sabato 10 settembre 2011

DELLA MORTE E DELLA FELICITA’


DELLA MORTE E DELLA FELICITA’
“Ringrazio Dio per la morte che cancella ogni potere, che tace ogni menzogna, vergogna, dissolve ogni paura, dolore, ansie e passioni. Ringrazio Dio per la morte che da respiro alla mia vita”
La paura della morte è una degenerazione della coscienza, e non va confusa con lo spirito (o istinto) di autoconservazione da sempre connaturato nell’uomo, Freud, nel suo libro, “Al di là del principio di piacere”, afferma che la pulsione vitale, insieme all’istinto di autoconservazione sono dovute al bisogno di mantenimento della specie.
C’è in noi anche l’istinto, o la pulsione di morte, come la chiama Freud ma, a prevalere è, quasi sempre la prima: la pulsione di vita. Dal punto di vista evolutivo, la morte individuale è una conseguenza ed una necessità contenuta nel concetto stesso di infinito, risultante di una discontinuità del processo vitale. Il senso biologico della vita consiste nel mantenimento della vita stessa e, tale mantenimento, viene ottenuto mediante un continuo ricambio degli individui.
Non siamo che foglie d’autunno che lasciano la presa perché la primavera ritrovi le sue originarie ragioni e la terra confermi le sue speranze. La nostra vita, come di ogni altra forma vivente è, allo stesso tempo, l’altare sacrificale sul quale ci immoliamo volontariamente per onorare la volontà del Mistero che, per i suoi figli benedetti, ha deciso, pace e riposo. Lo stesso riposo di cui si nutrono i nostri piccoli, perché possano sbocciare al sole della vita con ritrovata energia. Per questo la morte, è la metafora di un sonno ristoratore e rigeneratore e, le foglie che cadono e le nuove gemme che sbocciano, sono le estreme condizioni che concorrono all’immortalità dell’anima.
E’ la gente che non teme la morte e ne comprende la sua necessità, a godere, di una felicità, unica e costante. Sono le persone felici a non avere paura della morte essendo la felicità, il prolungamento della consapevolezza. Oggi, il terrore della morte è il sentimento che più affligge le democrazie occidentali che, alla ricerca della verità e all’etica, hanno anteposto l’idolatria e il relativismo consumista.

Per tanto, il presupposto della felicità é la consapevolezza. L’uomo ragionevole consapevole, accetta la sua condizione umana ed estetica, considerandola unica ed irripetibile, e in nessun modo cerca di modificarla, contraffarla o manipolarla.
L’uomo felice, non procura disgusto e disprezzo ma stima e rispetto. L’uomo felice è silenzioso e appagato. Gode ogni attimo della sua vita come fosse l’ultimo, accettando la morte come il momento più eccitante della sua esistenza, certo che, il dopo, sarà uno sballo. L’infelice, diversamente, aspira all’immortalità e il livello del suo tormento cresce proporzionalmente alla sua capacità di rimanere in vita.
Questo tipo di uomo, è infelice per definizione. L’uomo felice è consapevole, qualità che gli deriva da un ardente bisogno e desiderio di libertà, senza la quale ogni felicità è illusione. Non svende la sua vita rincorrendo denaro e potere, ma cerca la misura della felicità. L’uomo felice onora la vita, l’infelice è un morto che respira. La morte, è la sola ed unica versione della macchina del tempo che è in grado di riportarci all’origine di tutte le cose, per poi dare inizio ad un nuovo ed infinito viaggio verso la consapevolezza. Ciò che é’ineluttabile, rientra nella sfera del divino; così la morte, alla quale é dovuto grande rispetto. Il primo fondamento della libertà, è il potere decidere della propria vita e della morte. Diversamente, la libertà è illusione.
Fra i vari diritti dell’uomo uno, in particolare, è sempre più disatteso: é il diritto alla morte e chi impedisce questo diritto, è un assassino.
Non esiste, per tanto, nulla di più logico della morte e più irrazionale della paura di morire. La vita e la morte sono le due facce di una stessa moneta, ma la vita, è ciò che rappresenta il suo valore. Nel regno dei morti, applicheremmo lo stesso concetto, ma in modo esattamente opposto. Tutto questo non relativizza la verità, anzi, la conferma, come dogma assoluto, essendo la stessa, il paradigma di due circostanze opposte, eccezionali ed estreme.
