mercoledì 27 luglio 2011

INTELLETTUALI, DA SEMPRE NELLA STORIA, SERVILI E A BUSTA PAGA DEL POTERE ECONOMICO-POITICO-SPIRITUALE !




GLI INTELLETTUALI E IL 15-M: UNA MODESTA PROPOSTA PER AUTOABOLIRCI


DI LUIS-MARTIN CABRERA
Rebelion

Questo non è un altro articolo sul futuro del movimento 15-M, e neanche una diagnosi teorica più esatta di altre che circolano in rete. Né una previsione del futuro, tanto meno un’analisi definitiva: è un tentativo di apertura, legna per il fuoco che alimenta la ribellione e il cambiamento, un modesto apporto di qualcuno che vuole solo essere un anonimo operaio della parola.

Negli ultimi mesi sono stati scritti fiumi di inchiostro su quello che è e non è il movimento 15-M. In maniera ben intenzionata, ma non sempre generosa, alcuni hanno voluto vedere nelle assemblee delle piazze la conferma di tutte le proprie teorie: sono comunisti, sono illuministi, è la moltitudine che si alza dalla realtà per abbattere il capitalismo, fino a definirli un alveare senza operaie né regina. Altri, in maniera meno ben intenzionata, hanno gridato "sono marionette di Rubalcaba", "punkabbestia" (che mente fascista avrà inventato questo neologismo! Ndt. Si riferisce all’originale castigliano “perroflauta”), "infiltrati dell’ ETA." E, infine, non pochi settori della sinistra, vittime delle teorie millenariste della cospirazione, che attribuiscono ai potenti una razionalità di cui - per fortuna - non sono dotati, hanno visto nel 15-M la consacrazione di Punset e dei suoi discepoli della nuova fede dei portavoce delle masse, l’apoteosi del nuovo stile di un capitalismo rinnovato.

È logico, tutti vogliamo avere ragione, tutti vogliamo vedere nel 15-M la conferma della nostra visione del mondo e i nostri aneliti. Tutti, e per tutti mi riferisco soprattutto alle e agli intellettuali, vogliamo dare consigli, dirigere, indicare: "di là no" "di là sì", "la nostra esperienza storica ci dice che", "non siate ingenui".
 Pubblichiamo perfino libri per dire, questo "noi" ve lo avevamo già detto, finalmente la gente “ci fa caso", e non ci rendiamo conto che riempire le biblioteche di nuovi libri non significa cambiare la realtà; non ci rendiamo conto che parlando in questo modo, guardando così alla piazza, non siamo altro che entomologi che dissezionano come l'insurrezione sventra un insetto. Mi racconta Ángeles Dieci - la sociologa della mia testata - che i più opportunisti o i più inconsciamente reazionari sognano già il momento nel quale il 15-M smetterà di stare nelle piazze per esistere solo nelle biblioteche, una farfalla imbalsamata, ma soprattutto un pensiero utopistico.

