Siria, la Russia oscura i radar Nato: Pentagono nel panico
24/10 •
L’intervento militare russo in Siria si è trasformato in una
manifestazione di potenza che ribalta l’equilibrio strategico mondiale:
l’esercito di Mosca ha “accecato” completamente gli Usa
e la Nato, impedendo loro di osservare quello che sta accadendo sul
terreno. Solo i russi e i siriani hanno la capacità di valutare la
situazione sul campo, avverte Thierry Meyssan. Mosca e Damasco intendono
sfruttare al massimo il loro vantaggio e quindi mantengono la
segretezza delle loro operazioni. Sarebbero già stati uccisi almeno
5.000 jihadisti, fra cui molti capi di Ahrar al-Sham, di Al-Qaeda e
dell’Isis, mentre almeno 10.000 mercenari sono fuggiti verso la Turchia,
l’Iraq e la Giordania. L’esercito siriano e le milizie libanesi di
Hezbollah hanno riconquistato il terreno senza attendere gli annunciati
rinforzi iraniani. Il Pentagono è frastornato, «diviso tra coloro che
cercano di minimizzare i fatti e di trovare una falla nel sistema russo e
quelli che, al contrario, ritengono che gli Stati Uniti abbiano perso
la loro superiorità in materia di guerra convenzionale e che avranno
bisogno di molti anni per recuperarla».Articoli Recenti
Scie chimiche, persino Grillo minimizza (come i nuovi troll)
24/10 • idee •
«La
causa delle scie chimiche sono gli aeroplani col motore Volkswagen»
(Beppe Grillo, 24/9/2015). Assolutamente non richiesto, Beppe Grillo ci
dà un esempio di come opera la disinformazione di regime: prendere un
tema drammatico, anzi disumano, e normalizzarlo inserendolo in un
contesto comico. Per chi ancora avesse dei dubbi sulla reale
gestione/funzione del M5S (opposizione con-trollata), a dispetto
dell’onestà e dell’impegno della grande maggioranza degli iscritti e dei
votanti, compreso chi scrive. Se solo volesse, Grillo potrebbe
sfruttare la sua esposizione mediatica internazionale per denunciare
pubblicamente questo crimine contro l’umanità e fare i nomi dei
responsabili, invece di normalizzarlo con battute di (dubbio) spirito.
Basterebbe un video di 10 minuti, ma non lo farà mai, perché i
responsabili sono gli stessi che lo hanno messo dov’è ora. Colgo
l’occasione per ricordare che molti troll in rete usano la vicinanza al
M5S per ottenere una sorta di “patente di credibilità”, uno schermo
dietro cui nascondersi per esercitare al meglio la loro “mission”.
Ultimamente
sto notando lo stesso schema di like/appartenenza a gruppi “misti” (pro
e contro geoingegneria) di un certo tipo di troll, il “finto
possibilista”, che interviene nei gruppi con post “descrittivi” senza
foto, al massimo una decina di righe che spesso culminano in una
domanda, apparentemente sensata ma in realtà mirata a distogliere
l’attenzione dai veri scopi delle scie chimiche (per quanto mi riguarda,
l’obiettivo principale è il controllo mentale / comportamentale /
umorale delle persone attraverso le nanotecnologie). Sono ormai più di
due anni che quotidianamente studio la geoingegneria da diversi punti di
vista; negli ultimi mesi su richiesta di un caro amico sono diventato
co-amministratore di un gruppo a tema, e ho potuto così approfondire le
tecniche di disinformazione dei vari gruppi di trollaggio: provenienza
geografica e ideologica, strategie di intervento e di like tra di loro,
format dei commenti, pagine “strategiche” cui fanno riferimento,
apparati statali che li proteggono.
Essere
“admin” mi ha dato modo di notare anche le ondate di iscrizioni dei
troll, da chi vengono invitati e soprattutto da chi vengono prontamente
(almeno fino al mio arrivo) accettati, che nel caso del mio gruppo è
sempre la stessa persona. Ho cominciato a studiare quindi i meccanismi
di iscrizione anche negli altri gruppi cui partecipo, e la conclusione è
che molti di questi 100 gruppi sono infiltrati per quasi la metà del
numero di iscritti. A volte metto dei “post esca”, o commenti esca, per
stanare questi delinquenti, che infatti nel tempo si palesano per quello
che sono e la mission che devono compiere. Soprattutto mi sono reso
conto che i troll ricevono dei veri e propri input a livello
internazionale (sono iscritto anche in diversi gruppi stranieri), quindi
all’improvviso e dal nulla ci troveremo con lo stesso articolo-bufala
(magari di un anno prima) spammato in tutti i gruppi e con gli stessi
commenti sotto… tradotti in tutte le lingue. Ciò è davvero allucinante,
perché prevede una regia internazionale solidissima e molto molto
intelligente, più una struttura organizzativa capillare che arriva fin
nei gangli minimi della nostra società.