Senza l’aldilà, quindi, non saremmo di qua: come il giorno e la notte, il bene e il male. Un uomo muore, perché qualcosa lo ha abbandonato e per nessun altro motivo. Diversamente, non potrebbe morire, per la semplice ragione, che non sarebbe per niente diverso da un robot o da una macchina. Potremmo pugnalare il suo cuore con una lama intinta nel curaro, per mille, e mille volte ancora ma, se qualcosa non abbandona il suo corpo, per fare ritorno alla sorgente della vita (il nulla), sarebbe condannato all’immortalità. E qui, entriamo nel campo dell’assurdo. Nessuna terribile malattia potrebbe minare la sua esistenza, ne il rullo di uno schiaccia sassi, dilaniare i suoi organi; basterebbe ricomporlo. Se qualcosa, non lo abbandona, gli sarebbe negata la morte, ma anche la vita. Questo uomo, dunque, non esiste. Il Nulla, sommo architetto e creatore, nella sua infinita razionalità e logica, si perderebbe, dentro l’enigma.  Tutto questo, è così vero, che nessuno al mondo, di questi emeriti scienziati, sarà mai in grado di resuscitare un uomo morto.  E’ mai possibile che un uomo in carne ed ossa, possa vivere in eterno quando, l’Eterno, non è che il cadenzare armonioso della vita e della morte, dell’andata e del ritorno, dell’alba e del tramonto?
Ogni uomo ha una sua coscienza: cosciente o non cosciente che sia; ma questo, è irrilevante. Non l’ho è però il fatto, che sia lei, la sola entità immortale; lei che vaga fra la vita e la morte, fra sogni e realtà, fra l’aldilà e la speranza, la sola che ci pone la domanda di chi siamo e dove andiamo.
È proprio nella negazione di Dio che Dio esiste. Certo non è un Dio con barba bianca e aureola, comodamente seduto sopra una nuvola; ma questa, è un’altra storia. È il disegno primordiale che fa muovere i nostri pensieri, e ci fa decidere fra il giusto i l’iniquo. Ecco Dio! L’ equazione, sono uno scienziato e quindi sono ateo, mi fa sorridere, ma il più delle volte è così. Questo perché, oggi, è proprio nella scienza della profanazione, e nell’arida manipolazione, che si concentra la percentuale più alta di ignoranza. Per non parlare della totale assenza dei principi etici. La scienza non è la risultante dell’intelligenza, ma la sua contraffazione: una sorta di furbizia mentale applicata ad un pericoloso retaggio adolescenziale.
Si può obiettare, non essere d’accordo con alcune religioni, come ad esempio quella cattolica, ma negare l’esistenza di Dio, solo Dio lo può fare. Certo, se diamo uno sguardo al mondo che ci circonda, è difficile poter credere in Dio, ma più facilmente al Diavolo.
Il relativismo liberista, ha confinato gli individui, del mondo occidentale, in una sorta di torre di Babele, dove tutto è il contrario di tutto e, la contrapposizione fra ciò che é male e ciò che é bene, ridotta a stucchevole e retorica controversia.
La vera morte è quella dello spirito e, tutto ciò che resta, non è che tortura, vuoto, paura e schiavitù.
“ Vorreste conoscere il mistero della morte!. Ma come scoprirlo, se non cercandolo nel cuore della vita? Giacché, la vita e la morte, sono una cosa sola, così come il fiume e il mare. In fondo alle vostre speranze e ai vostri desideri sta la muta conoscenza di ciò che è oltre la vita; e, come il seme che sogna sepolto dalla neve, il vostro cuore sogna la primavera. Fidatevi dei sogni, perché in loro si cela la porta dell’eterno. La paura della morte, non è che il tremito del suddito quando la mano del re gli si posa in fronte in segno d’onore. Nel suo brivido, il suddito non è forse felice perché si onorerà di quel segno regale? Non è tuttavia più preso dal suo tremore?  Poi che cos’è morire, se non stare nudi nel vento e disciogliersi nel sole? E dare l’ultimo respiro, che cos’è se non liberarlo dal suo flusso inquieto, affinché possa involarsi finalmente e spaziare disancorato alla ricerca di Dio? Solo se bevete al fiume del silenzio, voi canterete veramente. E quando avrete raggiunto la vetta del monte, allora comincerete a salire. E quando la terra chiederà le vostre ossa, allora danzerete veramente.”   Gibran
I nuovi baroni dell’ultra liberismo al potere, legati a doppio nodo con le alte gerarchie ecclesiastiche, hanno fatto della menzogna, del servilismo, illegalità, apostasia e populismo, il loro stile di vita.
