venerdì 30 ottobre 2009

QUANDO UNA MALATIA DIVENTA MOTIVO DI LOTTA ANCHE SOCIALE

IL MUSICO IMPERTINENTE
di Paolo Di Modica
« L’attenzione italiana per la sla

“IL DOLORE MI HA SALVATO DA DIO” di Simona Nazzaro



Paolo Di Modica ha 44 anni, e nel giugno 2007 gli è stata diagnosticata la Sla. Siamo andati a trovarlo per farci raccontare la sua storia. Pensavamo che ci saremmo trovati di fronte una persona malata, piegata dalla sua patologia. Invece Paolo è una persona forte più che mai, che combatte, lotta. È fermo e duro sulle sue posizioni e non le manda certo a dire a nessuno: ai politici, alla Chiesa, alle persone ipocrite.

La sua forza è la sua speranza, insieme alla moglie Maria, che gli è accanto e lo sostiene in ogni sua decisione. Scherziamo, parliamo, raccontano la loro storia d’amore. Mostrano la casa, le foto, le locandine dei concerti di Paolo. Lui, prima di tutto, era un flautista professionista. Chiama la sua malattia Sla in sol diesis minore; minore perché, anche se la malattia è grave, lui non gli dà importanza.

Paolo, com’è iniziato il percorso della sua malattia?

“Stavo preparando un concerto per il gennaio 2007, quando mi sono accorto che qualcosa non andava. Ho cominciato con un minimo disturbo al mignolo sinistro, che è il dito che usa la chiave del sol diesis. I passaggi velocissimi che dovevo fare venivano sporchi, imprecisi. Pensavo a una tendinite o a qualcosa del genere. A maggio decisi di fare degli accertamenti e lì la condanna: Sla. Ricoverato all’ospedale Fatebenefratelli, la diagnosi mi è stata riferita da un medico che ho incontrato nel corridoio mentre stavo tornando a casa, come una notizia qualunque: «Ha la malattia del motoneurone. Non si affatichi». Nessuno aggiunse altro. Io pensai, faccio il musicista, mica lo scaricatore di porto, sarà una sciocchezza. Ma nonostante il modo fugace e senza attenzione in cui mi fu data la notizia, tornai a casa curioso di sapere in cosa consistesse la mia patologia. Non ne sapevo nulla. Sono andato su internet a cercare cosa fosse. Ho scoperto la Sla. Sono rimasto agghiacciato. In quel momento ho sudato freddo, mi si è annebbiata la vista, il mio cervello si è rifiutato di capire ciò che leggevo. La mia reazione è stata di paura. Per oltre un anno sono rimasto rinchiuso in casa, non volevo parlare né vedere nessuno. Evitavo di guardare gli altri, la malattia, il mio futuro, il mondo.”


Come è cambiata da quel momento la sua vita quotidiana?

“Ora non sono più un musicista, anche se nell’animo lo resterò a vita. Ho abbandonato la musica. Ho fatto un ultimo concerto, il “concerto del motoneurone”, il 27 agosto 2007. Ho pensato: sarà l’ultimo della mia vita, ed è stato così. Come brano finale, ho suonato La vita è bella, dalla colonna sonora del film di Benigni. Ed è così, in realtà la vita è bella, nonostante tutto. Io mi ero rassegnato troppo presto alla malattia. La diagnosi aveva distrutto me e mia moglie, totalmente. Ho smesso di suonare subito, appena ho saputo. Avrei potuto continuare, perché il primo anno fisicamente sono stato bene, solo che la testa non c’era più. Non mi divertivo più. La musica, oltre che un lavoro, per me era una passione. Quindi ho mollato. Se tornassi indietro non mollerei. Tutto questo grazie ai medici cattolici e al modo in cui mi hanno comunicato la mia condanna. Alla faccia della carità cristiana. Ha detto che se tornasse indietro non mollerebbe.”


Ha detto che se tornasse indietro non mollerebbe. Ha trovato la forza per reagire?

“La forza di reagire mi è venuta solo a dicembre dello scorso anno, dopo circa un anno e mezzo. Una mattina ero all’Istituto superiore di sanità e ho incontrato una giornalista del Tg3 che voleva intervistare un malato di Sla, non famoso, non calciatore. Accettare un’intervista è come dirlo al mondo. E preferivo che la gente sentisse cosa avessi dalla mia voce, senza che si potessero fare dei pettegolezzi. Da lì si è aperta la mia realtà nella malattia. Fino al giorno di decidere di rilasciare l’intervista, pensavo solo alla parola Sla, in maniera ossessiva. Nel momento in cui ho deciso di parlare con la giornalista, mi sono messo a letto pensando a cosa dire alle telecamere, agli altri, alle persone che sentivano parlare della malattia. In quei mesi ho cominciato a peggiorare fisicamente, ma sono rinato a livello psicologico, ho avuto un atteggiamento diverso rispetto a tutto, più reattivo. Conoscevo la storia di Luca Coscioni, avevo sentito parlare di Piergiorgio Welby, avevo visto Borgonovo andare in tv tutto intubato. Ho cominciato a pensare al dovere di portare avanti la nostra battaglia, la mia battaglia. Io non sono nessuno rispetto a loro, mi sono detto, ma è giusto farne parte. Così mi sono buttato nella mischia. Dopo l’intervista ho anche aperto un blog mio. Ho scoperto questa mia nuova attività, ho ritrovato la mia ironia. Il pregio del mio progressivo immobilismo è di aver risvegliato, ancora di più, la mia coscienza.”

Che progetti ha per il futuro?

“A un certo punto mi sono come svegliato da un lungo sonno, e ho capito di dover lottare, anche nella speranza che si trovi una cura. E quindi eccomi qua. Sono grato alla malattia, ha portato fuori il mio lato migliore, un modo nuovo di affrontare, di combattere le ingiustizie. A partire dal mio essere disabile. Pochi sanno quali sono i disagi che una disabilità comporta e la scarsa attenzione che c’è in questo Paese. I nostri politici sono troppo occupati a fare questo testamento biologico, per fare piacere a sua santità e ai suoi amichetti. Pensano che la vita è di Dio. La mia vita è mia e basta. L’unica cosa che sanno dirti è, “prega”. In questo Paese la sofferenza per alcune categorie è una fortuna. Perché c’è interesse nel lucrare sul dolore altrui. Prendiamo l’esempio di papa Wojtyla: col morbo di Parkinson ha giustamente deciso di smettere di soffrire, mentre gli altri non possono farlo. Ma lui era un cittadino vaticano, non italiano. I “signori vaticani” si intromettono un po`troppo nei nostri affari. Sfruttare la sofferenza altrui è indecente. Pensa ai santuari. Mi fanno rabbia, lucrano sulla sofferenza. Penso sempre, ma perché non portano i malati a vedere un tramonto, e non a vivere nell’illusione di un miracolo? Certo, ognuno vive la propria sofferenza come vuole. Non possono dirmi di pregare. No, io lotto, è diverso. Io non credo più, e questo mi ha aiutato a reagire. La mia vita è solo mia ed è solo nelle mia mani. O lotto io, o nessuno lo farà per me. Non so quello che succederà, se la malattia avrà la meglio, o meno. Ma almeno io ci avrò provato, avrò lottato fino in fondo.”

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