Il
grosso del lavoro “sporco” viene fatto da giovani reclutati all’interno
delle facoltà tecnico-scientifiche delle università, cooptati da
professori-baroni legati alla massoneria internazionale. Ci sono poi i
troll di provenienza “politica”,
foraggiati cioè sempre dallo Stato ma passando per la mangiatoia dei
partiti: i piddini, quelli di destra, e quelli che appunto usano lo
schermo del Movimento 5 Stelle per dotarsi di una “patente” di
credibilità… Altro criterio di distinzione dei troll è quello
geografico: due zone in particolare (guardacaso fortemente condizionate
dalla presenza della Nato) costituiscono un serbatoio di addetti alla
disinformazione: Friuli-Veneto e Sardegna: in queste regioni la corrente
“nera” e indipendentista storicamente si è legata ai servizi segreti e
oggi viene telecomandata ai fini dell’occultamento della verità, della
manipolazione anche emotiva dei lettori con tecniche di Pnl, e
addirittura dell’intimidazione nei confronti degli attivisti genuini.
Per
tutti questi motivi, il ruolo dell’admin nei nostri gruppi è
importantissimo… basterebbe riflettere sul fatto che “loro” spendono
milioni per contrastare la nostra presa di coscienza e iniziativa, e se
non fosse così importante non lo farebbero. E’ fondamentale che nei
gruppi italiani di riferimento ci sia la capacità di resistere ai
tentativi di infiltrazione e di sottile manipolazione mentale che
ultimamente stanno aumentando a ritmo esponenziale, e questo è possibile
perché appunto diversi membri (e a volte “admin”) finti attivisti “ad
orologeria” stanno scoppiando, e mandando in confusione / sfiducia
decine di persone che per anni li hanno seguiti ciecamente, certi della
loro buona fede.
(Mario
Quaranta, “Grillo, le scie chimiche e i nuovi troll”, dalla pagina
Facebok di Mario Quaranta, post aggiornato il 28 settembre 2015.
Ricercatore indipendente, Quaranta ha partecipato alla puntata della
trasmissione web-radio “Border Nights” del 7 ottobre 2015).
«La causa delle scie chimiche sono gli aeroplani col motore
Volkswagen» (Beppe Grillo, 24/9/2015). Assolutamente non richiesto,
Beppe Grillo ci dà un esempio di come opera la disinformazione di
regime: prendere un tema drammatico, anzi disumano, e normalizzarlo
inserendolo in un contesto comico. Per chi ancora avesse dei dubbi sulla
reale gestione/funzione del M5S (opposizione con-trollata), a dispetto
dell’onestà e dell’impegno della grande maggioranza degli iscritti e dei
votanti, compreso chi scrive. Se solo volesse, Grillo potrebbe
sfruttare la sua esposizione mediatica internazionale per denunciare
pubblicamente questo crimine contro l’umanità e fare i nomi dei
responsabili, invece di normalizzarlo con battute di (dubbio) spirito.
Basterebbe un video di 10 minuti, ma non lo farà mai, perché i
responsabili sono gli stessi che lo hanno messo dov’è ora. Colgo
l’occasione per ricordare che molti troll in rete usano la vicinanza al
M5S per ottenere una sorta di “patente di credibilità”, uno schermo
dietro cui nascondersi per esercitare al meglio la loro “mission”.Mitterrand: basta deficit, troppi soldi (e potere) ai cittadini
23/10 • segnalazioni •
Perché
ancora oggi ci sono persone senza cibo o acqua mentre altre vivono
nell’abbondanza? Perché ancora oggi ci sono persone senza un lavoro e
altre che ne hanno svariati? Perché ancora oggi ci sono persone senza
casa e altre che ne hanno svariate? Perché ancora oggi ci sono persone
senza soldi e altre con tanti soldi? Se davvero esiste una soluzione ai
problemi della gente, perché nessuno la metta in pratica? Perché tutti
si occupano sempre degli effetti dei problemi, trascurando le cause?
Perché nessuno ci spiega qual è la causa? Perché se qualcuno conosce la
causa, nessuno mette in campo la soluzione? Qual è la soluzione?
Quotidianamente guardiamo, ascoltiamo e leggiamo del problema dei soldi
che non ci sono, della disoccupazione che aumenta, dell’economia
che non va bene perché i soldi non ci sono, degli imprenditori e dello
Stato che non possono assumere perché non ci sono i soldi; del fatto che
il debito pubblico aumenta perché l’economia
non va bene perché mancano i soldi e quindi bisogna tagliare le spese
ed aumentare le tasse in modo da abbassare i decifit annuali e il debito
pubblico.