Sono i cattolici divorziati e xenofobi, imprenditori senza scrupoli e prelati pedofili.
Sono gli stessi poi, che demonizzano la morte e sbandierano il diritto alla vita, macabro vessillo teso ad esorcizzare la paura di una esistenza vuota e priva di alcun contenuto che, nella promessa di immortalità, elude ogni più remoto barlume di consapevolezza, di volontà e di verità. Sono quelli che in forma di proseliti promettono la vita eterna fra le braccia del creatore ed esaltano la sofferenza catartica di questa miserabile vita terrena e della sua provvisorietà – sono i ricchi gerarchi del clero pagano e idolatra che, nel sempre più rari interventi rubati all’ozio e ad una vanità femminea, gridano a gran voce “beati gli ultimi, che loro sarà il regno dei cieli”. Sono quelli che esaltano il primato dello spirito, per poi accanirsi su corpi inermi (cavie umane) con le macchine assemblate da Satana, e prolungare così all’infinito una tortura lacerante in un esaltato accanimento, sperimentale, degno del più spietato aguzzino nazista. Sono quelli che non accettano la sconfitta di una scienza effimera e miope, che ha anteposto il profitto e il potere, al buon senso, alla carità cristiana e al principio etico. Sono loro le anime infernali di questo secolo, loro, terrorizzate dal più ineludibile atto di giustizia: la morte.
L’elemento principe, fondamentale, per intraprendere il cammino verso la felicità, è l’aria che respiriamo. Senza questo presupposto (fattore x), ogni possibile vera gioia, ci è preclusa. Dobbiamo inoltre comprendere che, allegria e isteria, non hanno nulla a che vedere con la felicità, ma sono la sua morte. La felicità, quella autentica, è una costante, che prescinde dagli stati d’animo, da sbalzi d’umore e dagli eventi, essendo la stessa legata alla consapevolezza e alla comprensione logica della necessità della morte.
Il fattore ambientale e la qualità delle cose, sono il naturale terreno di cultura della felicità, perché, intrinsecamente, ne possiedono le soluzioni ideali e quel processo alchemico di natura magica, in grado di produrre le condizioni, favorevoli alla sua crescita. La contemplazione e la meditazione, diversamente da come molti credono o immaginano, non concorrono alla felicità, ma sono la sua espressione ultima. La felicità è azione, movimento e passione. La felicità non dorme mai, non riposa, non si appisola, non ha paura e non rimanda a domani, ma è pragmatica, disincantata ed eroica. Non vive il suo tempo ma il tempo infinito. Ama e comprende ogni cosa che sia di questo mondo, senza possederla e custodirla. La felicità vive il presente; dimentica il passato e non lancia lenze nel futuro – pesca fra le acque fresche immacolate della sua ragione, per aprirsi nuda, ai tiepidi raggi, del mistero svelato. La felicità è l’atto di umiltà dell’uomo ragionevole. Un uomo che, ai beni effimeri della ricchezza, al potere e al torpore narcotizzante dell’ozio, predilige piccoli sassi di fiume, levigati dall’acqua, per proteggerli  poi come figli.
La felicità è tenerezza, innocenza, bellezza e ironia.  E’ lo stupore negli occhi dei bambini, la purezza dei loro sogni e la libertà dei loro pensieri. La felicità si addormenta sulla tua anima, e confonde il suo respiro con il battito del tuo cuore. Come la fede è un bisogno ineludibile e come l’amore ci parla di Dio.
La differenza che esiste fra chi crede in Dio da chi non crede, è nulla.
Sono due diverse “interpretazioni” (visioni) che, nella sostanza, negano entrambi la sua esistenza. Dio non è un ragionamento razionale, ne la supina accettazione del mistero indotta dalla paura del dopo, ma un’estasi. E’ la contemplazione disincantata e libera di una realtà che trascende da ogni pregiudizio e preconcetto, dottrina o superstizione e si manifesta in tutta la sua grandezza e bellezza quando il cuore vola oltre le parole, per aprirsi alla maestà dell’infinito.
Siamo sommersi a tal punto dall’evidenza di Dio da non accorgersi della sua incombente presenza.
Come l’aria che respiriamo e che non vediamo, così Dio esiste. E’ l’ultimo aborigeno dell’emisfero australe, chiuso al buio della sua caverna, e invisibile agli occhi del mondo. Ma quest’uomo, esiste.
