Foa: il tedesco chiagne e fotte (e intanto si pappa la Grecia)
La
notizia della vendita di 14 aeroporti greci a una società tedesca, la
Fraport, sta suscitando indignazione; eppure non dovrebbe stupire. Noi
siamo abituati a mitizzare i tedeschi, a farci intimidire dal loro
rigore morale e – da quando il senso di colpa per l’Olocausto è
evaporato – anche dal loro senso di superiorità. In realtà sbagliamo e
dovremmo cominciare a giudicare le élites tedesche – perché il popolo,
come sempre, c’entra poco – per quello che sono. E soprattutto per i
loro difetti. Il primo è la superbia: quando il tedesco di successo (e
di potere)
troppo spesso diventa sprezzante e non sa darsi il senso della misura.
L’empatia, il senso delle proporzioni e dell’equilibrio, quel buon senso
che induce gli uomini di successo più avveduti a non esagerare,
riflettendo i principi di Sun Tzu, scompare. Il tedesco non si
accontenta di vincere, deve stravincere e possibilmente schiacciare
l’avversario; non concepisce alcuna attenuante né comprensione umana ma
soltanto il raggiungimento dei propri obiettivi, in sintonia con la
propria concezione morale, che naturalmente coincide con i propri
interessi e non contempla né gli interessi né le spiegazioni degli
altri, per quanto possano essere fondati.
La
relatività morale delle élite tedesche è una costante storica, e tra
l’altro spiega molti crimini dei tedeschi ai tempi dei nazisti. Ma non
solo. Se analizziamo la storia
recente ci accorgiamo che questo atteggiamento è ricorrente. Nel suo
splendido saggio “Anschluss – L’annessione”, Vladimiro Giacché dimostra
come l’unificazione tedesca non abbia condotto al salvataggio della ex
Ddr da parte della Repubblica federale tedesca, bensì a una spoliazione
del tessuto industriale ed economico della Germania dell’est da parte
delle aziende dell’Ovest in sintonia con il sistema bancario e la classe
politica,
secondo modalità che definire immorali è persino riduttivo. Allora andò
in scena un grande furto collettivo, roba da Casta all’ennesima potenza
(altro che Italia!), che di fatto trasformò in un insuccesso economico e
sociale quello che avrebbe dovuto essere un processo di integrazione
economica. La grande ruberia, naturalmente, non fu denunciata dalla
stampa e non fu oggetto di commissioni di inchiesta.
Il
costo sociale fu scaricato sui länder dell’est, che da allora non si
sono più ripresi, e quello economico sui conti dello Stato e,
indirettamente su tutta l’Europa,
che a causa di quella pessima gestione sprofondò, all’inizio degli anni
Novanta, in una lunga recessione. Le élites tedesche non hanno mai
pagato alla Grecia i debiti di guerra,
sostenendo per oltre 50 anni che “non era il momento”. I tedeschi che
con tanta irruenza hanno giudicato la Grecia di oggi, dipingendola come
corrotta, inaffidabile, indolente, sono gli stessi che le hanno venduto
armamenti per miliardi e che coprono, per legge, la corruzione delle
proprie aziende all’estero, inclusa Atene (vedi lo scandalo Siemens);
sono coloro che un paio di anni fa hanno permesso alle proprie banche di
liberarsi del debito pubblico greco, scaricandolo sui contribuenti
europei, con un’operazione che ancora una volta fu presentata come un
salvataggio naturalmente del popolo greco.
I
tedeschi non hanno mai messo la Grecia nelle condizioni di risollevarsi
veramente ma, d’accordo con la Troika, l’hanno caricata di tasse,
balzelli, “riforme” che hanno avuto come unico effetto quello di far
crollare del 25% il Pil greco. Le hanno cavato un paio di litri di
sangue e poi le hanno detto: non sei abbastanza in forma, devi correre
più veloce. Non ti dai abbastanza da fare, devi dare altro sangue.
Naturalmente avanzando pretese morali e continuando a incolpare il
popolo greco nel suo insieme. A Napoli direbbero che la Germania
“chiagne e fotte”. Il fottuto oggi è la Grecia. Oggi. E domani?