Spesso
addirittura ci dicono che dobbiamo fare il surplus di bilancio: che in
sostanza significa che lo Stato incassa più di quando spende, perché se
abbassiamo il debito i “mercati” (che semplicemente sono dei privati da
alcuni anni abilitati a prestarci i soldi – incredibile, ma vero…) ci
guarderanno con occhio differente e le agenzie di rating americane che
controllano la vita dei singoli Stati in giro per il mondo (la vita di
tutti noi), saranno più felici e non ci declasseranno. Ma chi sono i
proprietari di questi maledetti soldi? Ci sono persone che essendo
promotrici di queste “politiche criminali” finalizzate all’arricchimento
dei singoli a discapito di tutti gli altri, conoscono ovviamente anche
la risoluzione dei nostri problemi: risoluzione/soluzione che potrebbe
essere applicata nel giro di pochi mesi e servirebbe a mettere al sicuro
miliardi di vite attualmente letteralmente abbandonate a se stesse o in
estremo pericolo).
Oggi
gli Stati si dividono in due categorie: quelli che possiedono una
moneta sovrana e quelli che non hanno moneta sovrana. Le monete sovrane,
per essere considerate veramente tali, devono seguire tre criteri
fondamentali: devono essere di proprietà dello Stato che le emette, non
devono essere convertibili in nessun materiale concreto tipo oro o
argento e devono essere fluttuanti, il che significa che non possono
essere cambiate a un tasso fisso con altre monete, quindi vengono
lasciate fluttuare sui mercati, che decidono di volta in volta i tassi
di cambio. Il dollaro, la sterlina e lo yen, ad esempio, sono monete
sovrane perché rispettano questi tre criteri. Le monete non sovrane,
invece, sono monete che non hanno nessuna proprietà. Gli Stati a moneta
sovrana spendono inventando la moneta e accreditano i conti correnti di
coloro che vendono loro beni o servizi. Gli Stati a moneta sovrana,
quindi, creano ricchezza quando spendono e tolgono ricchezza ai
cittadini quando tassano. Da ciò si deduce che, se tutti gli Stati a
moneta sovrana spendono più di quanto tassano, questo arricchisce la
società.
Negli
Stati a moneta sovrana il debito pubblico non è il debito dei cittadini
ma la loro ricchezza. Quindi, se uno Stato a moneta sovrana decide di
eliminare o pareggiare il debito, esso cesserà l’arricchimento dei
cittadini. Immaginiamo che oggi nasce lo Stato X, che abbiamo un debito
zero e che il Governo appena eletto dal popolo il primo anno decide di
costruire 10 caserme, 100 scuole, 1000 ospedali, 10.000 Università,
100.000 strade eccetera… quindi, cosa fa il governo? Semplicemente
inventa la moneta, accredita i conti corrente delle persone che lavorano
per la costruzione di queste opere, quindi spende e distribuisce
ricchezza. Immaginiamo che il primo anno il governo spende 100 monete
per costruire questi beni e tassa il popolo per 70 monete, quindi chiude
il bilancio annuale con un debito di 30 monete. Cosa succede a fine
anno? Semplicemente il governo ha arricchito il popolo di 30 monete
perché ha creato un debito di 30 monete. Quindi: se il governo che
possiede moneta sovrana crea debito, genera ricchezza e fa sì che le
persone possano avere monete per fare la spesa, comprare casa, fare un
viaggio, acquistare una macchina, eccetera.
Immaginiamo
invece la situazione opposta. Il governo decide di costruire altri
beni, quindi paga le aziende private che gli forniscono questi beni e,
naturalmente, assume ancora altro personale. Questa volta, però, il
governo inventa e spende ancora 100 monete per pagare gli stipendi di
coloro che gli forniscono questi beni e servizi ma tassa il popolo per
160 monete, quindi chiude il bilancio annuale in attivo, non fa alcun
debito ed anzi: pareggia il debito che aveva accumulato nei primi due
anni (il governo, in sostanza, in 3 anni di lavoro ha speso 300 monete
ed ha incassato 300 monete). Cosa succede? Semplice: succede che i
cittadini dello Stato X non avranno in tasca più nessuna moneta, quindi
nessuno potrà più spendere finché il governo non deciderà di fare debito
chiudendo il bilancio in passivo generando ricchezza. Il debito è la
nostra ricchezza, e se i governi che possiedono moneta sovrana decidono
di abbassare il debito anche di un solo punto, questo sottrae ricchezza
ai popoli: azzerarlo, come sicuramente avrete compreso, è impossibile.
