Sperando che regga l’accordo segreto tra Obama e Putin
Obama
liquiderebbe volentieri Erdogan, ma intanto gongola per l’abbattimento
del jet russo: non è una contraddizione, scrive “Megachip”, perché «quel
che gli fa piacere e quel che gli serve sono due cose diverse». Con il
suo appoggio formale alla Turchia, il presidente Usa
spera di prendere diversi piccioni con una fava: «Fa il muso duro con
Putin davanti a tutto il mondo, tiene agganciata la polveriera Turchia
sperando che non salti in aria, non scarica brutalmente un alleato
chiave nella regione (cosa che darebbe un pessimo segnale) e infine
tiene a bada, o spera di tenere a bada, i neocon guerrafondai», che
probabilmente hanno ispirato «l’atto di guerra irresponsabile turco». Morale: come dice Papa Francesco, la Terza Guerra
Mondiale (a rate) è già iniziata. Ci stiamo scivolando dentro. E sul
ponte di comando ci sono troppe mezze figure. E’ peggio che nella “crisi
dei missili” di Cuba del 1962: all’epoca, Kennedy aveva il pieno
controllo del suo esercito, e non era previsto nessun “first strike”,
cioè il lancio non provocato di un attacco nucleare, ma solo la
ritorsione nucleare. E soprattutto, «la crisi sistemica non era nemmeno iniziata», mentre oggi «sta dirigendosi velocemente verso lo showdown».
Ormai, scrive “Piotr” sul newsmagazine fondato da Giulietto Chiesa, è evidente a tutti che «la cosiddetta guerra civile siriana» è in realtà «un attacco sponsorizzato dagli ex partner dell’accordo Sykes-Picot contratto durante la I Guerra
Mondiale, cioè Gran Bretagna e Francia, poi istigato ideologicamente,
finanziato e armato dall’Arabia Saudita, dal Qatar, dalla Turchia, col
concorso attivo di Israele, e condotto da mercenari e volontari
jihadisti provenienti da 83 paesi differenti». Altro che “guerra
civile”. «Questo attacco – ricorda “Megachip” – fu deciso nel 2007
dall’allora vicepresidente statunitense Dick Cheney, su insistenza dei
suoi consiglieri neocon, ed è stato preparato da quella vasta operazione
di regime change chiamata “primavera araba”, che ha illuso la sinistra
fino a farla vaneggiare, come successe a Rossana Rossanda».
Un’operazione che «doveva portare uniformemente i Fratelli Musulmani al
governo in Tunisia, Libia, Egitto e Siria, come già era avvenuto per vie
democratiche in Turchia (anche se poi il primo ministro Erdogan ha
molto poco democraticamente epurato magistratura ed esercito, per
obbligo e tradizione repubblicana custodi della laicità dello Stato)».
Come testimoniato a più riprese dal generale Wesley Clark, già a capo della Nato in Europa,
la Siria – come la Libia e altri paesi dell’area – era già nel mirino
del Pentagono fin dal 2001. All’epoca alla Casa Bianca c’era George W.
Bush, ma il vero capo era il suo vice, Cheney, esponente di quei neocon
che «avevano occupato stabilmente varie importanti funzioni di potere,
dopo che il democratico Bill Clinton aveva aperto loro le porte». Se
qualcuno non lo avesse ancora capito, continua “Piotr”, il destino della
Siria, come quello della Libia, e dei suoi innocenti abitanti, era
stato deciso sui ponti di comando degli Stati Uniti un decennio prima
della “primavera araba”, che è stata una parte dell’implementazione del
piano, preceduta dal famoso discorso di Obama all’Università del Cairo,
«osannato anch’esso dalla sinistra in un crescente fervore di
servilismo, consapevole o idiota, per l’impero». E chi avvertiva che si
stava puntando al caos (tribalizzazione, al-qaidizzazione, flusso
incontrollabile di rifugiati) verso uno stato conclamato di guerra
mondiale, «veniva sbeffeggiato dagli intellettuali progressisti con
un’arroganza che ora illumina impietosamente la loro cialtronaggine».
