lunedì 14 dicembre 2015

Chomsky: In pochi anni, gli USA hanno diffuso il terrore da Afghanistan al mondo intero

Chomsky: In pochi anni, gli USA hanno diffuso il terrore da Afghanistan al mondo intero
Ha un senso la “guerra al terrore”? È una politica efficace? E in che cosa è diversa l’attuale fase della “guerra al terrore” dalle due precedenti fasi che si sono svolte durante le amministrazioni di Ronald Reagan e George W. Bush, rispettivamente? Inoltre, chi trae realmente vantaggio dalla “guerra al terrore”?...Il celebre critico della politica estera statunitense Noam Chomsky ha offerto la sua opinione  a Truthout su questi argomenti in un’intervista esclusiva con C. J. Polychroniou che vi riportiamo di seguito.


"Le due fasi della “guerra al terrore” sono molto diverse, eccetto che per un aspetto fondamentale. La guerra di Reagan si trasformò molto rapidamente in una serie di guerre terroristiche che ebbero conseguenze orribili per l’America Centrale, l’Africa meridionale ed il Medio Oriente. L’America Centrale, il suo obiettivo più diretto, deve ancora riprendersi, una delle principali ragioni dell’attuale crisi di profughi.
Lo stesso si può dire della seconda fase, iniziata da George W. Bush vent’anni dopo, nel 2001. L’aggressione diretta degli Stati Uniti ha devastato vaste aree ed il terrorismo di Stato statunitense ha assunto nuove forme, in particolare la “campagna globale di omicidi” per mezzo dei droni lanciata da Obama, che segna un nuovo record negli annali del terrorismo e che, come altre azioni simili, probabilmente genera nuovi terroristi più in fretta di quanto uccida le persone sospette.
L’obiettivo della guerra di Bush era al-Qaeda. Una martellata dopo l’altra – Afghanistan, Iraq, Libia e oltre – è riuscito a diffondere il terrore da una piccola area tribale dell’Afghanistan a praticamente il mondo intero, dall’Africa Occidentale fino all’Asia sudorientale (attraverso il Levante). Uno dei grandi trionfi politici della storia. Nel frattempo,
al-Qaeda è stata sostituita da elementi molto più feroci e distruttivi. Attualmente, l’ISIS (“Stato Islamico”) detiene il record in fatto di brutalità, ma altri “pretendenti” al titolo non sono molto addietro.
La dinamica, che risale a molti anni fa, è ben descritta in un’importante opera dell’analista militare Andrew Cockburn, nel suo libro Kill Chain. Esso documenta come, quando si uccide un leader senza occuparsi delle radici e delle cause del fenomeno, questo solitamente viene sostituito molto rapidamente da qualcuno di più giovane, più competente e più violento.
Una conseguenza di questi “successi” è che una larga fetta dell’opinione pubblica mondiale considera  gli Stati Uniti come la maggior minaccia alla pace nel mondo. Molto addietro, al secondo posto, c’è il Pakistan, posizione presumibilmente ingrandita dal voto in India. Ulteriori successi del genere potrebbero rischiano di far esplodere una guerra di vasta scala col “mondo musulmano”, mentre le società occidentali si assoggettano a politiche sempre più repressive e a ulteriori erosioni dei diritti civili in patria, realizzando i sogni perversi di Osama bin Laden ieri e dell’Isis oggi.
La cosidetta “guerra al terrore” per Reagan è stato il pretesto per intervenire in America Centrale per quella che il vescovo del Salvador, Arturo Rivera y Damas, succeduto all’arcivescovo Oscar Romero, che fu assassinato, definì «una guerra di sterminio e genocidio contro una popolazione civile indifesa». In Honduras e in Guatemala è stato anche peggio. Il Nicaragua è l’unico paese che disponeva un esercito che lo difese dai terroristi di Reagan; negli altri paesi le forze di sicurezza erano i terroristi.
In Sudafrica, la “guerra al terrore” fornì il pretesto per appoggiare i crimini razzisti sudafricani in patria e nella regione, con un costo orrendo in termini di vite umane. Dopotutto, dovevamo difendere la civiltà da «uno dei più famigerati  gruppi terroristici» del mondo, il Congresso nazionale africano di Nelson Mandela. Lui stesso rimase sulla lista americana dei terroristi fino al 2008. In Medio Oriente, l’idea della “guerra al terrore” ha giustificato l’appoggio all’invasione omicida del Libano da parte di Israele e molto altro. Con Bush, ha fornito il pretesto per invadere l’Iraq. E continua così.
