attaccati quel giorno era sbagliata: non era successo». Nel frattempo, erano morti quasi 60.000 soldati americani ed oltre 3 milioni di civili vietnamiti.
Nel 1990, la situazione fra gli Stati Uniti e l’Iraq di Saddam Hussein si era fatta tesa, e la squadra di neo-conservatori vicini al presidente Bush convinse quest’ultimo ad un intervento armato contro il dittatore iracheno. Gli americani fecero allora sapere a Saddam che non avevano nulla in contrario se si fosse impadronito dei campi petroliferi del Kuwait, un territorio che da sempre l’Iraq reclamava come proprio. La trappola funzionò. E Saddam invase in Kuwait. Subito dopo, Dick Cheney (che in quel periodo era ministro della difesa) fece avere all’Arabia Saudita delle foto satellitari nelle quali si vedevano 250.000 soldati di Saddam ammassati verso il confine del loro paese. Temendo un’invasione imminente, i saduti concessero agli americani il permesso straordinario di stabilire delle basi militari sul loro territorio, mettendoli così in grado di attaccare comodamente l’Iraq. Contemporaneamente, partiva una massiccia campagna mediatica contro Saddam, che veniva accusato di aver usato contro i suoi connazionali curdi delle armi chimiche, che gli stessi americani gli avevano venduto, per poi coprire con il loro silenzio il genocidio in corso, pur essendone perfettamente al corrente.
La campagna mediatica contro il dittatore iracheno culminava con la toccante testimonianza di una giovane infermiera kuwaitiana, che descriveva al mondo le atrocità commesse dai soldati di Saddam negli ospedali del suo paese invaso: «Mentre ero là ho visto i soldati iracheni entrare nell’ospedale armati di mitra, hanno tolto i neonati dalle incubatrici, hanno portato via le incubatrici e hanno lasciato i bimbi a morire sul pavimento freddo». La notizia fece il giro del mondo, e da quel momento nessuno ebbe da ridire sui bombardamenti americani in Iraq. Qualche anno dopo, alcuni giornalisti vennero in possesso di foto satellitari che stano state scattate dai russi sulla stessa zona di deserto e proprio negli stessi giorni. «La cosa più importante era quello che non mostravano. Ti saresti aspettato di vedere dei carri armati lungo il confine, ma non ce n’era nemmeno uno. E non c’era niente, alle spalle della frontiera, che potesse rifornire quella quantità di carri armati e soldati».
Le stesse immagini che mostravano distintamente i carri armati iracheni al centro di Kuwait City rivelavano anche che lungo la frontiera con l’Arabia Saudita non c’era assolutamente nulla: non un mezzo, non un uomo, non un carro armato. Anche l’infermiera che aveva commosso il mondo si rivelò essere la figlia dell’ambasciatore del Kuwait a Washington, che aveva recitato ad arte la scena delle incubatrici (del tutto inventata), dopo esser stata allenata professionalmente da una delle più note società di pubbliche relazioni di Washington, la “Hill & Knowlton”. Nel frattempo, gli americani ne avevano approfittato per piazzare delle basi permanenti in Arabia Saudita e per sterminare l’intero esercito iracheno. In uno spietato e vile tiro al bersaglio, in piena violazione di tutti i trattati di guerra mai esistiti, migliaia di soldati iracheni furono massacrati e letteralmente inceneriti dall’aviazione americana, mentre si trovavano del tutto scoperti e impossibilitati a fuggire, sulla via del ritorno verso Baghdad.
(Ricostruzione estratta dal documentario “Il nuovo secolo americano”, di Massimo Mazzucco, editato su YouTube).
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