Sfruttati da Amazon, sono i nuovi schiavi del XXI secolo
Un
articolo dell’“Huffington Post” interviene sulla polemica fra il “New
York Times” e il boss di Amazon, Jeff Bezos, innescata dal recente
servizio che il prestigioso quotidiano ha pubblicato sulle spaventose
condizioni di lavoro che il colosso globale del commercio online impone ai propri dipendenti. Il tema non è nuovo (anche in Europa
ci sono state denunce del fenomeno e diverse vertenze sindacali) ma il
pezzo dell’“Huffington Post” arricchisce il dossier di alcuni
particolari raccapriccianti, come i “processi” nei confronti dei
dipendenti “pigri” (spesso istruiti in base alla delazione di qualche
collega, pratica che viene sistematicamente incoraggiata e premiata
dalla direzione), laddove il concetto di pigrizia è ben definito da una
ex dipendente: «Se non sei in grado di dare assolutamente tutto per 80
ore settimanali, vieni classificato come un peso da scaricare». E
ancora: dipendenti malati di cancro rimproverati per il loro scarso
rendimento, e via di questo passo. Ma in fondo non c’è motivo di
stupirsi. Infatti, come recita giustamente il titolo dell’articolo,
“Amazon si è limitata a perfezionare ciò che la cultura americana del lavoro ha creato”.
Un
concetto ribadito da Sydney Finkelstein, un docente di management che
dichiara all’autrice del pezzo: «Amazon sta perfezionando il modello di
business americano: lavorare giorno e notte: loro rappresentano la punta
di diamante che traccia il futuro del lavoro nel nostro paese, ci fanno vedere cosa ci aspetta e non è un bel vedere». Ma non si era detto che le condizioni del lavoro nell’industria hi tech sono le migliori che un lavoratore possa sognare? Chi non ricorda le descrizioni entusiastiche di un ambiente di lavoro
come il Googleplex, cuore dell’impero del motore di ricerca? La verità è
che il panorama è assai variegato e le condizioni possono variare
significativamente da un’impresa all’altra, come ricorda l’articolo di
cui mi sto qui occupando.
Articolo
che però omette di chiarire come le condizioni, più che in relazioni
alle politiche aziendali, cambino in relazione all’appartenenza ai
diversi strati di lavoratori: da un lato, una minoranza di privilegiati
(che spesso hanno, fra gli altri, il compito di studiare come aumentare
la produttività dei colleghi “meno meritevoli”), dall’altro lato una
maggioranza di addetti a mansioni esecutive (non a caso i lavoratori più
schiavizzati da Amazon sono gli addetti ai magazzini di stoccaggio
delle merci) che sono oggetto di tassi feroci di sfruttamento. Una
stratificazione di classe che emerge anche dai conflitti sempre più
frequenti fra élite tecnologiche e lavoratori dei servizi che operano
nelle stesse aree geografiche.
Resta
solo da aggiungere che Amazon non è un modello solo per le imprese
americane ma anche per quelle di tutto il mondo, Italia compresa. Un
filo rosso congiunge il viaggio di Matteo Renzi negli Stati Uniti e la
sua visita-omaggio ai boss di Silicon Valley con il Jobs Act che sta
concludendo in questi giorni il suo iter parlamentare: con la
legittimazione del controllo tecnologico a distanza dei lavoratori
(ciliegina sulla torta degli altri attacchi ai loro diritti contenuti in
quel provvedimento) si apprestano gli strumenti per trasformare anche i
nostri operai e impiegati nei nuovi schiavi del XXI secolo.
(Carlo Formenti, “Amazon e i nuovi schiavi del XXI secolo”, da “Micromega” del 24 agosto 2015).
Un articolo dell’“Huffington Post” interviene sulla polemica fra il
“New York Times” e il boss di Amazon, Jeff Bezos, innescata dal recente
servizio che il prestigioso quotidiano ha pubblicato sulle spaventose
condizioni di lavoro che il colosso globale del commercio online impone ai propri dipendenti. Il tema non è nuovo (anche in Europa
ci sono state denunce del fenomeno e diverse vertenze sindacali) ma il
pezzo dell’“Huffington Post” arricchisce il dossier di alcuni
particolari raccapriccianti, come i “processi” nei confronti dei
dipendenti “pigri” (spesso istruiti in base alla delazione di qualche
collega, pratica che viene sistematicamente incoraggiata e premiata
dalla direzione), laddove il concetto di pigrizia è ben definito da una
ex dipendente: «Se non sei in grado di dare assolutamente tutto per 80
ore settimanali, vieni classificato come un peso da scaricare». E
ancora: dipendenti malati di cancro rimproverati per il loro scarso
rendimento, e via di questo passo. Ma in fondo non c’è motivo di
stupirsi. Infatti, come recita giustamente il titolo dell’articolo,
“Amazon si è limitata a perfezionare ciò che la cultura americana del lavoro ha creato”.Un concetto ribadito da Sydney Finkelstein, un docente di management che dichiara all’autrice del pezzo: «Amazon sta perfezionando il modello di business americano: lavorare giorno e notte: loro rappresentano la punta di diamante che traccia il futuro del lavoro nel nostro paese, ci fanno vedere cosa ci aspetta e non è un bel vedere». Ma non si era detto che le condizioni del lavoro nell’industria hi tech sono le migliori che un lavoratore possa sognare? Chi non ricorda le descrizioni entusiastiche di un ambiente di lavoro come il Googleplex, cuore dell’impero del motore di ricerca? La verità è che il panorama è assai variegato e le condizioni possono variare significativamente da un’impresa all’altra, come ricorda l’articolo di cui mi sto qui occupando.
Articolo che però omette di chiarire come le condizioni, più che in relazioni alle politiche aziendali, cambino in relazione all’appartenenza ai diversi strati di lavoratori: da un lato, una minoranza di privilegiati (che spesso hanno, fra gli altri, il compito di studiare come aumentare la produttività dei colleghi “meno meritevoli”), dall’altro lato una maggioranza di addetti a mansioni esecutive (non a caso i lavoratori più schiavizzati da Amazon sono gli addetti ai magazzini di stoccaggio delle merci) che sono oggetto di tassi feroci di sfruttamento. Una stratificazione di classe che emerge anche dai conflitti sempre più frequenti fra élite tecnologiche e lavoratori dei servizi che operano nelle stesse aree geografiche.
Resta solo da aggiungere che Amazon non è un modello solo per le imprese americane ma anche per quelle di tutto il mondo, Italia compresa. Un filo rosso congiunge il viaggio di Matteo Renzi negli Stati Uniti e la sua visita-omaggio ai boss di Silicon Valley con il Jobs Act che sta concludendo in questi giorni il suo iter parlamentare: con la legittimazione del controllo tecnologico a distanza dei lavoratori (ciliegina sulla torta degli altri attacchi ai loro diritti contenuti in quel provvedimento) si apprestano gli strumenti per trasformare anche i nostri operai e impiegati nei nuovi schiavi del XXI secolo.
(Carlo Formenti, “Amazon e i nuovi schiavi del XXI secolo”, da “Micromega” del 24 agosto 2015).
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