Attenti all’America, quella vera: è povera, sola e disperata
Confesso:
sono stato, in gioventù, un grande ammiratore degli Stati Uniti. Poi,
da inviato speciale, ho iniziato a girare questo grande paese in lungo e
in largo ma non nelle solite, note grandi città – New York, San
Francisco, Boston, Washington – bensì nell’America profonda, quella,
noiosissima, mai battuta dai turisti e dove i giornalisti si recano solo
se costretti dai loro direttori. Un paio di anni fa con la mia famiglia
abbiamo trascorso le vacanze negli Usa;
lasciammo la Grande Mela per addentrarci nello Stato di New York, su
verso Albany e Catskills Mountains, sedotti dalla descrizione, letta
sulle guide turistiche, dei tipici, deliziosi villaggi, simbolo di una
vecchia America. Bastarono poche decine di chilometri per restare
sconcertati: i villaggi erano davvero vecchi ma tutt’altro che
deliziosi. Erano angoscianti, costellati di case derelitte e talvolta
piegate su se stesse; viaggiavamo su strade piene di buche da cui
spuntavano erbacce che nessuno strappava più da tempo e intorno a noi
vedvamo solo povera gente. I più fortunati vivevano in baracche di
legno, gli altri vagavano trascinando i propri cenci nei carrelli della
spesa.
Scoprimmo,
allora, l’altro volto dell’America, quello che i turisti non vedono mai
sulla Fifth Avenue o nel centro di San Francisco, ed è un’America molto
più numerosa di quanto si immagini, isolata, ignorata da tutti,
abbandonata a se stessa. Capii allora che erano veritiere le denunce di
un commentatore molto coraggioso l’economista Paul Craig Roberts; non
uno qualunque, ma uno dei principali collaboratori del presidente
Reagan, docente universitario, pluripremiato. Craig Roberts sostiene che
parte dei dati concernenti gli Usa, a cominciare da quelli sulla disoccupazione,
non sono attendibili, in quanto manipolati alla fonte. Per intenderci: è
uno di destra, un liberale. Ma con gli occhi aperti e un’autentica
passione civica al servizio del proprio paese. Ora, grazie alla
segnalazione di un amico, scopro uno studio di due docenti americani,
Hershey H. Friedman e Sarah Hertz, intitolato: “Gli Stati Uniti sono il
miglior paese al mondo?
Ripensateci”, basato su una serie di statistiche internazionali, da cui
trova conferma il ritratto di un paese in fase di evidente involuzione
sociale, politica ed economica.
Qualche dato: nella classifica sulla percentuale della popolazione che vive in povertà, gli Usa sono al 35esimo posto su 153. Quella riguardante i bambini in povertà nei paesi occidentali è ancora più disastrosa: gli Usa sono 34esimi su 35, solo la Romania fa peggio. Sono il quarto paese al mondo
con la maggior disuguaglianza reddituale, dietro a Cile, Messico e
Turchia. E gli stessi americani non si sentono molto felici: sono appena
al diciassettesimo posto della classifica mondiale. L’aspettativa di
vita è bassa: gli Usa
sono appena 42esimi, mentre battono tutti riguardo la popolazione
carceraria: hanno 2,2 milioni di detenuti, molto più della Cina (1,6
milioni) che però ha una popolazione oltre 3 volte maggiore e della Russia dell’orribile Putin (600 mila). Secondo una fonte insospettabile, l’“Economist”, nemmeno Stalin raggiungeva queste cifre.
Potrei
continuare ma mi fermo qui. Intuisco lo sconcerto del lettore, che si
chiede: ma come? Io pensavo che l’America… Già, lo pensavamo tutti, ma
per valutare davvero questo Paese non ci si può limitare agli annunci
ufficiali, che descrivono solo una parte della realtà, ignorando tutto
quello che non collima con la verità ufficiale, con il mito che
Hollywood e le tv continuano ad alimentare. Quanti film avete visto sui
45 milioni di americani in povertà? Quante denunce giornalistiche? Chi
solleva questo tema nei dibattiti televisivi? La risposta è sempre la
stessa: nessuno. Tutti pavidi e conformisti, tranne pochi commentatori
coraggiosi come Paul Craig Roberts. That’s America. Purtroppo.
(Marcello
Foa, “Viva il modello americano! O forse no, questi dati dimostrano
un’altra verità”, dal blog di Foa su “Il Giornale” dell’11 agosto 2015).