Nel
caos ormai è immerso tutto il Mediterraneo, a Nord come a Sud, e
l’abbattimento del bombardiere russo da parte della Turchia ha portato
concretamente il mondo sull’orlo della Terza Guerra Mondiale, o meglio della sua “fase conclamata”, «perché che questa guerra sia già in corso lo ha affermato anche Papa Francesco, giustamente e non a caso». Guerra
che, per “Megachip”, ha una precisa data d’inizio: 11 settembre 2001.
«Finora essa si è svolta come avevano “previsto” gli strateghi della
Rand Corporation negli anni Novanta del secolo scorso, ovverosia
mischiando supertecnologie militari con guerre di carattere tribale e
premoderno». Oggi invece la Terza Guerra
Mondiale è «sul punto di conclamarsi, così come si conclama una
malattia infettiva dopo un periodo d’incubazione». Forse, «all’ultimo
momento verranno trovati degli anticorpi», per scongiurare il peggio. Ma
è impossibile evitare di vedere la realtà sotto i nostri occhi: «Mai il
mondo è stato così vicino al baratro», dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
“Megachip”
si sofferma sull’improvvisa visibilità del protagonismo turco, fino a
ieri rimasto sottotraccia, sostenendo che l’atto di forza di Ankara – la
sfida rivolta a Putin con un’operazione di pirateria aerea – è in
realtà un gesto di debolezza, che rivela paura e forse disperazione.
«Perché la Turchia ha osato tanto? Sa benissimo che in caso di conflitto
nucleare l’Anatolia sarebbe ridotta a un posacenere». Non potendo
entrare «nella testa criminale di Erdogan», è possibile avanzare
soltanto ipotesi. La prima: «L’Isis tiene in ostaggio gli ex sponsor».
Uno di questi è la Francia, «che tentenna e si comporta in modo
incoerente (aiuta da una parte e bombarda dall’altra)», e poi ovviamente
c’è la Turchia, tramortita dall’intervento militare russo in Siria e
preoccupata che l’alleato americano la abbandoni, lasciandole in eredità
«l’inaccettabile Kurdistan alle frontiere». Deduzioni verosimili: «Non è
impossibile che i capi dell’Isis abbiano fatto capire a Erdogan che, se
non reagisce alla Russia, a Istanbul ci potrebbe essere un attacco
terroristico come una Parigi al quadrato», considerato che da almeno un
anno la città «pullula di jihadisti», con «chissà quante cellule pronte»
tra le due rive del Bosforo.
Seconda
ipotesi: Erdogan è «disperato», perché «da una parte c’è il martello
del suo mostro di Frankenstein (in condominio conflittuale coi campioni
delle crocifissioni, delle decapitazioni, delle frustate e delle
lapidazioni che sono a capo dell’Arabia Saudita, che di fatto, protetti
da un accordo ormai cinquantennale con gli Usa,
formano un Isis con seggio all’Onu)», e dall’altra c’è «l’incudine
degli accordi tra Putin e Obama». Non è un caso, scrive “Megachip”, che
Erdoğan abbia deciso di abbattere un aereo russo pochissimi giorni dopo
il G20 di Antalya, «dove è evidente che c’è stato un ulteriore accordo
tra Obama e la Russia» (non tra l’America e la Russia, «perché la Russia
è compatta dietro a Putin, ma gli Usa
non lo sono affatto dietro a Obama dato che altri perseguono propri
piani, addirittura peggiori e più spaventosi»). È stata dunque questa
“disperazione” a suggerire a Erdogan un atto di tale gravità?
Formalmente, Obama ha preso le parti della Turchia. Ovvio: se l’avesse
scaricata, «come avrebbe reagito il già disperato Fratello Musulmano,
che sa benissimo che si è messo una polveriera sotto il culo da solo?».
