DELLA MORTE E DELLA FELICITA’
“Ringrazio Dio per la morte che cancella ogni potere, che tace ogni
menzogna, vergogna, dissolve ogni paura, dolore, ansie e passioni. Ringrazio
Dio per la morte che da respiro alla mia vita”
La paura della morte è una degenerazione della coscienza, e non va confusa
con lo spirito (o istinto) di autoconservazione da sempre connaturato
nell’uomo, Freud, nel suo libro, “Al di là del principio di piacere”,
afferma che la pulsione vitale, insieme all’istinto di autoconservazione sono
dovute al bisogno di mantenimento della specie.
C’è in noi anche l’istinto, o la pulsione di morte, come la chiama Freud
ma, a prevalere è, quasi sempre la prima: la pulsione di vita. Dal punto di
vista evolutivo, la morte individuale è una conseguenza ed una necessità
contenuta nel concetto stesso di infinito, risultante di una discontinuità del
processo vitale. Il senso biologico della vita consiste nel mantenimento della
vita stessa e, tale mantenimento, viene ottenuto mediante un continuo ricambio degli
individui.
Non siamo che foglie d’autunno che lasciano la presa perché la primavera
ritrovi le sue originarie ragioni e la terra confermi le sue speranze. La
nostra vita, come di ogni altra forma vivente è, allo stesso tempo, l’altare
sacrificale sul quale ci immoliamo volontariamente per onorare la volontà del
Mistero che, per i suoi figli benedetti, ha deciso, pace e riposo. Lo stesso
riposo di cui si nutrono i nostri piccoli, perché possano sbocciare al sole
della vita con ritrovata energia. Per questo la morte, è la metafora di un
sonno ristoratore e rigeneratore e, le foglie che cadono e le nuove gemme che
sbocciano, sono le estreme condizioni che concorrono all’immortalità
dell’anima.
E’ la gente che non teme la morte e ne comprende la sua necessità, a
godere, di una felicità, unica e costante. Sono le persone felici a non avere
paura della morte essendo la felicità, il prolungamento della consapevolezza. Oggi, il terrore della morte è il sentimento che più affligge le
democrazie occidentali che, alla ricerca della verità e all’etica, hanno
anteposto l’idolatria e il relativismo consumista.
Per tanto, il presupposto della felicità é la consapevolezza. L’uomo
ragionevole consapevole, accetta la sua condizione umana ed estetica,
considerandola unica ed irripetibile, e in nessun modo cerca di modificarla,
contraffarla o manipolarla.
L’uomo felice, non procura disgusto e disprezzo ma stima e rispetto. L’uomo
felice è silenzioso e appagato. Gode ogni attimo della sua vita come fosse
l’ultimo, accettando la morte come il momento più eccitante della sua
esistenza, certo che, il dopo, sarà uno sballo. L’infelice, diversamente, aspira all’immortalità e il livello del suo
tormento cresce proporzionalmente alla sua capacità di rimanere in vita.
Questo tipo di uomo, è infelice per definizione. L’uomo felice è
consapevole, qualità che gli deriva da un ardente bisogno e desiderio di
libertà, senza la quale ogni felicità è illusione. Non svende la sua vita
rincorrendo denaro e potere, ma cerca la misura della felicità. L’uomo felice
onora la vita, l’infelice è un morto che respira. La morte, è la sola ed
unica versione della macchina del tempo che è in grado di riportarci
all’origine di tutte le cose, per poi dare inizio ad un nuovo ed infinito
viaggio verso la consapevolezza. Ciò che é’ineluttabile, rientra nella
sfera del divino; così la morte, alla quale é dovuto grande rispetto. Il primo
fondamento della libertà, è il potere decidere della propria vita e della
morte. Diversamente, la libertà è illusione.
Fra i vari diritti dell’uomo uno, in particolare, è sempre più disatteso: é
il diritto alla morte e chi impedisce questo diritto, è un assassino.
Non esiste, per tanto, nulla di più logico della morte e più irrazionale
della paura di morire. La vita e la morte sono le due facce di una stessa
moneta, ma la vita, è ciò che rappresenta il suo valore. Nel regno dei morti,
applicheremmo lo stesso concetto, ma in modo esattamente opposto. Tutto questo
non relativizza la verità, anzi, la conferma, come dogma assoluto, essendo la
stessa, il paradigma di due circostanze opposte, eccezionali ed estreme.