(Marcello
Foa, “Il tedesco chiagne e fotte, e intanto si compra la Grecia”, dal
blog di Foa su “Il Giornale” del 19 agosto 2015).
La notizia della vendita di 14 aeroporti greci a una società tedesca,
la Fraport, sta suscitando indignazione; eppure non dovrebbe stupire.
Noi siamo abituati a mitizzare i tedeschi, a farci intimidire dal loro
rigore morale e – da quando il senso di colpa per l’Olocausto è
evaporato – anche dal loro senso di superiorità. In realtà sbagliamo e
dovremmo cominciare a giudicare le élites tedesche – perché il popolo,
come sempre, c’entra poco – per quello che sono. E soprattutto per i
loro difetti. Il primo è la superbia: quando il tedesco di successo (e
di potere)
troppo spesso diventa sprezzante e non sa darsi il senso della misura.
L’empatia, il senso delle proporzioni e dell’equilibrio, quel buon senso
che induce gli uomini di successo più avveduti a non esagerare,
riflettendo i principi di Sun Tzu, scompare. Il tedesco non si
accontenta di vincere, deve stravincere e possibilmente schiacciare
l’avversario; non concepisce alcuna attenuante né comprensione umana ma
soltanto il raggiungimento dei propri obiettivi, in sintonia con la
propria concezione morale, che naturalmente coincide con i propri
interessi e non contempla né gli interessi né le spiegazioni degli
altri, per quanto possano essere fondati.La relatività morale delle élite tedesche è una costante storica, e tra l’altro spiega molti crimini dei tedeschi ai tempi dei nazisti. Ma non solo. Se analizziamo la storia recente ci accorgiamo che questo atteggiamento è ricorrente. Nel suo splendido saggio “Anschluss – L’annessione”, Vladimiro Giacché dimostra come l’unificazione tedesca non abbia condotto al salvataggio della ex Ddr da parte della Repubblica federale tedesca, bensì a una spoliazione del tessuto industriale ed economico della Germania dell’est da parte delle aziende dell’Ovest in sintonia con il sistema bancario e la classe politica, secondo modalità che definire immorali è persino riduttivo. Allora andò in scena un grande furto collettivo, roba da Casta all’ennesima potenza (altro che Italia!), che di fatto trasformò in un insuccesso economico e sociale quello che avrebbe dovuto essere un processo di integrazione economica. La grande ruberia, naturalmente, non fu denunciata dalla stampa e non fu oggetto di commissioni di inchiesta.
Il costo sociale fu scaricato sui länder dell’est, che da allora non si sono più ripresi, e quello economico sui conti dello Stato e, indirettamente su tutta l’Europa, che a causa di quella pessima gestione sprofondò, all’inizio degli anni Novanta, in una lunga recessione. Le élites tedesche non hanno mai pagato alla Grecia i debiti di guerra, sostenendo per oltre 50 anni che “non era il momento”. I tedeschi che con tanta irruenza hanno giudicato la Grecia di oggi, dipingendola come corrotta, inaffidabile, indolente, sono gli stessi che le hanno venduto armamenti per miliardi e che coprono, per legge, la corruzione delle proprie aziende all’estero, inclusa Atene (vedi lo scandalo Siemens); sono coloro che un paio di anni fa hanno permesso alle proprie banche di liberarsi del debito pubblico greco, scaricandolo sui contribuenti europei, con un’operazione che ancora una volta fu presentata come un salvataggio naturalmente del popolo greco.
I tedeschi non hanno mai messo la Grecia nelle condizioni di risollevarsi veramente ma, d’accordo con la Troika, l’hanno caricata di tasse, balzelli, “riforme” che hanno avuto come unico effetto quello di far crollare del 25% il Pil greco. Le hanno cavato un paio di litri di sangue e poi le hanno detto: non sei abbastanza in forma, devi correre più veloce. Non ti dai abbastanza da fare, devi dare altro sangue. Naturalmente avanzando pretese morali e continuando a incolpare il popolo greco nel suo insieme. A Napoli direbbero che la Germania “chiagne e fotte”. Il fottuto oggi è la Grecia. Oggi. E domani?
(Marcello Foa, “Il tedesco chiagne e fotte, e intanto si compra la Grecia”, dal blog di Foa su “Il Giornale” del 19 agosto 2015).
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