Questo
ragionamento, naturalmente, vale solo per gli Stati che possiedono la
cosiddetta moneta sovrana: cioè tutti gli Stati proprietari della
propria moneta (proprio come lo era l’Italia qualche anno fa: adesso,
grazie all’euro, abbiamo perso la nostra sovranità e non possiamo più
stampare, non possiamo più creare moneta, non possiamo più avere una
vera politica, non possiamo più fare scelte autonome. Dice Paul Krugman, Premio Nobel per l’Economia:
«Adottando l’euro, l’Italia si è ridotta allo stato di una nazione del
Terzo Mondo che deve prendere in prestito una moneta straniera, con
tutti i danni che ciò implica». L’unica alternativa che oggi tutti i
paesi che non possiedono una moneta sovrana hanno a disposizione per
cercare di sopravvivere è quella di chiedere la moneta ai mercati dei
capitali privati che successivamente strangolano e distruggono questi
paesi con gli interessi.
L’altra
possibilità che questi paesi hanno per sopravvivere, naturalmente, è
quella di licenziare, non assumere, assumere attraverso contratti
precari che costano poco, chiedere la moneta al popolo attraverso le
tasse che aumentano quotidianamente, privatizzare, liberalizzare,
svendere, innalzare l’età pensionabile, tagliare gli stipendi, tagliare
le pensioni, tagliare i fondi alla cultura, alla ricerca, alla scuola,
alle università, alla sanità, ai servizi sociali e locali e chi più ne
ha più ne metta: ecco spiegata la quotidianità di tantissimi paesi ed il
meccanismo all’interno della quale attualmente si trova anche il nostro
paese. La moneta in generale, comunque, non è mai di proprietà dei
cittadini privati o delle banche: essi possono solo usarla, prendendola
in prestito dalle banche o guadagnandola attraverso il lavoro. I soldi
sono un mezzo che lo Stato spende per primo e solo successivamente tutti
i cittadini ne usufruiscono, spendendoli a loro volta.
Hanno
tolto ad alcuni Stati la possibilità di stampare moneta e hanno fatto
credere ad altri che possono ancora stampare, che il debito sovrano di
un paese è un vero debito per il preciso fine descritto in maniera
impeccabile dall’economista Joseph Halevi: «Quello che è in gioco è la
totale privatizzazione della finanza
pubblica e dunque la distruzione degli Stati». Come ci spiega il
“Rapporto Grandi Disuguaglianze Crescono” di Oxfam, presentato nel
gennaio 2015: «La ricchezza detenuta da meno dell’1% della popolazione
mondiale supererà nel 2016 quella del restante 99%.» François Mitterand,
parlando con Halevi a proposito del tema inflazione, deflazione,
disoccupazione, precarietà e naturalmente del tema della piena
occupazione, affermava: «La gente deve togliersi di mezzo. La piena
occupazione darebbe troppo potere al popolo. La deflazione, la
disoccupazione e i lavori precari, invece, glielo sottraggono».
Ok,
ma quanto e fino a quando può spendere uno Stato? Randall Wray, tra i
più importanti e accreditati economisti e monetaristi del mondo: «Se
capiamo come funzionano i sistemi monetari, se comprendiamo che il
denaro è solo impulsi elettronici o carta straccia inventata dal Tesoro e
dalla Bc, allora possiamo dire che il governo a moneta sovrana può
inventarsi tutti gli impulsi elettronici che vuole, con essi può pagare
tutti gli stipendi che vuole, comprare tutto ciò che vuole. Possiamo
avere la piena occupazione, il business può vendergli tutto ciò che deve
vendere se il governo vuole comprarglielo. Può il governo permettersi
queste spese? Certo, perché il governo non esaurirà mai gli impulsi
elettronici, dunque non farà mai bancarotta; preme un bottone e gli
stipendi appaiono sui computer delle banche. L’unico limite è
l’inflazione, ma se il governo spende per aumentare la produttività nel
settore privato, allora l’inflazione non è più un problema».
Per
quale motivo, se è così semplice raggiungere l’obiettivo della piena
occupazione, esso non sia mai stato perseguito? Ancora Wray: «Non è
successo perché innanzi tutto ci sono un sacco di politici ed economisti
che non capiscono nulla dei sistemi monetari, cioè non sanno capire che
il denaro è solo impulsi elettronici e carta straccia. Poi ci sono
molti individui nelle posizioni chiave del potere che sono opposti
ideologicamente a questa idea, cioè vogliono la disoccupazione, gli
piace, gli dà schiere di lavoratori a stipendi sempre più ridotti e
possono competere sui mercati esteri sempre meglio. Ma soprattutto
questo, si faccia attenzione: se i cittadini, che formano gli Stati ed
eleggono i governi, si rendessero conto che i governi possono spendere
quanto vogliono senza limiti di debito, allora il settore pubblico
acquisirebbe una percentuale della ricchezza nazionale troppo grossa».