Così,
Obama può ancora pensare di controllare la Turchia, almeno un po’,
magari con l’aiuto dei militari non epurati da Ergogan, in attesa di
capire come sbarazzarsi del leader di Ankara. Schierandosi (solo a
parole) contro Putin, Obama spera di tener buoni i “falchi” neocon,
evitando peraltro di sacrificare l’avamposto della Nato in Medio
Oriente. Ma, se anche quello di Obama è solo teatro, la situazione resta
pericolosissima. Molto peggio dello scenario da incubo della crisi di Cuba, quando Usa e Urss arrivarono a un millimetro dalla guerra
nucleare. Diversamente da allora, ricorda “Megachip”, oggi c’è il
rischio concreto del “first strike”, l’attacco missilistico preventivo,
progettato dal Pentagono su mandato di George W. Bush. Obama ha frenato:
dal 2010 è tornato «al solo uso del nucleare come deterrente ad
attacchi nucleari». Ma cosa accadrà domani?
In
più, c’è da considerare che Obama – a differenza del Kennedy del 1962 –
pare abbia un controllo non completo sulle sue forze armate, «vedi il
generale John Allen che paracadutava le armi all’Isis invece di
buttargli le bombe». Infine, negli anni ‘60 l’Occidente era in piena,
travolgente espansione. Oggi è in crisi,
ininterrottamente, dal 2007. E non si vede via d’uscita, da una
globalizzazione forsennata e irresponsabile, che ha finanziarizzato l’economia globale e gravemente indebolito Usa ed Europa
con la catastrofe occupazionale delle delocalizzazioni, prima ancora
che subentrasse il colpo di grazia dell’austerity Ue indotta dal regime
monetario dell’euro. C’è un rischio concreto di collasso, anche
eventualmente pilotato, per sbarrare la strada all’ascesa storica della
Cina. Che fare, nel nostro piccolo? «A parte sperare che i russi
continuino a mantenere il sangue freddo che stanno dimostrando, non
possiamo fare nulla se non rivendichiamo la neutralità dell’Italia»,
conclude “Piotr”. «Questo è quanto dobbiamo fare, per noi, per i nostri
figli, per il mondo».
Obama liquiderebbe volentieri Erdogan, ma intanto gongola per l’abbattimento del jet russo: non è una contraddizione, scrive “Megachip”,
perché «quel che gli fa piacere e quel che gli serve sono due cose
diverse». Con il suo appoggio formale alla Turchia, il presidente Usa
spera di prendere diversi piccioni con una fava: «Fa il muso duro con
Putin davanti a tutto il mondo, tiene agganciata la polveriera Turchia
sperando che non salti in aria, non scarica brutalmente un alleato
chiave nella regione (cosa che darebbe un pessimo segnale) e infine
tiene a bada, o spera di tenere a bada, i neocon guerrafondai», che
probabilmente hanno ispirato «l’atto di guerra irresponsabile turco». Morale: come dice Papa Francesco, la Terza Guerra
Mondiale (a rate) è già iniziata. Ci stiamo scivolando dentro. E sul
ponte di comando ci sono troppe mezze figure. E’ peggio che nella “crisi
dei missili” di Cuba del 1962: all’epoca, Kennedy aveva il pieno
controllo del suo esercito, e non era previsto nessun “first strike”,
cioè il lancio non provocato di un attacco nucleare, ma solo la
ritorsione nucleare. E soprattutto, «la crisi sistemica non era nemmeno iniziata», mentre oggi «sta dirigendosi velocemente verso lo showdown».Ormai, scrive “Piotr” sul newsmagazine fondato da Giulietto Chiesa, è evidente a tutti che «la cosiddetta guerra civile siriana» è in realtà «un attacco sponsorizzato dagli ex partner dell’accordo Sykes-Picot contratto durante la I Guerra Mondiale, cioè Gran Bretagna e Francia, poi istigato ideologicamente, finanziato e
armato dall’Arabia Saudita, dal Qatar, dalla Turchia, col concorso attivo di Israele, e condotto da mercenari e volontari jihadisti provenienti da 83 paesi differenti». Altro che “guerra civile”. «Questo attacco – ricorda “Megachip” – fu deciso nel 2007 dall’allora vicepresidente statunitense Dick Cheney, su insistenza dei suoi consiglieri neocon, ed è stato preparato da quella vasta operazione di regime change chiamata “primavera araba”, che ha illuso la sinistra fino a farla vaneggiare, come successe a Rossana Rossanda». Un’operazione che «doveva portare uniformemente i Fratelli Musulmani al governo in Tunisia, Libia, Egitto e Siria, come già era avvenuto per vie democratiche in Turchia (anche se poi il primo ministro Erdogan ha molto poco democraticamente epurato magistratura ed esercito, per obbligo e tradizione repubblicana custodi della laicità dello Stato)».