Confesso: sono stato, in gioventù, un grande ammiratore degli Stati
Uniti. Poi, da inviato speciale, ho iniziato a girare questo grande
paese in lungo e in largo ma non nelle solite, note grandi città – New
York, San Francisco, Boston, Washington – bensì nell’America profonda,
quella, noiosissima, mai battuta dai turisti e dove i giornalisti si
recano solo se costretti dai loro direttori. Un paio di anni fa con la
mia famiglia abbiamo trascorso le vacanze negli Usa;
lasciammo la Grande Mela per addentrarci nello Stato di New York, su
verso Albany e Catskills Mountains, sedotti dalla descrizione, letta
sulle guide turistiche, dei tipici, deliziosi villaggi, simbolo di una
vecchia America. Bastarono poche decine di chilometri per restare
sconcertati: i villaggi erano davvero vecchi ma tutt’altro che
deliziosi. Erano angoscianti, costellati di case derelitte e talvolta
piegate su se stesse; viaggiavamo su strade piene di buche da cui
spuntavano erbacce che nessuno strappava più da tempo e intorno a noi
vedevamo solo povera gente. I più fortunati vivevano in baracche di
legno, gli altri vagavano trascinando i propri cenci nei carrelli della
spesa.Scoprimmo, allora, l’altro volto dell’America, quello che i turisti non vedono mai sulla Fifth Avenue o nel centro di San Francisco, ed è un’America molto più numerosa di quanto si immagini, isolata, ignorata da tutti, abbandonata a se stessa. Capii allora che erano veritiere le denunce di un commentatore molto coraggioso l’economista Paul Craig Roberts; non uno qualunque, ma uno dei principali collaboratori del presidente Reagan, docente universitario, pluripremiato. Craig Roberts sostiene che parte dei dati concernenti gli Usa, a cominciare da quelli sulla disoccupazione, non sono attendibili, in quanto manipolati alla fonte. Per intenderci: è uno di destra, un liberale. Ma con gli occhi aperti e un’autentica passione civica al servizio del proprio paese. Ora, grazie alla segnalazione di un amico, scopro uno studio di due docenti americani, Hershey H. Friedman e Sarah Hertz, intitolato: “Gli Stati Uniti sono il miglior paese al mondo? Ripensateci”, basato su una serie di statistiche internazionali, da cui trova conferma il ritratto di un paese in fase di evidente involuzione sociale, politica ed economica.
Qualche dato: nella classifica sulla percentuale della popolazione che vive in povertà, gli Usa sono al 35esimo posto su 153. Quella riguardante i bambini in povertà nei paesi occidentali è ancora più disastrosa: gli Usa sono 34esimi su 35, solo la Romania fa peggio. Sono il quarto paese al mondo con la maggior disuguaglianza reddituale, dietro a Cile, Messico e Turchia. E gli stessi americani non si sentono molto felici: sono appena al diciassettesimo posto della classifica mondiale. L’aspettativa di vita è bassa: gli Usa sono appena 42esimi, mentre battono tutti riguardo la popolazione carceraria: hanno 2,2 milioni di detenuti, molto più della Cina (1,6 milioni) che però ha una popolazione oltre 3 volte maggiore e della Russia dell’orribile Putin (600 mila). Secondo una fonte insospettabile, l’“Economist”, nemmeno Stalin raggiungeva queste cifre.
Potrei continuare ma mi fermo qui. Intuisco lo sconcerto del lettore, che si chiede: ma come? Io pensavo che l’America… Già, lo pensavamo tutti, ma per valutare davvero questo paese non ci si può limitare agli annunci ufficiali, che descrivono solo una parte della realtà, ignorando tutto quello che non collima con la verità ufficiale, con il mito che Hollywood e le tv continuano ad alimentare. Quanti film avete visto sui 45 milioni di americani in povertà? Quante denunce giornalistiche? Chi solleva questo tema nei dibattiti televisivi? La risposta è sempre la stessa: nessuno. Tutti pavidi e conformisti, tranne pochi commentatori coraggiosi come Paul Craig Roberts. That’s America. Purtroppo.
(Marcello Foa, “Viva il modello americano! O forse no, questi dati dimostrano un’altra verità”, dal blog di Foa su “Il Giornale” dell’11 agosto 2015).
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