Eccesso
di inflazione? Lo Stato introduce una tassa temporanea, in modo da
togliere di mezzo gli eventuali soldi in eccesso e la situazione è
risolta. In conclusione: se il settore pubblico acquisisse una
percentuale della ricchezza troppo grossa, i privati non avrebbero più
ragione d’esistere, avrebbero un ruolo troppo marginale, un ruolo di
scarsa importanza, pochi soldi, troppo poco potere, sarebbero dei
normali lavoratori: non sarebbero più intoccabili e onnipotenti come lo
sono diventati oggi. Questo è il motivo per cui ci lasciano vivere
nell’attuale mondo che funziona al contrario e con la quotidiana paura
del debito e dell’inflazione che ci viene quotidianamente “imposta” da
tutti i loro amici inseriti nell’informazione ufficiale.
(Vincenzo
Bellisario, estratti da “Riepilogo generale finalizzato alla
comprensione dei meccanismi monetari ed economici in favore della piena
occupazione applicabili in Italia e nel mondo”, intervento pubblicato
sul sito del Movimento Roosevelt il 18 ottobre 2015).
Perché ancora oggi ci sono persone senza cibo o acqua mentre altre
vivono nell’abbondanza? Perché ancora oggi ci sono persone senza un
lavoro e altre che ne hanno svariati? Perché ancora oggi ci sono persone
senza casa e altre che ne hanno svariate? Perché ancora oggi ci sono
persone senza soldi e altre con tanti soldi? Se davvero esiste una
soluzione ai problemi della gente, perché nessuno la metta in pratica?
Perché tutti si occupano sempre degli effetti dei problemi, trascurando
le cause? Perché nessuno ci spiega qual è la causa? Perché se qualcuno
conosce la causa, nessuno mette in campo la soluzione? Qual è la
soluzione? Quotidianamente guardiamo, ascoltiamo e leggiamo del problema
dei soldi che non ci sono, della disoccupazione che aumenta, dell’economia
che non va bene perché i soldi non ci sono, degli imprenditori e dello
Stato che non possono assumere perché non ci sono i soldi; del fatto che
il debito pubblico aumenta perché l’economia
non va bene perché mancano i soldi e quindi bisogna tagliare le spese
ed aumentare le tasse in modo da abbassare i decifit annuali e il debito
pubblico.Record, giovani senza lavoro: accetteranno salari da schiavi
23/10 • segnalazioni •
Mai
così alto il tasso di disoccupazione giovanile: nell’ultima rilevazione
Istat di giugno è al 44,2%, in aumento dell’1,9% rispetto al mese
precedente. E’ il livello più alto dal primo anno di stima, il 1977, e
la rilevazione esclude i giovani “inattivi”, che non cercano lavoro.
«L’attuazione di politiche di contrasto alla drammatica crescita della
disoccupazione giovanile, in particolare nel Mezzogiorno, non sembra
essere oggi fra le priorità di questo governo», scrive Guglielmo Forges
Davanzati. «La propaganda governativa è prevalentemente concentrata nel
vantare il merito di aver contribuito, tramite il Jobs Act, alla
trasformazione di contratti precari in contratti a tempo indeterminato.
Ma anche se ciò è accaduto, si fa riferimento a lavoratori già occupati
e, dunque, prevalentemente adulti». Inoltre, la trasformazione di
contratti precari in contratti a tempo indeterminato è semmai da
imputare agli sgravi fiscali attribuiti alle imprese, non alla “riforma”
in quanto tale. Scaduto il periodo di decontribuzione, molti contratti
verranno ri-trasformati a tempo determinato.
L’aumento
della disoccupazione giovanile, scrive Davanzati su “Keynes Blog”, è
imputabile al fatto che, come registrato da Banca d’Italia, fin dal 2010
la riduzione dell’occupazione si è manifestata più sotto forma di
riduzione delle assunzioni che di aumento dei licenziamenti. Il fenomeno
viene imputato a effetti di “labour hoarding”, ovvero alla convenienza –
da parte delle imprese – a non licenziare lavoratori altamente
specializzati in fasi recessive, dal momento che, se dovessero farlo,
nelle successive fasi espansive si troverebbero costrette ad assumere
individui da formare. La relativa tenuta dell’occupazione di lavoratori
adulti? Dipende anche «da fenomeni di disoccupazione nascosta, ovvero
dal fatto che – in imprese di piccole dimensioni, spesso a conduzione
familiare – il livello di occupazione viene mantenuto stabile per il
semplice fatto che i lavoratori dipendenti appartengono al nucleo
familiare». In più, l’aumento della disoccupazione giovanile si registra
in un contesto di drastica riduzione del potere contrattuale dei
sindacati e della sostanziale assenza, almeno in Italia, di nuove forme
di conflittualità.