Senza l’aldilà, quindi, non saremmo di qua: come il giorno e la notte, il
bene e il male. Un uomo muore, perché qualcosa lo ha abbandonato e per nessun
altro motivo. Diversamente, non potrebbe morire, per la
semplice ragione, che non sarebbe per niente diverso da un robot o da una
macchina. Potremmo pugnalare il suo cuore con una lama intinta nel curaro, per
mille, e mille volte ancora ma, se qualcosa non abbandona il suo corpo, per
fare ritorno alla sorgente della vita (il nulla), sarebbe condannato
all’immortalità. E qui, entriamo nel campo dell’assurdo. Nessuna terribile
malattia potrebbe minare la sua esistenza, ne il rullo di uno schiaccia sassi,
dilaniare i suoi organi; basterebbe ricomporlo. Se qualcosa, non lo abbandona,
gli sarebbe negata la morte, ma anche la vita. Questo uomo, dunque, non esiste.
Il Nulla, sommo architetto e creatore, nella sua infinita razionalità e logica,
si perderebbe, dentro l’enigma. Tutto questo, è così vero, che nessuno al
mondo, di questi emeriti scienziati, sarà mai in grado di resuscitare un uomo
morto. E’ mai possibile che un uomo in carne ed ossa, possa vivere in
eterno quando, l’Eterno, non è che il cadenzare armonioso della vita e della
morte, dell’andata e del ritorno, dell’alba e del tramonto?
Ogni uomo ha una sua coscienza: cosciente o non cosciente che sia; ma
questo, è irrilevante. Non l’ho è però il fatto, che sia lei, la sola entità
immortale; lei che vaga fra la vita e la morte, fra sogni e realtà, fra
l’aldilà e la speranza, la sola che ci pone la domanda di chi siamo e dove
andiamo.
È proprio nella negazione di Dio che Dio esiste. Certo non è un Dio con
barba bianca e aureola, comodamente seduto sopra una nuvola; ma questa, è un’altra
storia. È il disegno primordiale che fa muovere i nostri pensieri, e ci fa
decidere fra il giusto i l’iniquo. Ecco Dio! L’ equazione, sono uno scienziato
e quindi sono ateo, mi fa sorridere, ma il più delle volte è così. Questo
perché, oggi, è proprio nella scienza della profanazione, e nell’arida
manipolazione, che si concentra la percentuale più alta di ignoranza. Per non
parlare della totale assenza dei principi etici. La scienza non è la risultante
dell’intelligenza, ma la sua contraffazione: una sorta di furbizia mentale
applicata ad un pericoloso retaggio adolescenziale.
Si può obiettare, non essere d’accordo con alcune religioni, come ad
esempio quella cattolica, ma negare l’esistenza di Dio, solo Dio lo può fare.
Certo, se diamo uno sguardo al mondo che ci circonda, è difficile poter credere
in Dio, ma più facilmente al Diavolo.
Il relativismo liberista, ha confinato gli individui, del mondo
occidentale, in una sorta di torre di Babele, dove tutto è il contrario di
tutto e, la contrapposizione fra ciò che é male e ciò che é bene, ridotta a
stucchevole e retorica controversia.
La vera morte è quella dello spirito e, tutto ciò che resta, non è che
tortura, vuoto, paura e schiavitù.
“ Vorreste conoscere il mistero della morte!. Ma come scoprirlo, se non
cercandolo nel cuore della vita? Giacché, la vita e la morte, sono una cosa
sola, così come il fiume e il mare. In fondo alle vostre
speranze e ai vostri desideri sta la muta conoscenza di ciò che è oltre la
vita; e, come il seme che sogna sepolto dalla neve, il vostro cuore sogna la
primavera. Fidatevi dei sogni, perché in loro si cela la porta dell’eterno. La
paura della morte, non è che il tremito del suddito quando la mano del re gli
si posa in fronte in segno d’onore. Nel suo brivido, il suddito non è forse
felice perché si onorerà di quel segno regale? Non è tuttavia più preso dal suo
tremore? Poi che cos’è morire, se non stare nudi nel vento e
disciogliersi nel sole? E dare l’ultimo respiro, che cos’è se non liberarlo dal
suo flusso inquieto, affinché possa involarsi finalmente e spaziare disancorato
alla ricerca di Dio? Solo se bevete al fiume del silenzio, voi canterete
veramente. E quando avrete raggiunto la vetta del monte, allora comincerete a
salire. E quando la terra chiederà le vostre ossa, allora danzerete
veramente.” Gibran
I nuovi baroni dell’ultra liberismo al potere, legati a doppio nodo con le
alte gerarchie ecclesiastiche, hanno fatto della menzogna, del servilismo,
illegalità, apostasia e populismo, il loro stile di vita.