Dio è scoperta e ricerca. E’ quella passione sfrenata che conduce alla misura di ogni cosa, dentro un equilibrio appagante, edificante e rigenerante. Non nutre speranze, ma da certezze. Dio è pura conoscenza. Un bisogno supremo di devozione e pacificazione spirituale che ci scuote dal torpore delle nostre miserie.  Dio è attenzione, concentrazione, impegno e prescinde da ogni considerazione soggettiva, prova logica e traduzione empirica. Dio non è intelligenza divinatoria, ma sobrietà – non è numero o parola, ma afflato.
Negare la sua esistenza, corrisponde a non riconoscere la vita dalla morte e cancellare quel confine imperituro (assunto, all’origine, a parametro assoluto di riferimento), che si frappone fra il bene al male, il vero e il falso, la luce e il buio.
Il credere e il non credere, sono le due facce di una stessa moneta coniata dalla Sua stessa mano. Provare sentimenti di giustizia, di solidarietà e fratellanza, sono alcuni degli effetti straordinari della sua imperturbabile presenza.
Così, chi nega, si pone a supremo giudice e attore del proprio destino, mortificando le ragioni del suo stesso esistere. All’opposto, chi crede, rinuncia alla verità, piegandosi all’ombra di un mistero che, per quanto mi riguarda, è palese.
Chi mai può separare la sua fede dai suoi atti, e il suo credo dal suo lavoro? “Chi porta la sua moralità come l’abito più bello, meglio sarebbe se se ne andasse nudo”. Gibran
Dio, non è, ogni azione e ogni considerazione ma, come la sorpresa e lo stupore, il dolore e la gioia, il desiderio e l’amore, Dio è – rendendo così, vana, qualsiasi disputa, antagonismo e contrapposizione.
In Dio si può credere e di Lui dubitare, ma la fede spera e il dubbio consuma.
La visione atea, che potrebbe essere interpretata come un atto di sconfinata presunzione è, (diversamente da quanto si pensi), l’estrema ratio, indotta dalla paura del dopo. Un lacerante e disperato bisogno, di dare un nome (porre un marchio), con un atto esplicito e definitivo, a una tale condizione, per dissipare ogni dubbio, riflessione e destabilizzante introspezione, e sottraendosi da ogni responsabilità critica.
E se per astratto, avessimo la matematica e assoluta certezza, della relatività di una vita fine a se stessa, per quale singolare motivo, dovremmo educare i nostri figli, ho inculcare loro il senso di giustizia, scale di valori e principi etici? E poi, che ne sarebbe, degli ideali, delle regole civili e del domani? Solo caos e follia suicida.
Le nostre moderne società relativiste senza futuro, vanno in questa direzione.

In verità, tutti noi, nel profondo del nostro cuore, siamo consapevoli di una nuova dimensione oltre la vita.
I più recalcitranti materialisti che, proprio in virtù del loro atteggiamento mentale, cercano di esorcizzare la paura del dopo, sono i più sinceri, coraggiosi e fedeli sostenitori dell’eternità.
Negare Dio, è affermarne l’esistenza. Proprio in virtù di questo contrasto logico, Dio esiste.
“E se volete conoscere Dio, non siate solvitori di enigmi. Piuttosto guardatevi intorno e lo vedrete giocare con i vostri bambini.” – Gibran
Non esiste nulla al mondo di più terapeutico, contro la paura, di una profonda consapevolezza sulla necessità della morte. Se non ne comprendiamo a fondo il suo significato più alto, ogni vera felicità ci é preclusa. Alcune religioni, ancora oggi, immuni dal cancro del liberismo, relativista, conservano intatta la loro natura trascendente, adducendo nella vita, il significato di espiazione catartica e, nella morte, la liberazione da ogni conflitto, per poi ascendere, per diritto divino, verso i prati celesti della libertà cosciente e dell’eterno appagamento. Ogni nostro disagio esistenziale, innescato da quella che, per un eufemismo, abbiamo definito, la modernità, fanno tutti capo e, per vie diverse, alla paura della morte. E’ singolare vedere, come, nel mondo occidentale (dove il disagio psicologico e neurologico a raggiunto soglie di dolore quasi insopportabili e paralizzanti), la paura del dopo, sia vissuta come un costante tormento e stillicidio. Una spada di Damocle che destabilizza e condiziona le nostre scelte quotidiane, i rapporti con gli altri e, si accanisce su quell’equilibrio spirituale che è alla base di ogni autentica felicità.
