- ricordi di lucia Mezzasalma, sindacalista nel periodo delle lotte contadine ...
LASCIAMO LE FABBRICE E TORNIAMOCENE A CASA
“Meglio restarsene in casa ad intagliare un pezzo di
legno al caldo di un camino, mentre fuori la pioggia disseta il nostro orto e
alimenta il pozzo”
C’è un dato oggettivo e inoppugnabile che oggi ci
consegna una verità/realtà dai risvolti inquietanti, ma ancora invisibile alla
gran parte della gente. Questo perché, gli individui delle società occidentali,
sono avulsi da quella necessaria consapevolezza che di fatto li esonera da ogni
capacità di critica e di sapere interpretare il presente quando, in animo loro,
sperano ancora che qualcosa cambi e che le difficoltà del momento vengano
superate.
Ma di questi tempi, la speranza è il peggiore
investimento che si possa fare, se parallelamente non è affiancata da quell’azione
di forza e di slancio rivoluzionario di riconversione che restano in assoluto
le sole condizioni in grado di contrastare, almeno in parte, gli effetti
apocalittici del tracollo dell’Impero liberista.
E sto parlando del “Lavoro”, di qualsiasi lavoro che
dipenda da terzi e per il quale sacrifichiamo la gran parte della nostra vita
ogni santo giorno, e i cui costi materiali, morali e umani, hanno superato di
gran lunga i guadagni e i presunti vantaggi.
Oggi, lavorare è UN COSTO, che rientra nella voce,
“uscite”. IL LAVORO dunque NON PAGA PIU’! NON E’ CONVENIENTE, sotto ogni punto
di vista, che sia la salute, il benessere, il futuro o la felicità. Meglio
restarsene in casa ad intagliare un pezzo di legno al caldo di un camino,
mentre fuori la pioggia disseta il nostro orto e alimenta il pozzo.
Un uomo, costretto a lavorare otto ore ogni santo giorno
(che piova o tiri vento), per quarant’anni della sua vita dentro una fabbrica
malsana, caotica e assordante, per miserabili 1000 euro al mese, non solo è un
irresponsabile ma (senza il dubbio di essere smentito), uno psicopatico.
Questo, vale anche per le otto ore svendute di fronte ad un computer, o alla
guida di un Tir, o alla cassa di un supermercato. Questa non è la vita o
l’estrema condizione di sopravvivenza, ma stato vegetativo. Il tempo, e la
qualità della nostra esistenza, sono i beni più preziosi che abbiamo, e li
dobbiamo custodire gelosamente, e nessuno ce li può sottrarre; tanto meno ad un
prezzo così alto.
Che valore e senso avremo dato al nostro vivere e con
quale animo affronteremo la morte?
Quel processo di semplificazione che ha traghettato
l’uomo da un passato industrioso a un presente industriale, è miseramente
fallito: l’autonomia di un tempo, fonte di libertà e decoro, è degenerata in dipendenza
dal Sistema e, la salutare e appagante fatica dell’uomo contadino, in lavoro
meccanico, frustrante e senza dignità. Per tali motivi, l’individuo umano,
cosciente e responsabile di un tempo, si è involuto in umanoide robotizzato; un
automa che si attiene alle regole stereotipate di un libretto di istruzioni che
il Sistema gli consegna al momento della sua venuta al mondo. A un tale uomo è
negata la felicità.
Gli individui ben differenziati delle società contadine,
proprio in virtù della loro autonomia, disponevano di quel tempo libero
(indispensabile e necessario), che dava un senso alla loro esistenza ed era
motivo di socializzazione, tradizione, fantasia, pura introspezione e svago. La
variabilità del tempo, li costringeva per lunghi periodi, ad abbandonare la
fatica dei campi, potendo così concedersi lunghe pause di rigenerante riposo, e
in occupazioni manuali/artigianali, fonte di creatività, ispirazione e
consapevolezza. Oggi con la moderna cultura liberista, ogni più remoto barlume
di dignità, di felicità e di buon senso è stato per sempre cancellato. Che
valore e senso abbiamo dato al nostro vivere e con quale animo affronteremo in
seguito la morte?
L’uomo ragionevole, muore da uomo, perché la memoria
delle sue azioni, sia da conforto per tutti quelli che lo hanno amato. L’uomo
ragionevole cerca l’autonomia e la libertà, in una condizione d’autenticità, e
di qualità della vita. Diversamente, meglio sarebbe per lui, vivere di
espedienti e trovare ristoro, nel freddo di una baracca di lamiera e cartone, e
che fosse la carità, a soddisfare i suoi bisogni, e le notti stellate, i suoi
sogni.
L’uomo di quest’epoca insensata si deve ribellare, e
riappropriare dell’unica cosa che è capace di produrre miracoli, e in grado di
riesumare autentiche passioni e vere motivazioni: la Terra. La Terra, è il vero
potere! Il solo potere al quale possiamo serenamente sottometterci sapendo che,
domani, per noi sarà un altro giorno. Un giorno nuovo, pieno di aspettative e
di speranze, di sana fatica, sereno riposo e felicità.
Gianni Tirelli
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