«Le
giovani generazioni non percepiscono il sindacato come un soggetto che
possa rappresentarle e, al tempo stesso, il sindacato incontra
difficoltà nel reclutarle», scrive Davanzati. «Le politiche di
precarizzazione del lavoro messe in atto negli ultimi anni, ponendo i
lavoratori in competizione fra loro, hanno esercitato un effetto
rilevante nello spezzare i legami di solidarietà fra lavoratori, che
sono alla base dell’azione sindacale». Così, ha buon gioco il governo
nel suo obiettivo di delegittimare il sindacato: «La proposta di un
sindacato unico e l’introduzione di nuovi vincoli al diritto di sciopero
rientrano in questa strategia». Un recente studio del Fmi mostra che la
riduzione della “union density” nel corso degli ultimi decenni è stata
la principale causa delle crescenti diseguaglianze distributive, a loro
volta alla base dei bassi tassi di crescita registrati dai paesi
industrializzati negli ultimi decenni. «La spirale perversa che si è
così generata è quindi riassumibile nella sequenza: riduzione del potere
contrattuale dei sindacati – aumento delle diseguaglianze – riduzione
del tasso di crescita – aumento del tasso di disoccupazione, in
particolare giovanile».
Le
imprese italiane, nella gran parte dei casi sono poco propense a
innovare, continua Davanzati, anche perché, essendo di piccole
dimensioni, non possono sfruttare economie di scala e in più sono
fortemente dipendenti dal settore bancario: in una fase come questa, di
restrizione del credito, gli investimenti si riducono, abbattendo il
tasso di crescita. Poi c’è l’invecchiamento della popolazione, che frena
la crescita della produttività. «In generale, economie nelle quali il
bacino degli occupati è formato prevalentemente da individui giovani
sono economie con elevato tasso di crescita: ciò a ragione
dell’obsolescenza intellettuale che riguarda lavoratori con età più
elevata, della maggiore propensione al consumo dei giovani (e dunque
della più alta domanda interna), della maggiore “creatività” (e dunque,
della maggiore propensione a innovare)». Gli annunciati tagli alla
sanità? «Non potranno che esercitare ulteriori effetti di segno negativo
sul tasso di crescita della produttività del lavoro, dal momento che
incideranno negativamente sul potenziale produttivo della forza-lavoro».
Quindi i salari: quelli percepiti dai lavoratori italiani sono al di sotto della media europea, nonostante il numero di ore lavorate superiore alla media
Ue. «Laddove i salari sono maggiori, è maggiore la produttività del
lavoro». L’aumento dei salari, combinato con minore flessibilità in
uscita, «incentiva le imprese a introdurre innovazioni per non perdere
quote di mercato». E l’aumento dei salari «incentiva l’aumento degli
investimenti netti, con un duplice effetto di segno positivo, dal lato
della domanda (essendo gli investimenti una componente della domanda) e
dal lato dell’offerta, dal momento che l’ammodernamento degli impianti è
una fondamentale pre-condizione per l’aumento della produttività del
lavoro». La precarizzazione del lavoro è un freno alla crescita della
produttività, sia perché incentiva le imprese a competere riducendo i
costi di produzione (e dunque non innovando), sia perché, «accrescendo
la concorrenza fra lavoratori, rende necessario un maggior impegno del
management in attività di controllo e sorveglianza, per loro natura
improduttive, disincentivando l’impegno per la produzione di
innovazioni».
I
governi che si sono succeduti negli ultimi anni, continua Davanzati,
hanno provato a contrastare il continuo aumento della disoccupazione
giovanile con misure inadeguate, come l’alternanza scuola-lavoro, che
«risponde all’esigenza di dequalificare la forza-lavoro, assecondando la
domanda di lavoro poco qualificato espressa dalla gran parte delle
nostre imprese», specie nei settori “maturi”, agroalimentare e “made in
Italy”. Poi, le incentivazioni offerte alle imprese che assumono
giovani: «Non è uno strumento efficace per accrescere l’occupazione
giovanile», annota Davanzati, dal momento che «le imprese assumono se le
loro aspettative in ordine alla realizzazione di profitti sono
ottimistiche», ovvero «quando ci si aspetta un aumento della domanda», e
non certo in piena crisi.
Altra leva, la promozione dell’auto-imprenditorialità: «In questo caso,
è possibile riscontrare un duplice problema: la difficoltà di accesso a
finanziamenti per l’avvio dell’impresa (pure a fronte di incentivi
pubblici nella fase iniziale) e verosimilmente i bassi profitti che una
nuova impresa può aspettarsi di ottenere in una fase di intensa e
prolungata recessione».