Come testimoniato a più riprese dal generale Wesley Clark, già a capo della Nato in Europa, la Siria – come la Libia e altri paesi dell’area – era già nel mirino del Pentagono fin dal 2001. All’epoca alla Casa Bianca c’era George W. Bush, ma il vero capo era il suo vice, Cheney, esponente di quei neocon che «avevano occupato stabilmente varie importanti funzioni di potere, dopo che il democratico Bill Clinton aveva aperto loro le porte». Se qualcuno non lo avesse ancora capito, continua “Piotr”, il destino della Siria, come quello della Libia, e dei suoi innocenti abitanti, era stato deciso sui ponti di comando degli Stati Uniti un decennio prima della “primavera araba”, che è stata una parte dell’implementazione del piano, preceduta dal famoso discorso di Obama all’Università del Cairo, «osannato anch’esso dalla sinistra in un crescente fervore di servilismo, consapevole o idiota, per l’impero». E chi avvertiva che si stava puntando al caos (tribalizzazione, al-qaidizzazione, flusso incontrollabile di rifugiati) verso uno stato conclamato di guerra mondiale, «veniva sbeffeggiato dagli intellettuali progressisti con un’arroganza che ora illumina impietosamente la loro cialtronaggine».
Nel caos ormai è immerso tutto il Mediterraneo, a Nord come a Sud, e l’abbattimento del bombardiere russo da parte della Turchia ha portato concretamente il mondo sull’orlo della Terza Guerra Mondiale, o meglio della sua “fase conclamata”, «perché che questa guerra sia già in corso lo ha affermato anche Papa Francesco, giustamente e non a caso». Guerra che, per “Megachip”, ha una precisa data d’inizio: 11 settembre 2001. «Finora essa si è svolta come avevano “previsto” gli strateghi della Rand Corporation negli anni Novanta del secolo scorso, ovverosia mischiando supertecnologie militari con guerre di carattere tribale e premoderno». Oggi invece la Terza Guerra Mondiale è «sul punto di conclamarsi, così come si conclama una malattia infettiva dopo un periodo d’incubazione». Forse, «all’ultimo momento verranno trovati degli anticorpi», per scongiurare il peggio. Ma è impossibile evitare di vedere la realtà sotto i nostri occhi: «Mai il mondo è stato così vicino al baratro», dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
“Megachip” si sofferma sull’improvvisa visibilità del protagonismo turco, fino a ieri rimasto sottotraccia, sostenendo che l’atto di forza di Ankara – la sfida rivolta a Putin con un’operazione di pirateria aerea – è in realtà un gesto di debolezza, che rivela paura e forse disperazione. «Perché la Turchia ha osato tanto? Sa benissimo che in caso di conflitto nucleare l’Anatolia sarebbe ridotta a un posacenere». Non potendo entrare «nella testa criminale di Erdogan», è possibile avanzare soltanto ipotesi. La prima: «L’Isis tiene in ostaggio gli ex sponsor». Uno di questi è la Francia, «che tentenna e si comporta in modo incoerente (aiuta da una parte e bombarda dall’altra)», e poi ovviamente c’è la Turchia, tramortita dall’intervento militare russo in Siria e preoccupata che l’alleato americano la abbandoni, lasciandole in eredità «l’inaccettabile Kurdistan alle frontiere». Deduzioni verosimili: «Non è impossibile che i capi dell’Isis abbiano fatto capire a Erdogan che, se non reagisce alla Russia, a Istanbul ci potrebbe essere un attacco terroristico come una Parigi al quadrato», considerato che da almeno un anno la città «pullula di jihadisti», con «chissà quante cellule pronte» tra le due rive del Bosforo.
