Il
Pentagono ha praticamente annunciato che gli Stati Uniti si ritirano
dalla guerra civile in Siria, eliminando reclutamento e addestramento
dei gruppi ribelli per rovesciare il governo del Presidente Bashar
al-Assad, invece concentrando energie e risorse sulla lotta allo Stato
islamico. L'annuncio del Pentagono,
qui,
fa seguito alla decisione del presidente Barack Obama. Non vi è alcun
segno che Obama abbia parlato agli omologhi di Turchia, Israele e Stati
arabi. Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Giordania in particolare,
prima di prendere questa decisione importante. Se è così, indica un
nuovo modo di pensare le priorità tra gli interessi principali e le
preoccupazioni vitali degli Stati Uniti, coinvolti negli ultimi 2-3 anni
in una joint venture con gli alleati regionali per addestrare le forze
ribelli siriane. La decisione di Obama di uscirsene, per così dire, è
meglio tardi che mai, basandosi su una valutazione realistica dei limiti
alla capacità degli Stati Uniti d'influenzare gli eventi in Siria. Gli
Stati Uniti non accettano l'intervento russo in Siria. Ma
significativamente spostano le attività dal nord-est della Siria al
confine con l'Iraq. Obama ha ereditato la decennale politica degli Stati
Uniti d'imporre un 'cambio di regime' in Siria che non ha inventato
lui. La precedente amministrazione Bush, intrisa d'ideologia neocon,
prevedeva di indebolire e infine distruggere l'Iran installando prima un
regime ostile a Damasco, isolandolo e negandogli 'profondità
strategica' prima di attaccarlo frontalmente e rovesciarne il regime
islamico. Tuttavia, con l'accordo nucleare iraniano, il 'co-rapporto di
forze' nella politica mediorientale è mutato drammaticamente e i neocon
sembrano appartenere all'era glaciale. Gli Stati Uniti ora sono pronti
ad approfondire il loro impegno con l'Iran. Ma infine l'audace
intervento russo in Siria s'è dimostrato decisivo. Obama non rischierà
che gli Stati Uniti appoggino le mosse militari russe in Siria e resta
scettico sulla saggezza della decisione di Mosca, ma non bloccherà o
saboterà la via dei russi. Questa è la reale importanza dell'annuncio
del Pentagono. In altre parole, Obama da corda alla Russia e prende
l'omologo russo Vladimir Putin sulla parola, e cioè che la progressione
logica dell'intervento russo sarà volta a un'autentica transizione
siriana. Inoltre, Obama vede anche venti di cambiamento spazzare il
pensiero europeo, come risulta dalla dichiarazione sbalorditiva dal
presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker a Berlino,
quando ha detto, “
Dobbiamo fare sforzi verso un rapporto pratico con
la Russia. Non è attraente, ma va fatto, non possiamo andare avanti
così... La Russia va trattata decentemente. Noi (Europa) non possiamo
lasciare che le nostre relazioni con la Russia siano dettate da
Washington”.
In effetti, l'arena siriana è fortemente affollata e di conseguenza la
grande domanda resta: che faranno gli alleati regionali degli Stati
Uniti ora, dopo la decisione di Washington di disimpegnarsi dall'agenda
per rovesciare il regime di Assad con la forza? A mio parere è
improbabile che gli alleati regionali degli Stati Uniti possano unirsi,
date le circostanze emergenti, dati i loro vari interessi in gioco e le
contraddizioni nei rispettivi rapporti. Questa è una cosa. Tali Paesi,
Turchia, Israele, Giordania e Stati del CCG, non avranno il coraggio di
affrontare la Russia per conto proprio. Non commetteranno errori, Putin
non ha sparato impulsivamente i missili da crociera in Siria da 1500
chilometri sul Caspio. E' stata una spettacolare esibizione di potenza
nel Grande Medio Oriente inviando un serio messaggio politico alle
primedonne attive in Siria. Detto questo, la Russia è una grande
professionista della diplomazia e ora si muoverà velocemente
'impegnando' gli alleati regionali degli Stati Uniti, spiegandogli le
motivazioni di Mosca, affrontandone le preoccupazioni autentiche (se
presenti), tranquillizzandoli e mettendoli 'a loro agio' e, infine, se
arriva il momento critico, dissuaderli dall'inasprire la situazione. Nei
calcoli russi, Israele e Turchia sono su posizioni diverse perché
interferiscono direttamente in Siria (a differenza degli sceicchi), e un
certo grado di diplomazia coercitiva è necessario per fargli capire ciò
che è bene per essi. Ma gli Stati del Golfo (e la Giordania) sono un
altro paio di maniche. Sono disorientati senza gli Stati Uniti che li
guidano in Siria. Mosca ha anche costruito ponti con essi negli ultimi
anni. Non sorprende che la diplomazia russa sia proattiva nel Golfo. (
National).
Così, una delegazione militare s'è recata da Mosca a Israele. Mosca ha
offerto consultazioni analoghe anche con la Turchia. Israele è
insolitamente tranquillo. Anche la Turchia ha abbassato la propria
retorica. Il viceprimo ministro Numan Kurtulmus è stato citato
dall'agenzia ufficiale turca Anadolu dire, “
La Turchia non deve
perdere le relazioni con la Russia per i vantaggi politici in Siria.
Turchia e Russia hanno vissuto in pace per anni. I due Paesi hanno
relazioni politiche, economiche e commerciali molto forti. Ma la Turchia
è un Paese che difenderà i suoi confini. È per questo che ci aspettiamo
che la Russia si ritiri e smetta di violare le nostre frontiere, se
dice che sia un errore”. Naturalmente, l'argomento decisivo sarà
l'Arabia Saudita. Da un lato vi è l'ossessione saudita a 'contenere'
l'Iran e il grave nesso tra Teheran e Damasco, mentre dall'altro Riyadh
non può sostenere ancora a lungo finanziariamente e politicamente
l''eccessiva ambizione imperiale'. È difficile capire fin dove Obama
sente che l'arcaico regime saudita si sia sovraesteso. (Vedasi
l'eccellente analisi,
qui, su
Foreign Policy).
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