Per
l’analista, si tratta di provvedimenti «la cui ratio risiede, in ultima
analisi, nel dequalificare la forza-lavoro e renderla disponibile a
bassi salari». Affinché ciò si renda pienamente possibile, «è necessario
ridurre ulteriormente il potere contrattuale del sindacato». La
riduzione del potere contrattuale del sindacato si è tradotta, nei paesi
Ocse, in un significativo aumento dei redditi percepiti dal 10% delle
famiglie con più alto reddito. «L’Italia è ovviamente all’interno di
questa dinamica, ma con una propria specificità, ovvero il fatto che,
rispetto alla media
europea, il numero di iscritti al sindacato è ancora relativamente
elevato. Letto in questa chiave, il fondamentale compito del governo
Renzi consiste nell’impedire qualunque forma di conflittualità sociale e
di resistenza organizzata, incentivando i giovani disoccupati
all’autoimprenditorialità», escludendo il sindacato. Tutto questo serve a
redistribuire del reddito a vantaggio dei più ricchi, percettori di
rendite finanziarie e di redditi da capitale (fenomeno già intensamente
in atto in altri paesi). «Un processo di redistribuzione della ricchezza
che sembra prioritario rispetto all’obiettivo della crescita e che si
rende possibile per l’accresciuto potere politico delle nuove classi
agiate».
Mai così alto il tasso di disoccupazione giovanile: nell’ultima
rilevazione Istat di giugno è al 44,2%, in aumento dell’1,9% rispetto al
mese precedente. E’ il livello più alto dal primo anno di stima, il
1977, e la rilevazione esclude i giovani “inattivi”, che non cercano
lavoro. «L’attuazione di politiche di contrasto alla drammatica crescita
della disoccupazione giovanile, in particolare nel Mezzogiorno, non
sembra essere oggi fra le priorità di questo governo», scrive Guglielmo
Forges Davanzati. «La propaganda governativa è prevalentemente
concentrata nel vantare il merito di aver contribuito, tramite il Jobs
Act, alla trasformazione di contratti precari in contratti a tempo
indeterminato. Ma anche se ciò è accaduto, si fa riferimento a
lavoratori già occupati e, dunque, prevalentemente adulti». Inoltre, la
trasformazione di contratti precari in contratti a tempo indeterminato è
semmai da imputare agli sgravi fiscali attribuiti alle imprese, non
alla “riforma” in quanto tale. Scaduto il periodo di decontribuzione,
molti contratti verranno ri-trasformati a tempo determinato. Cancro “incurabile”, il business infinito della chemioterapia
22/10 • segnalazioni •
Da
decenni, il cancro viene inutilmente fronteggiato con la chemioterapia:
l’oncologia ospedaliera non guarisce quasi nessuno, e i tumori stanno
aumentando in modo esponenziale. In parallelo, c’è il boom delle cure
alternative: in questo settore si registrano guarigioni in costante
aumento, ma i numeri sono ancora limitati e comunque esclusi
dall’ufficialità. Ovvio, sottolineano gli “alternativi”: per il sistema è
pericoloso far sapere che si può guarire anche solo con erbe,
biofarmaci e dieta, cioè con quattro soldi, mentre il sistema
ospedaliero (chemio e radio) costa una follia, oltre a non salvare
nessuno. Di recente, Paolo Barnard ha acceso una contro-polemica,
accusando di slealtà gli “alternativi” che speculerebbero sull’altrui
dolore, contrabbandando soluzioni miracolose quanto irrealistiche. La
riprova? I potenti della terra, a partire dal boss della Goldman Sachs,
Lloyd Blankfein, ricorrono alla chemio. «In realtà – replica a distanza
Paolo Franceschetti, autore di un sito sulle cure alternative esistenti –
i super-potenti sono i primi a ricorrere a metodi alternativi: lo
stesso Berlusconi ha evitato la chemio ed è guarito grazie alla terapia
Di Bella».
«Se
sei un americano, hai una possibilità su tre di avere un cancro nel
corso della tua vita», scrive Michael Snyder in un post ripreso dal blog
di Maurizio Blondet. «Praticamente chiunque in America conosce qualcuno
che ha il cancro o che ne è già morto». Eppure, negli anni ‘40, a
sviluppare il cancro era solo un americano su 16. «Deve essere accaduto
qualcosa che ha provocato questa crescita esplosiva, e che induce a
ritenere che il cancro sorpasserà presto le cardiopatie diventando la
prima causa di morte». Secondo l’Oms, ogni anno vengono diagnosticati 14
milioni di nuovi casi nel mondo, ed è atteso un incremento del 70% nei
prossimi due decenni. «Esistono davvero poche parole capaci di fare
tanta paura come la parola “cancro”, e nonostante i miliardi spesi nella
ricerca e nel suo progresso tecnologico, questa piaga continua ad
allargarsi e a mietere vittime. Come è possibile?». Sconcertante la
débacle statistica della disciplina oncologica: a differenza di ogni
altro settore della medicina, questa non riesce praticamente mai a
curare efficacemente i pazienti, a cui peraltro non sa diagnosticare le
cause dell’insorgenza patologica (cosa che invece fa la medicina
olistica, basata anche sull’analisi dell’alimentazione).
