Tutti contro tutti, ecco perché non nasce l’Euro-intelligence
Gli
attentati parigini hanno riproposto una polemica ricorrente: ma perché
non si fa l’Eurointelligence e, cioè, se non proprio una agenzia di
intelligence della Ue, almeno uno stretto coordinamento delle agenzie nazionali? In effetti, se l’Europa
fosse un unico Stato con un unico sistema di intelligence, ci sarebbe
un apparato di vastissime proporzioni, secondo solo all’intelligence
degli Usa. Sommando i soli dati dei primi 4 paesi dell’Unione (Uk, Francia, Germania
e Italia) ci sarebbe un apparato forte di 28.841 uomini e di 8.265
milioni di euro annui (dati “Sole 24 Ore” del 25 novembre 2015). E
invece, proprio la vicenda di Parigi ha dimostrato l’assenza o la
scarsità anche del semplice scambio di dati fra due paesi vicini
geograficamente come Belgio e Francia.
Non si riesce neppure a mettere insieme una semplice banca dati,
alimentata da contributi volontari delle singole intelligence. Come mai?
In effetti, la cosa sembra piuttosto irrazionale e in molti reclamano,
del tutto sterilmente, la nascita di una Eurointelligence. Che però non
verrà fuori. Perché?
Su
un piano astratto, possiamo cavarcela con una frase: l’intelligence è
una delle funzioni della sovranità più gelosamente custodita da ogni
Stato, per cui esige un rapporto esclusivo fra apparato informativo e
autorità politica.
Un coordinamento sovranazionale avrebbe invece l’effetto inevitabile di
autonomizzare i servizi dai rispettivi governi. E già questo spiega il
perché i governi non vedano mai di buon occhio questo genere di
coordinamenti, consentendone il funzionamento quando proprio non se ne
può fare a meno, come nel caso della Nato, e solo limitatamente
all’intelligence militare o con mille restrizioni. Per cui, basterebbe
chiedere un potenziamento della cooperazione in sede Nato, visto che gli
americani sono nostri alleati (o no?!).
In
concreto, la cosa si presenta di difficile attuazione per i contrasti
di interesse fra i diversi paesi europei in particolare nell’area Medio
Oriente-Nord Africa (Me-na): la Francia
ha interessi forti in Africa occidentale e mal sopporta la concorrenza
italiana in Algeria, per non dire della Libia; ha mire sulla Siria e,
quindi, è da sempre ostile alla Turchia e si oppone al suo ingresso
nella Ue;
ha una posizione problematica sul conflitto israelo-palestinese, ha una
posizione favorevole ai progetti di gasdotti russi nella zona.
L’Inghilterra è ostile all’Italia per le questioni libiche, mentre ha
posizioni opposte alla Francia
sia per la Turchia sia per la questione dei gasdotti russi. Ha una
posizione più sfumata sulla questione arabo-israeliana; ha forti
interessi in Egitto, ma non per questo è disposta a rompere i legami con
il Qatar che finanzia i Fratelli Musulmani; essendo contraria alla
spartizione dell’Iraq, ha una politica prevalentemente filo-sunnita, per cui non vede di buon occhio le rivendicazioni indipendentiste sciite e curde.
La Germania è da sempre (con l’Olanda) il paese più filoisraeliano della Ue
(per la nota questione del “debito morale” seguito alla Shoah); è molto
perplessa sulla questione dell’ingresso della Turchia nella Ue,
temendo una valanga di immigrati (sono già 5 milioni i turchi presenti
in quel paese); sin qui non ha avuto una presenza significativa nelle
questioni mediorientali, ma è interessata alla politica
dei gasdotti russi (anche se momentaneamente sospesi per la questione
ucraina). L’Italia ha interessi prevalenti in Libia (ora seriamente
messi in pericolo) e ha buoni rapporti con gli algerini; ha speranze di
consolidare la presenza petrolifera in Iraq oltre che di espandersi
commercialmente in Turchia (di cui ha sempre caldeggiato l’ingresso
nella Ue); è il paese tradizionalmente più filo-arabo della Ue
e, di conseguenza il meno vicino ad Israele; attualmente è il paese più
filo-russo dell’Unione, essendo da sempre favorevole ai progetti di
gasdotti russi.