Sono i cattolici divorziati e xenofobi, imprenditori senza scrupoli e
prelati pedofili.
Sono gli stessi poi, che demonizzano la morte e sbandierano il diritto alla
vita, macabro vessillo teso ad esorcizzare la paura di una esistenza vuota e
priva di alcun contenuto che, nella promessa di immortalità, elude ogni più
remoto barlume di consapevolezza, di volontà e di verità. Sono quelli che in
forma di proseliti promettono la vita eterna fra le braccia del creatore ed
esaltano la sofferenza catartica di questa miserabile vita terrena e della sua
provvisorietà – sono i ricchi gerarchi del clero pagano e idolatra che, nel
sempre più rari interventi rubati all’ozio e ad una vanità femminea, gridano a
gran voce “beati gli ultimi, che loro sarà il regno dei cieli”. Sono quelli che
esaltano il primato dello spirito, per poi accanirsi su corpi inermi (cavie
umane) con le macchine assemblate da Satana, e prolungare così all’infinito una
tortura lacerante in un esaltato accanimento, sperimentale, degno del più
spietato aguzzino nazista. Sono quelli che non accettano la sconfitta di una
scienza effimera e miope, che ha anteposto il profitto e il potere, al buon
senso, alla carità cristiana e al principio etico. Sono loro le anime infernali
di questo secolo, loro, terrorizzate dal più ineludibile atto di giustizia: la
morte.
L’elemento principe, fondamentale, per intraprendere il cammino verso la
felicità, è l’aria che respiriamo. Senza questo presupposto (fattore x), ogni
possibile vera gioia, ci è preclusa. Dobbiamo inoltre comprendere che, allegria
e isteria, non hanno nulla a che vedere con la felicità, ma sono la sua morte.
La felicità, quella autentica, è una costante, che prescinde dagli stati
d’animo, da sbalzi d’umore e dagli eventi, essendo la stessa legata alla
consapevolezza e alla comprensione logica della necessità della morte.
Il fattore ambientale e la qualità delle cose, sono il naturale terreno di
cultura della felicità, perché, intrinsecamente, ne possiedono le soluzioni
ideali e quel processo alchemico di natura magica, in grado di produrre le
condizioni, favorevoli alla sua crescita. La contemplazione e la
meditazione, diversamente da come molti credono o immaginano, non concorrono
alla felicità, ma sono la sua espressione ultima. La felicità è azione,
movimento e passione. La felicità non dorme mai, non riposa, non si appisola,
non ha paura e non rimanda a domani, ma è pragmatica, disincantata ed eroica.
Non vive il suo tempo ma il tempo infinito. Ama e comprende ogni cosa che sia
di questo mondo, senza possederla e custodirla. La felicità vive il presente;
dimentica il passato e non lancia lenze nel futuro – pesca fra le acque fresche
immacolate della sua ragione, per aprirsi nuda, ai tiepidi raggi, del mistero
svelato. La felicità è l’atto di umiltà dell’uomo ragionevole. Un uomo che, ai
beni effimeri della ricchezza, al potere e al torpore narcotizzante dell’ozio,
predilige piccoli sassi di fiume, levigati dall’acqua, per proteggerli
poi come figli.
La felicità è tenerezza, innocenza, bellezza e ironia. E’ lo stupore
negli occhi dei bambini, la purezza dei loro sogni e la libertà dei loro
pensieri. La felicità si addormenta sulla tua anima, e confonde il suo respiro
con il battito del tuo cuore. Come la fede è un bisogno ineludibile e come
l’amore ci parla di Dio.
La differenza che esiste fra chi crede in Dio da chi non crede, è nulla.
Sono due diverse “interpretazioni” (visioni) che, nella sostanza, negano
entrambi la sua esistenza. Dio non è un ragionamento razionale, ne la supina
accettazione del mistero indotta dalla paura del dopo, ma un’estasi. E’ la
contemplazione disincantata e libera di una realtà che trascende da ogni
pregiudizio e preconcetto, dottrina o superstizione e si manifesta in tutta la
sua grandezza e bellezza quando il cuore vola oltre le parole, per aprirsi alla
maestà dell’infinito.
Siamo sommersi a tal punto dall’evidenza di Dio da non accorgersi della sua
incombente presenza.
Come l’aria che respiriamo e che non vediamo, così Dio esiste. E’ l’ultimo aborigeno dell’emisfero australe, chiuso al buio della sua
caverna, e invisibile agli occhi del mondo. Ma quest’uomo, esiste.
Dio è scoperta e ricerca. E’ quella passione sfrenata che conduce alla
misura di ogni cosa, dentro un equilibrio appagante, edificante e rigenerante.