In
compenso, il business del cancro va a gonfie vele: oggi, continua
Snyder, in America si spende più denaro per trattare il cancro che
qualunque altra malattia. Secondo la “Nbc”, solo lo scorso anno si è
trattato di 100 miliardi di dollari in farmaci anti-cancro, tutti
largamente inefficaci: «Mentre i prezzi delle medicine continuano a
scendere costantemente, la spesa per le medicine contro i tumori hanno
raggiunto un nuovo traguardo: 100 miliardi di dollari nel 2014». Un
incremento di 75 miliardi di dollari in cinque anni, secondo un’indagine
dell’Ims Institute for Healthcare Informatics. Cento milioni di dollari
sarebbero già una cifra pazzesca, osserva Snyder, ma 100 miliardi sono
mille volte quella cifra. «Non mi pare ci sia bisogno di dire che ci
sono un sacco di persone, là fuori, che stanno diventando smisuratamente
ricche grazie a questi trattamenti. E il costo di alcuni di essi è
semplicemente assurdo. Sempre secondo la “Nbc”, due dei farmaci
commercializzati più recentemente costano 12.500 dollari per un mese di
terapia». Farmaci, peraltro, non risolutivi: poco più di metà dei
pazienti può sperare di sopravvivere per 5 anni al massimo.
«Viviamo
in una società estremamente tossica, e che lo diventa ogni giorno di
più», scrive Snyder. «E una volta che hai sviluppato il cancro, ai
dottori non è permesso prescrivere trattamenti “alternativi”. Quello che
possono fare è prescriverti terapie che il sistema gli dice di
prescriverti». Idem in Italia: i sanitari devono attenersi al protocollo
standar, quello che non guarisce quasi mai nessuno e si basa, ad
esempio, sulla chemio. «E’ una terapia mostruosa, che spesso uccide il
paziente invece di uccidere il tumore», continua Snyder. «Molti pazienti
vivono un ciclo infernale dopo l’altro, sperando che possa essere
risolutivo. Avete mai parlato con qualcuno che ha vissuto questo
calvario? E’ straziante». Dice il dottor Ralph Moss, autore del libro
“L’industria del cancro”: «Non c’è alcuna prova che la chemioterapia
prolunghi la sopravvivenza nella gran parte dei casi. E questa è la
grande bugia sulla chemioterapia, che ci sia in qualche modo una
correlazione tra la riduzione del tumore e l’allungamento della vita di
un paziente». Allora perché gli oncologi spingono tanto per la chemio?
Secondo le analisi di Steven Levitt e Stephen Dubner, quelli di “Freakanomics”, «gli oncologi sono tra i medici più pagati, la media
dei loro redditi cresce più di quella di qualsiasi altro specialista, e
più della metà dei loro guadagni proviene dalla vendita e
somministrazione della chemioterapia». Il loro modello di business «è
differente da quello degli altri medici», scrive Snyder, «perché non è
che tu puoi andare a comprarti la chemioterapia in farmacia». Negli Usa,
«gli oncologi la comprano all’ingrosso, poi gonfiano il prezzo e
mettono in conto alle compagnie di assicurazione». Questo profitto
legalizzato sui farmaci contro il cancro è un caso unico, negli Stati
Uniti. «Fanno soldi sulle terapie che dicono ti salveranno la vita. E’
un conflitto di interessi gigantesco. Ti vendono le terapie, e ti fanno
pagare il privilegio di iniettartele. Non lo fa nessun altro medico». Il
nostro sistema è profondamente guasto e corrotto, conclude Snyder. «Ma
non cambierà niente nell’immediato futuro, perché grazie ad esso si
guadagnano centinaia di miliardi di dollari».
Da decenni, il cancro viene inutilmente fronteggiato con la
chemioterapia: l’oncologia ospedaliera non guarisce quasi nessuno, e i
tumori stanno aumentando in modo esponenziale. In parallelo, c’è il boom
delle cure alternative: in questo settore si registrano guarigioni in
costante aumento, ma i numeri sono ancora limitati e comunque esclusi
dall’ufficialità. Ovvio, sottolineano gli “alternativi”: per il sistema è
pericoloso far sapere che si può guarire anche solo con erbe,
biofarmaci e dieta, cioè con quattro soldi, mentre il sistema
ospedaliero (chemio e radio) costa una follia, oltre a non salvare
nessuno. Di recente, Paolo Barnard
ha acceso una contro-polemica, accusando di slealtà gli “alternativi”
che speculerebbero sull’altrui dolore, contrabbandando soluzioni
miracolose quanto irrealistiche. La riprova? I potenti della terra, a
partire dal boss della Goldman Sachs, Lloyd Blankfein, ricorrono alla
chemio. «In realtà – replica a distanza Paolo Franceschetti, autore di
un sito sulle cure alternative
esistenti – i super-potenti sono i primi a ricorrere a metodi
alternativi: lo stesso Berlusconi ha evitato la chemio ed è guarito
grazie alla terapia Di Bella».
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