L’orrore che si sta verificando oggi in Siria è al di là di ogni descrizione. Le principali forze di terra che si oppongono all’Isis sembra che siano i curdi, proprio come in Iraq, dove sono sulla lista statunitense dei terroristi. In entrambi i paesi, sono l’obiettivo primario dell’assalto del nostro alleato, la Turchia, che sta appoggiando anche il gruppo affiliato di al-Qaeda in Siria, il Fronte al-Nusra, che sembra poco diverso dall’ISIS, sebbene siano in guerra per il territorio.
L’appoggio turco per al-Nusra è così estremo che quando il Pentagono inviò varie dozzine di combattenti che aveva addestrato sembra che la Turchia abbia allertato al Nusra, che li ha istantaneamente sterminati. Al-Nusra e Ahrar ash-Sham, suo stretto alleato, sono appoggiati dall’Arabia Saudita e dal Qatar, alleati degli Stati Uniti, e, a quanto pare, continuano a ricevere armi dalla CIA. Si dice che abbiano usato missili anti-carro forniti dalla CIA per infliggere gravi sconfitte all’esercito di Assad, probabilmente spingendo i russi a intervenire. La Turchia sembra che continui a permettere agli estremisti di affluire in Siria attraverso il confine turco.
L’Arabia Saudita in particolare è stata un’importante sostenitrice del movimenti estremisti per anni, anche al fine di diffondere le sue radicali dottrine wahhabite attraverso le scuole islamiche e le moschee. Con non poca giustizia, Patrick Cockburn descrive la “wahhabizzazione” dell’islam sunnita come uno degli sviluppi più pericolosi della nostra epoca. L’Arabia Saudita e gli Emirati hanno enormi forze militari moderne, ma sono a malapena impegnati nella guerra contro l’Isis. Sono invece impegnati in Yemen, dove stanno creando una considerevole catastrofe umanitaria e molto probabilmente, come prima, generando terroristi futuri che diventeranno gli obiettivi di domani nella nostra “guerra al terrore.” Nel frattempo, la regione e la sua gente continuano ad essere devastati.
Naturalmente l’Occidente ha la capacità di massacrare tutti nelle zone controllate dall’Isis, ma anche questo non distruggerebbe l’Isis– o qualunque altro movimento brutale che si dovesse sviluppare al suo posto. Uno scopo dell’Isis è di trascinare i “crociati” in una guerra con tutti i musulmani. Possiamo contribuire a questa catastrofe, oppure possiamo tentare di affrontare le radici del problema e di contribuire a creare le condizioni in cui la mostruosità dell’ISIS possa essere sconfitta da forze interne alla regione.
L’intervento straniero nella regione è stata una maledizione per molto tempo ed è probabile che continui ad esserlo. È vero che certi settori dell’economia traggono vantaggio dallo “sciovinismo militaristico”, ma non penso che questa sia la causa principale. Ci sono considerazioni internazionali geostrategiche ed economiche di grande importanza.
I benefici economici – che rappresentano solo un fattore – furono molto dibattuti sui giornali di economia all’inizio del dopoguerra. Si capì che le massicce spese fatte dal governo avevano salvato il paese dalla depressione e c’era grande preoccupazione che se le spesa pubblica fosse stata ridotta il paese sarebbe ricaduto nella depressione.
Un articolo molto interessante pubblicato sulla rivista Business Week il 12 febbraio 1949 notava che la spesa sociale avrebbe potuto avere lo stesso effetto espansivo della spesa militare, ma che «c’è una grandissima differenza tra le politiche espansive in campo sociale e quelle in campo militare». Le seconde «non alterano realmente la strutture dell’economia», mentre la spesa per i sussidi pubblici e le opere pubbliche «altera davvero l’economia. Crea nuovi canali propri. Crea nuove istituzioni. Redistribuisce il reddito». Le spese militari non coinvolgono quasi per niente i cittadini, mentre la spese sociali  sì, e hanno un effetto democratizzante. Per ragioni analoghe a queste, si preferiscono molto di più le spese militari.

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