Non nutre speranze, ma da certezze. Dio è pura conoscenza. Un bisogno supremo
di devozione e pacificazione spirituale che ci scuote dal torpore delle nostre
miserie. Dio è attenzione, concentrazione, impegno e prescinde da ogni
considerazione soggettiva, prova logica e traduzione empirica. Dio non è
intelligenza divinatoria, ma sobrietà – non è numero o parola, ma afflato.
Negare la sua esistenza, corrisponde a non riconoscere la vita dalla morte
e cancellare quel confine imperituro (assunto, all’origine, a parametro
assoluto di riferimento), che si frappone fra il bene al male, il vero e il
falso, la luce e il buio.
Il credere e il non credere, sono le due facce di una stessa moneta coniata
dalla Sua stessa mano. Provare sentimenti di giustizia, di solidarietà e
fratellanza, sono alcuni degli effetti straordinari della sua imperturbabile
presenza.
Così, chi nega, si pone a supremo giudice e attore del proprio destino,
mortificando le ragioni del suo stesso esistere. All’opposto, chi crede,
rinuncia alla verità, piegandosi all’ombra di un mistero che, per quanto mi
riguarda, è palese.
Chi mai può separare la sua fede dai suoi atti, e il suo credo dal suo
lavoro? “Chi porta la sua moralità come l’abito più bello, meglio sarebbe se se
ne andasse nudo”. Gibran
Dio, non è, ogni azione e ogni considerazione ma, come la sorpresa e lo
stupore, il dolore e la gioia, il desiderio e l’amore, Dio è – rendendo così,
vana, qualsiasi disputa, antagonismo e contrapposizione.
In Dio si può credere e di Lui dubitare, ma la fede spera e il dubbio consuma.
La visione atea, che potrebbe essere interpretata come un atto di
sconfinata presunzione è, (diversamente da quanto si pensi), l’estrema ratio,
indotta dalla paura del dopo. Un lacerante e disperato bisogno, di dare un nome
(porre un marchio), con un atto esplicito e definitivo, a una tale condizione,
per dissipare ogni dubbio, riflessione e destabilizzante introspezione, e
sottraendosi da ogni responsabilità critica.
E se per astratto, avessimo la matematica e assoluta certezza, della
relatività di una vita fine a se stessa, per quale singolare motivo, dovremmo
educare i nostri figli, ho inculcare loro il senso di giustizia, scale di
valori e principi etici? E poi, che ne sarebbe, degli ideali, delle regole
civili e del domani? Solo caos e follia suicida.
Le nostre moderne società relativiste senza futuro, vanno in questa
direzione.
In verità, tutti noi, nel profondo del nostro cuore, siamo consapevoli di
una nuova dimensione oltre la vita.
I più recalcitranti materialisti che, proprio in virtù del loro
atteggiamento mentale, cercano di esorcizzare la paura del dopo, sono i più
sinceri, coraggiosi e fedeli sostenitori dell’eternità.
Negare Dio, è affermarne l’esistenza. Proprio in virtù di questo contrasto
logico, Dio esiste.
“E se volete conoscere Dio, non siate solvitori di enigmi. Piuttosto
guardatevi intorno e lo vedrete giocare con i vostri bambini.” – Gibran
Non esiste nulla al mondo di più terapeutico, contro la paura, di una
profonda consapevolezza sulla necessità della morte. Se non ne comprendiamo a
fondo il suo significato più alto, ogni vera felicità ci é preclusa. Alcune
religioni, ancora oggi, immuni dal cancro del liberismo, relativista,
conservano intatta la loro natura trascendente, adducendo nella vita, il
significato di espiazione catartica e, nella morte, la liberazione da ogni
conflitto, per poi ascendere, per diritto divino, verso i prati celesti della
libertà cosciente e dell’eterno appagamento. Ogni nostro disagio esistenziale,
innescato da quella che, per un eufemismo, abbiamo definito, la modernità,
fanno tutti capo e, per vie diverse, alla paura della morte. E’ singolare
vedere, come, nel mondo occidentale (dove il disagio psicologico e neurologico
a raggiunto soglie di dolore quasi insopportabili e paralizzanti), la paura del
dopo, sia vissuta come un costante tormento e stillicidio. Una spada di Damocle
che destabilizza e condiziona le nostre scelte quotidiane, i rapporti con gli
altri e, si accanisce su quell’equilibrio spirituale che è alla base di ogni
autentica felicità.