Seconda ipotesi: Erdogan è «disperato», perché «da una parte c’è il martello del suo mostro di Frankenstein (in condominio conflittuale coi campioni delle crocifissioni, delle decapitazioni, delle frustate e delle lapidazioni che sono a capo dell’Arabia Saudita, che di fatto, protetti da un accordo ormai cinquantennale con gli Usa, formano un Isis con seggio all’Onu)», e dall’altra c’è «l’incudine degli accordi tra Putin e Obama». Non è un caso, scrive “Megachip”, che Erdoğan abbia deciso di abbattere un aereo russo pochissimi giorni dopo il G20 di Antalya, «dove è evidente che c’è stato un ulteriore accordo tra Obama e la Russia» (non tra l’America e la Russia, «perché la Russia è compatta dietro a Putin, ma gli Usa non lo sono affatto dietro a Obama dato che altri perseguono propri piani, addirittura peggiori e più spaventosi»). È stata dunque questa “disperazione” a suggerire a Erdogan un atto di tale gravità? Formalmente, Obama ha preso le parti della Turchia. Ovvio: se l’avesse scaricata, «come avrebbe reagito il già disperato Fratello Musulmano, che sa benissimo che si è messo una polveriera sotto il culo da solo?».
Così, Obama può ancora pensare di controllare la Turchia, almeno un po’, magari con l’aiuto dei militari non epurati da Ergogan, in attesa di capire come sbarazzarsi del leader di Ankara. Schierandosi (solo a parole) contro Putin, Obama spera di tener buoni i “falchi” neocon, evitando peraltro di sacrificare l’avamposto della Nato in Medio Oriente. Ma, se anche quello di Obama è solo teatro, la situazione resta pericolosissima. Molto peggio dello scenario da incubo della crisi di Cuba, quando Usa e Urss arrivarono a un millimetro dalla guerra nucleare. Diversamente da allora, ricorda “Megachip”, oggi c’è il rischio concreto del “first strike”, l’attacco missilistico preventivo, progettato dal Pentagono su mandato di George W. Bush. Obama ha frenato: dal 2010 è tornato «al solo uso del nucleare come deterrente ad attacchi nucleari». Ma cosa accadrà domani?
In più, c’è da considerare che Obama – a differenza del Kennedy del 1962 – pare abbia un controllo non completo sulle sue forze armate, «vedi il generale John Allen che paracadutava le armi all’Isis invece di buttargli le bombe». Infine, negli anni ‘60 l’Occidente era in piena, travolgente espansione. Oggi è in crisi, ininterrottamente, dal 2007. E non si vede via d’uscita, da una globalizzazione forsennata e irresponsabile, che ha finanziarizzato l’economia globale e gravemente indebolito Usa ed Europa con la catastrofe occupazionale delle delocalizzazioni, prima ancora che subentrasse il colpo di grazia dell’austerity Ue indotta dal regime monetario dell’euro. C’è un rischio concreto di collasso, anche eventualmente pilotato, per sbarrare la strada all’ascesa storica della Cina. Che fare, nel nostro piccolo? «A parte sperare che i russi continuino a mantenere il sangue freddo che stanno dimostrando, non possiamo fare nulla se non rivendichiamo la neutralità dell’Italia», conclude “Piotr”. «Questo è quanto dobbiamo fare, per noi, per i nostri figli, per il mondo».
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