Tuttavia, è arrivato il momento di invertire lo sguardo, è arrivata l'ora di sospendere il piacere infinito che soddisfa il voyeurismo intellettuale, smettiamo per un minuto di guardare ossessivamente la piazza, invertiamo il campo visuale, osserviamo noi stessi guardando, o anche meglio, lasciamo per una volta che sia il movimento 15-M a guardarci, diventando oggetto e non solo soggetti delle analisi. Per fare questo potremmo incominciare a leggere un classico di Francis Fox Piven e Richard Cloward - Poor People’s Movements – sui successi e i fallimenti dei movimenti sociali negli Stati Uniti. 
In questo libro si può leggere come nella storia i movimenti sociali di base – il movimento sindacale negli anni ’30 o il movimento per i diritti civili negli anni ’60 – ottengono le maggiori conquiste al momento dell’insurrezione e si spengono e perdono forza quando i dirigenti cercano di orientare e strutturare la protesta. Molte volte col migliore delle intenzioni i dirigenti di questi movimenti tirarono fuori la gente dalla strada per rinchiuderla nelle sezioni, hanno disdetto proteste per redigere statuti e formare organizzazioni che finirono per essere cooptate da alcune élite che sono sempre più a loro agio quando sanno con chi devono combattere e quanto vale un dirigente.
Le tesi di Fox Piven e Cloward è, ovviamente, più che discutibile; anche se è certo che a volte un'organizzazione potente, strutturata e avanguardista come il PCE durante la dittatura può essere un organismo di resistenza efficace, molte altre volte l’"organizzazione", "la struttura", i "leader", "l'avanguardia del partito" e la "lista delle domande" possono essere un modo per addomesticare l'insurrezione: la storia della dirigenza del PCE durante la transizione non è aliena da questa catastrofe. In questo senso, i media e i politici muoiono dalla voglia di etichettare i leader del 15-m, ma il movimento ha fatto qualcosa di molto più importante, ha rubato la Politica, con la maiuscola e al femminile, ai politici, con la minuscola e al maschile, come si ruba il fuoco agli dèi, e intanto ha inventato nuovi linguaggi, "Democrazia in costruzione, scusate il disturbo", e nuovi ritmi decisionali fuori del tempo accelerato dei mercati, “andiamo piano perché andiamo lontano”.
Questa nuova forma della politica non deve rinnegare la forte tradizione di lotta che c'è in Spagna e in altre zone, ma neanche deve rendergli omaggio, perché almeno ha creato, di proprio conto, un spazio – l’assemblea – dove si può ascoltare:
- un militante di un'associazione di cittadini dove ha spiegato come sono riusciti a difendere la chiusura di una scuola pubblica a Carbanchel, perché le associazioni di cittadini possono essere una potente di organizzazione basata sulla conoscenza che viene data dal vivere vicino agli altri;
- una femminista che ha spiegato che il lavoro domestico o la cura dei soggetti deboli vengono svolti principalmente dalle donne perché la nostra costruzione dei generi ci ha convinto che il lavoro domestico non è lavoro e che la cura è un’inclinazione naturale delle donne;
- due militante delle brigate antirazziste che hanno spiegato come si interviene per interrompere la detenzione e i maltrattamenti per gli immigrati senza documenti, descrivendo i CIE, i Centri di Internamento per gli Stranieri, come Guantánamo in miniatura che dovrebbe fare indignare;
- qualcuno che parla delle banche e dei politici, e delle persone che sono sedute in piazza come noi. Noi contro Loro, la piazza, noi, contro loro e il patriarcato capitalista;
- alcuni che sono stati internati in un ospedale psichiatrico che parlano della necessità di chiedersi cosa sia la normalità e il perché delle camicie di forza;
- altri che chiedono un minuto di silenzio per i desaparecidos del franchismo e che raccontano come l’edificio che abbiamo di fronte fu la Direzione Generale della Sicurezza, un centro di tortura.
Queste e molte altre cose ho ascoltato in un giorno trascorso nel dibattito alternativo dello Stato della Nazione alla Puerta del Sol, e questo senza aver assistito il primo giorno, quando si sono discusse le proposte di economia, educazione e salute. Non è in sé stesso un evento? 
Abbiamo davvero bisogno di “ordinare” questa esplosione della Politica per paura del futuro?
Eduardo Hernández descrive che nei pochi mesi di vita del movimento vita si sono rotte molte delle convenzioni borghesi che definivano la discussione pubblica; non si applaudono quelli che parlano bene, o quelli che esibiscono il proprio capitale culturale, o non li si è applauditi proprio per quel motivo, si appoggia e si applaude quelli che sono agitati e quelli che non hanno capitale culturale o di frasi e citazioni, affinché possano esprimere quello che devono esprimere con le loro parole che valgono molto più di quelle di un professore universitario.
Quelli che parlano nelle piazze non sono nessuno, sono Esther, Juan o sono le molte Silvia dell'associazione dei cittadini di Vallecas. Nelle piazze gli intellettuali devono aspettare il suo turno come tutti e non hanno cognomi o curriculum. È logico che molti intellettuali si innervosiscano, abituati come sono a farsi dare immediatamente la parola, l'autorità e il pulpito.
 Per questo è doppiamente patetico ascoltare Agustín García Calvo – con tutto il rispetto che merita il nostro percorso - pontificando nella piazza e dando istruzioni all'assemblea affinché non propongano niente, perché proporre è cadere nel linguaggio dal padre, dello Stato, dell'ordine che si cerca di combattere. Se egli stesso non riesce a vedere che “quello che ci rimane come popolo", per usare un suo concetto, sono proprio queste assemblee, deve essere cieco o che deve preferire i cenacoli libertari che presiede in modo tanto patriarcale.
E García Calvo disgraziatamente non è il solo a rimanere nei suoi deliri illuministi, gli intellettuali del manifesto “Un’illusione condivisa” hanno assunto una posizione altrettanto illuminista e dispotica per firmare un manifesto da cui traspira un odore progressista e opportunista.
 Ma come si può firmare un manifesto sull’avanguardia storica quando fino a tre giorni prima molti dei firmatari appoggiavano un governo che ha implementato le misure più regressive e reazionarie degli ultimi venti anni? Come si può credere di essere un promotore e creatore di una ricostruzione della sinistra quando il 15-M ti ha scoperto a bere lo champagne a Cannes o godendo delle regalie offerte per il tuo ultimo libro, grazie della Legge Sinde che hai difeso a cappa e spada nei tuoi articoli settimanali? Questa "illusione condivisa" deve essere il continuare a essere "professionisti della sinistra", di modo che il "non ci rappresentano" possa essere pronunciato anche per loro.
Altre persone con tanta cultura da poter essere anche sprecata, come nel caso di Fernando Savater, possono permettersi direttamente di esercitare la violenza epistemica che concede loro la sua tribuna e di fare passare per filosofia asseverazioni del tipo: "Il 15-M mi è servito da tontometro per misurare il livello di stupidità e di cinismo di alcuni". Di fronte a tanta sfacciataggine e tali spropositi agli intellettuali non rimane che declassarci, scinderci completamente da questo branco di despoti illuminati e di apostoli della banalità e dell'opportunismo.
 Comunque, gli intellettuali altro non sono che minorate e minorati. Già Antonio Gramsci notò che ogni uomo è un intellettuale, perché non esistono uomini né donne che non abbiano idee sul mondo in cui vivono, perché solo la separazione artificiale e violenta tra lavoro manuale e lavoro intellettuale ha reso possibile l’esistenza degli intellettuali che hanno il tempo e i privilegi necessari per dedicarsi professionalmente a pensare, leggere e scrivere.
Per questo, tanto più avanzerà il 15-M tanto più necessario sarà abolirci, non tanto per "anti-intellettualismo", ma perché la cosa più intellettuale che possiamo fare subito è – malgrado l’ego se ne dispiaccia, accorrere alle assemblee, dare il nostro apporto per quello che possiamo nelle commissioni con umiltà, parlare faccia a faccia, senza cognomi né titoli e, cosa importante, sentirci orgogliosi di quello che facciamo come un falegname si sente orgoglioso del tavolo che ha costruito. Operai della parola, non signori rispettabili, a ciascuno secondo i suoi bisogni, da ciascuno secondo le sue capacità.
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Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

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