I sorrisi smaglianti e commoventi di bambini senza pane e senza acqua e, di altri, affetti dalle più diverse patologie da denutrizione e di natura igienico-sanitarie, sono il prodotto miracoloso di una filosofia dell’anima, applicata al quotidiano dove, la convinzione naturale e logica, di un altro mondo, giusto e ricco di promesse, edulcora e sdrammatizza ogni avversità terrena, fino ad accettarla come necessaria. Questo perché, la loro condizione (qualunque sia), non prescinde mai dalla Fede essendo, l’una, complementare all’altra. La fusione di due metalli, in una lega inossidabile e indissolubile, impermeabile ad ogni paura e debolezza. Noi occidentali, diversamente, oberati da comodità invalidanti e concentrati a tempo pieno, sui modelli di un’esteriorità effimera e voluttuaria, abbiamo tradito i presupposti stessi dell’esistenza, snaturando la nostra funzione primaria di servi del mistero, per precipitare dentro il buio della nostra stupidità. La paura della morte, è il prezzo della nostra codardia. Se non siamo in grado di recuperare (e non lo siamo) tutte quelle scale di valori e di principi etici, che abbiamo mercificato in cambio di vizio, perversione, indolenza e vanità, la Grande Paura avvolgerà per sempre i nostri cuori e, in nessuna altra dimensione, troveremo conforto ai morsi della nostra disubbidienza.
L’individuo, spiritualmente in armonia, con le ragioni della vita, accetta la morte come un atto dovuto, supremo gesto di giustizia, paradigma di vittoria, che ci libera da quell’involucro di materia, bio-degradabile, deputato a alla purificazione della coscienza, per mondarci da ogni paura e renderci, così, degni, di entrare in contatto con il sovrannaturale. La paura, coincide con la perdita della speranza e con l’impossibilità di intravedere un futuro.
Atei, credenti e agnostici, non sono che le sigle a marchio di una paura più profonda, causa di infelicità e rancore. In verità, l’uomo di questo secolo, non é che un idolatra da quarto soldi, in perpetua adorazione di un mondo che ha mitizzato vergogne, menzogne e infamia.
Come possiamo, non credere in un’altra dimensione, quando l’alternativa é il nulla?
La paura dell’uomo moderno in quanto, elemento improprio di un habitat in cui non si riconosce, unita alla paura sociale, relativa alla perdita del lavoro, della dignità e dell’impossibilità di provvedere con continuità a tutto ciò che il suo status gli impone, lo costringe alla rinuncia di ogni individualità, dentro un appiattimento di comportamenti e pensieri condivisi per assuefazione, emulazione, deresponsabilizzazione e, come male minore.
Questa eccezionale forma di omologazione, dettata dalla paura, costringe gli individui ad adeguarsi ad una sottocultura dominante, inattiva e monolitica, senza potersi concedere slanci personalistici verso l’esterno, castrando ogni impulso liberatorio e rivoluzionario. Disperazione e solitudine regnano sovrane nella loro anima e, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, aspirano all’immortalità.
La paura di essere additato come “diverso” li fa precipitare in uno stato di angoscia persistente che, solo un rientro nell’omologazione, può attenuare. Questo è lo spaccato delle nostre moderne società liberiste, che per tale motivo, non sono in grado di aspirazioni, personalizzazioni e di rivoluzioni.
Il percorso che ci conduce alla felicità, è immacolato e ininterrotto, come l’acqua del fiume che, dalla sorgente, scorre fluida e limpida, dentro l’alveo del suo destino, per poi sconfinare dentro l’immenso mare delle sue ragioni. Se un grosso masso, frapponendosi al regolare scorrere dell’acqua, ne interrompe il suo corso, il fiume esonderà, allagando e sommergendo ogni forma di vita circostante. Così, la paura della morte, interviene nella nostra vita, come un grosso masso, che ci preclude ogni vera gioia e speranza.
La moderna tecnologia, ha trasformato la nostra quotidianità in un grottesco Luna Park delle illusioni. Un paese dei balocchi progettato da Satana in persona in funzione del quale si vorrebbe contrastare l’insopportabile paura della morte e l’incapacità di conciliare la nostra vita con l’incubo della realtà. La paura della morte è la paura della vita, e la gioia di vivere non corrisponde alla paura di morire.
“L’uomo libero è il solo a decidere della propria morte. In lui, è un bisogno ineludibile che, presto o tardi, dovrà soddisfare”
Gianni Tirelli

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