I sorrisi smaglianti e commoventi di bambini senza pane e senza acqua e, di
altri, affetti dalle più diverse patologie da denutrizione e di natura
igienico-sanitarie, sono il prodotto miracoloso di una filosofia dell’anima,
applicata al quotidiano dove, la convinzione naturale e logica, di un altro
mondo, giusto e ricco di promesse, edulcora e sdrammatizza ogni avversità
terrena, fino ad accettarla come necessaria. Questo perché, la loro
condizione (qualunque sia), non prescinde mai dalla Fede essendo, l’una,
complementare all’altra. La fusione di due metalli, in una lega inossidabile e
indissolubile, impermeabile ad ogni paura e debolezza. Noi occidentali,
diversamente, oberati da comodità invalidanti e concentrati a tempo pieno, sui
modelli di un’esteriorità effimera e voluttuaria, abbiamo tradito i presupposti
stessi dell’esistenza, snaturando la nostra funzione primaria di servi del
mistero, per precipitare dentro il buio della nostra stupidità. La paura della
morte, è il prezzo della nostra codardia. Se non siamo in grado di recuperare
(e non lo siamo) tutte quelle scale di valori e di principi etici, che abbiamo
mercificato in cambio di vizio, perversione, indolenza e vanità, la Grande
Paura avvolgerà per sempre i nostri cuori e, in nessuna altra dimensione,
troveremo conforto ai morsi della nostra disubbidienza.
L’individuo, spiritualmente in armonia, con le ragioni della vita, accetta
la morte come un atto dovuto, supremo gesto di giustizia, paradigma di
vittoria, che ci libera da quell’involucro di materia, bio-degradabile,
deputato a alla purificazione della coscienza, per mondarci da ogni paura e
renderci, così, degni, di entrare in contatto con il sovrannaturale. La paura,
coincide con la perdita della speranza e con l’impossibilità di intravedere un futuro.
Atei, credenti e agnostici, non sono che le sigle a marchio di una paura
più profonda, causa di infelicità e rancore. In verità, l’uomo di questo
secolo, non é che un idolatra da quarto soldi, in perpetua adorazione di un
mondo che ha mitizzato vergogne, menzogne e infamia.
Come possiamo, non credere in un’altra dimensione, quando l’alternativa é
il nulla?
La paura dell’uomo moderno in quanto, elemento improprio di un habitat in
cui non si riconosce, unita alla paura sociale, relativa alla perdita del
lavoro, della dignità e dell’impossibilità di provvedere con continuità a tutto
ciò che il suo status gli impone, lo costringe alla rinuncia di ogni
individualità, dentro un appiattimento di comportamenti e pensieri condivisi
per assuefazione, emulazione, deresponsabilizzazione e, come male minore.
Questa eccezionale forma di omologazione, dettata dalla paura, costringe
gli individui ad adeguarsi ad una sottocultura dominante, inattiva e
monolitica, senza potersi concedere slanci personalistici verso l’esterno,
castrando ogni impulso liberatorio e rivoluzionario. Disperazione e solitudine
regnano sovrane nella loro anima e, contrariamente a quanto si potrebbe
pensare, aspirano all’immortalità.
La paura di essere additato come “diverso” li fa precipitare in uno stato
di angoscia persistente che, solo un rientro nell’omologazione, può attenuare.
Questo è lo spaccato delle nostre moderne società liberiste, che per tale
motivo, non sono in grado di aspirazioni, personalizzazioni e di rivoluzioni.
Il percorso che ci conduce alla felicità, è immacolato e ininterrotto, come
l’acqua del fiume che, dalla sorgente, scorre fluida e limpida, dentro l’alveo
del suo destino, per poi sconfinare dentro l’immenso mare delle sue ragioni. Se
un grosso masso, frapponendosi al regolare scorrere dell’acqua, ne interrompe
il suo corso, il fiume esonderà, allagando e sommergendo ogni forma di vita
circostante. Così, la paura della morte, interviene nella nostra vita, come un
grosso masso, che ci preclude ogni vera gioia e speranza.
La moderna tecnologia, ha trasformato la nostra quotidianità in un
grottesco Luna Park delle illusioni. Un paese dei balocchi progettato da Satana
in persona in funzione del quale si vorrebbe contrastare l’insopportabile paura
della morte e l’incapacità di conciliare la nostra vita con l’incubo della
realtà. La paura della morte è la paura della vita, e la gioia di vivere non
corrisponde alla paura di morire.
“L’uomo libero è il solo a decidere della propria morte. In lui, è un
bisogno ineludibile che, presto o tardi, dovrà soddisfare”
Gianni Tirelli
Nessun commento:
Posta un commento