E
potremmo aggiungere altro, ma già questo ci sembra sufficiente a
dimostrare quale guazzabuglio di interesse orienti le politiche di
ciascun paese e gran parte di queste politiche passano per i canali
coperti dell’intelligence. Questo si riflette anche sulla partita del
terrorismo, sia perché le questioni petrolifere o di strategia generale
non sono così nettamente separabili da quelle del terrorismo, sia perché
nella stessa gestione del problema della Jihad ci sono orientamenti
opposti: gli italiani hanno sempre trattato per la liberazione degli
ostaggi (sempre smentendolo), mentre inglesi e americani no (anche
perché gli jihadisti non hanno mai accettato alcun dialogo con loro); i
francesi sono molto più intransigenti verso gli integralisti algerini
(quello che era il Fis), mentre meno intransigenti sono stati gli
italiani; così come è il caso di chiederci come mai Italia e Germania siano state, sinora, risparmiate dai grandi attentati che hanno colpito invece Inghilterra, Spagna, Francia, Danimarca.
E
allora cosa si può pretendere, che gli italiani dicano agli altri con
chi hanno trattato per Mastrogiacomo o la Sgrena? O che gli inglesi ci
dicano cosa sanno dei traffici fra Isis e Turchia a costo di rompere con
con Ankara? O che i tedeschi ci parlino degli eventuali compromessi per
essere risparmiati? O che italiani e tedeschi riferiscano sulle
attività delle rispettive industrie produttrici di armi e dei loro
giochi proibiti? Se nascesse Eurointelligence, i vari servizi nazionali
spenderebbero la maggior parte del loro tempo a spiarsi fra di loro o ad
organizzare trappole recioproche. Lo fanno i servizi di uno stesso
paese fra di loro, immaginiamoci di paesi diversi come quelli europei.
Chi insiste a proporre l’Eurointelligence o non capisce assolutamente
nulla del mondo dei servizi o è solo un ipocrita.
(Aldo Giannuli, “Perché non si fa l’Euro-intelligence?”, dal blog di Giannuli del 1° dicembre 2015).
Gli attentati parigini hanno riproposto una polemica ricorrente: ma
perché non si fa l’Eurointelligence e, cioè, se non proprio una agenzia
di intelligence della Ue, almeno uno stretto coordinamento delle agenzie nazionali? In effetti, se l’Europa
fosse un unico Stato con un unico sistema di intelligence, ci sarebbe
un apparato di vastissime proporzioni, secondo solo all’intelligence
degli Usa. Sommando i soli dati dei primi 4 paesi dell’Unione (Uk, Francia, Germania
e Italia) ci sarebbe un apparato forte di 28.841 uomini e di 8.265
milioni di euro annui (dati “Sole 24 Ore” del 25 novembre 2015). E
invece, proprio la vicenda di Parigi ha dimostrato l’assenza o la
scarsità anche del semplice scambio di dati fra due paesi vicini
geograficamente come Belgio e Francia.
Non si riesce neppure a mettere insieme una semplice banca dati,
alimentata da contributi volontari delle singole intelligence. Come mai?
In effetti, la cosa sembra piuttosto irrazionale e in molti reclamano,
del tutto sterilmente, la nascita di una Eurointelligence. Che però non
verrà fuori. Perché?Su un piano astratto, possiamo cavarcela con una frase: l’intelligence è una delle funzioni della sovranità più gelosamente custodita da ogni Stato, per cui esige un rapporto esclusivo fra apparato informativo e autorità politica. Un coordinamento sovranazionale avrebbe invece l’effetto inevitabile di autonomizzare i servizi dai rispettivi governi. E già questo spiega il perché i governi non vedano mai di buon occhio questo genere di coordinamenti, consentendone il funzionamento quando proprio non se ne può fare a meno, come nel caso della Nato, e solo limitatamente all’intelligence militare o con mille restrizioni. Per cui, basterebbe
chiedere un potenziamento della cooperazione in sede Nato, visto che gli americani sono nostri alleati (o no?!).
In concreto, la cosa si presenta di difficile attuazione per i contrasti di interesse fra i diversi paesi europei in particolare nell’area Medio Oriente-Nord Africa (Me-na): la Francia ha interessi forti in Africa occidentale e mal sopporta la concorrenza italiana in Algeria, per non dire della Libia; ha mire sulla Siria e, quindi, è da sempre ostile alla Turchia e si oppone al suo ingresso nella Ue; ha una posizione problematica sul conflitto israelo-palestinese, ha una posizione favorevole ai progetti di gasdotti russi nella zona. L’Inghilterra è ostile all’Italia per le questioni libiche, mentre ha posizioni opposte alla Francia sia per la Turchia sia per la questione dei gasdotti russi. Ha una posizione più sfumata sulla questione arabo-israeliana; ha forti interessi in Egitto, ma non per questo è disposta a rompere i legami con il Qatar che finanzia i Fratelli Musulmani; essendo contraria alla spartizione dell’Iraq, ha una politica prevalentemente filo-sunnita, per cui non vede di buon occhio le rivendicazioni indipendentiste sciite e curde.
La Germania è da sempre (con l’Olanda) il paese più filoisraeliano della Ue (per la nota questione del “debito morale” seguito alla Shoah); è molto perplessa sulla questione dell’ingresso della Turchia nella Ue, temendo una valanga di immigrati (sono già 5 milioni i turchi presenti in quel paese); sin qui non ha avuto una presenza significativa nelle questioni mediorientali, ma è interessata alla politica dei gasdotti russi (anche se momentaneamente sospesi per la questione ucraina). L’Italia ha interessi prevalenti in Libia (ora seriamente messi in pericolo) e ha buoni rapporti con gli algerini; ha speranze di consolidare la presenza petrolifera in Iraq oltre che di espandersi commercialmente in Turchia (di cui ha sempre caldeggiato l’ingresso nella Ue); è il paese tradizionalmente più filo-arabo della Ue e, di conseguenza il meno vicino ad Israele; attualmente è il paese più filo-russo dell’Unione, essendo da sempre favorevole ai progetti di gasdotti russi.
E potremmo aggiungere altro, ma già questo ci sembra sufficiente a dimostrare quale guazzabuglio di interesse orienti le politiche di ciascun paese e gran parte di queste politiche passano per i canali coperti dell’intelligence. Questo si riflette anche sulla partita del terrorismo, sia perché le questioni petrolifere o di strategia generale non sono così nettamente separabili da quelle del terrorismo, sia perché nella stessa gestione del problema della Jihad ci sono orientamenti opposti: gli italiani hanno sempre trattato per la liberazione degli ostaggi (sempre smentendolo), mentre inglesi e americani no (anche perché gli jihadisti non hanno mai accettato alcun dialogo con loro); i francesi sono molto più intransigenti verso gli integralisti algerini (quello che era il Fis), mentre meno intransigenti sono stati gli italiani; così come è il caso di chiederci come mai Italia e Germania siano state, sinora, risparmiate dai grandi attentati che hanno colpito invece Inghilterra, Spagna, Francia, Danimarca.
E allora cosa si può pretendere, che gli italiani dicano agli altri con chi hanno trattato per Mastrogiacomo o la Sgrena? O che gli inglesi ci dicano cosa sanno dei traffici fra Isis e Turchia a costo di rompere con con Ankara? O che i tedeschi ci parlino degli eventuali compromessi per essere risparmiati? O che italiani e tedeschi riferiscano sulle attività delle rispettive industrie produttrici di armi e dei loro giochi proibiti? Se nascesse Eurointelligence, i vari servizi nazionali spenderebbero la maggior parte del loro tempo a spiarsi fra di loro o ad organizzare trappole recioproche. Lo fanno i servizi di uno stesso paese fra di loro, immaginiamoci di paesi diversi come quelli europei. Chi insiste a proporre l’Eurointelligence o non capisce assolutamente nulla del mondo dei servizi o è solo un ipocrita.
(Aldo Giannuli, “Perché non si fa l’Euro-intelligence?”, dal blog di Giannuli del 1° dicembre 2015).
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