martedì 26 giugno 2012

IL LIBERISMO: UNA DEGENERAZIONE DELL’ILLUMINISMO



IL LIBERISMO: UNA DEGENERAZIONE DELL’ILLUMINISMO....di G.Tirelli
La vostra anima è sovente un campo di battaglia, dove il giudizio e la ragione fanno guerra all’appetito e alla passione.
Potessi io conciliarvi, e mutare in voi rivalità in unione e discordia in armonia!
Ma come potrò farlo, se voi non siete i mediatori e gli amanti di ogni vostro elemento? La ragione e la passione sono il timone e la vela di quel navigante che è l’anima vostra. Se il timone e la vela si spezzano, sbandati, andrete alla deriva o resterete fermi in mezzo al mare. Poi che, se la ragione domina da sola, è una forza che imprigiona - e la passione, se incustodita, è una fiamma che brucia e si distrugge. Perciò la vostra anima esalti la ragione fino alla passione, affinché essa canti. E con la ragione diriga la passione, affinché questa viva in resurrezione quotidiana, e sorga come la fenice dalle ceneri.
Vorrei che l’appetito e il giudizio fossero per voi come due amici invitati a casa vostra. L’onore non andrebbe certo all’uno più che all’altro; giacché se hai più riguardi verso un ospite solo, perdi l’affetto e la fiducia di entrambi. Quando, sui colli, sedete all’ombrosa frescura dei pallidi pioppi, ed è vostra la pace serena e lontana dai campi e dei prati, allora vi sussurri il cuore: ”Nella ragione riposa Dio”. E quando scoppia la tempesta e il vento titano scuote la foresta, e lampi e tuoni annunciano la maestà del cielo, allora dite nel cuore con venerata paura: “Nella passione si muove Dio”.
Così, essendo un alito nella sfera di Dio e nella sua foresta una foglia, la ragione sarà il vostro riposo e la passione il vostro moto.
Da “Il Profeta” di Gibran Kahlil Gibran
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Sull’onda dell’entusiasmo e di una novità fatta di promesse, aspettative e speranze, per una qualità di vita migliore e più felice, è stata definito, rivoluzionario, quel processo di industrializzazione che, nel solo arco di un secolo, ha sbaragliato dal campo le società contadine per imporsi come parametro assoluto di riferimento.
Ma le rivoluzioni, sono portatrici di fratellanza, uguaglianza e libertà (sinonimi di felicità), in netta antitesi con quella “industriale”, equivalente di, omologazione, licenza, schiavitù e catastrofe ambientale.
Tutte le promesse e le speranze, sbandierate in questo secolo, sono state disattese e umiliate. L’autonomia di un tempo, presupposto di libertà, dignità e decoro, è degenerata in dipendenza dal Sistema e, la salutare e appagante fatica dell’uomo contadino, in lavoro meccanico, frustrante e senza dignità. Per tali motivi, l’individuo umano del passato, cosciente e responsabile, si è involuto in umanoide robotizzato; un automa che si attiene rigidamente alle regole stereotipate di un libretto di istruzioni che il Sistema gli consegna al momento della sua venuta al mondo. A un tale uomo è negata la felicità.
L’illuminismo, nonostante la relativa fede e i nobili presupposti dei suoi fautori, ha dato inizio a quel processo di omologazione che, nel tempo, ha prodotto quello che oggi è il liberismo consumista relativista delle società occidentali.
Nella vita di ogni giorno, da sempre, esiste una componente dominante in grado di ribaltare e mortificare ogni supposta logica, ragione e preventiva conclusione, in virtù delle quali crediamo di controllare ogni cosa ed evento.
Sto parlando del “Caso” che, a mio giudizio, esula da ogni comprensione umana per attestarsi nella sfera del divino in virtù della sua imperscrutabile volontà. Non c’è dubbio che un uso corretto della ragione, migliori l’esistenza umana, ma in nessun caso, può essere strumento di proselitismo etico, politico, religioso e culturale.
Definire l’illuminismo, un movimento filosofico, sarebbe una forzatura in quanto, il pensiero che lo ha prodotto (generato), è viziato da fattori tecnici e tecnicismi, intrinseci alla Rivoluzione Industriale. Le grandi filosofie fondano l’autenticità del loro pensiero, proprio perché sganciate e liberate dai condizionamenti, luoghi comuni e dogmi, endemici alla realtà presente, e ancor più se la loro natura è di tipo scientifico e meccanico.
Il concetto cardine dell’Illuminismo è l’affermazione dell’autonomia della ragione, da ogni autorità esterna ad essa. In pratica, secondo l’illuminismo, l’uomo deve imparare a ragionare con la propria testa e a ritenere valide solo quelle verità che egli riesce ad appurare grazie alla ragione, indipendentemente da ciò che afferma la religione, l’autorità, la politica o la tradizione. In altre parole, sono ritenuti veritieri, solo quei fenomeni che possono essere dimostrati, attraverso la ragione, i sensi e un costrutto logico. Niente di più errato! Un tale ragionamento, per la sua natura utopica avventuristica, può trovare corrispondenze nel singolo o in un gruppo di eccentrici intellettuali dai nobili ideali ma, in nessun modo, trovare applicazione in un contesto di massa. Tanto più in quel preciso momento storico dove, i canti suadenti delle seducenti sirene della neo-modernità, inebriavano di aspettative un’avventura che stava cambiando radicalmente la storia dell’umanità, ma per il peggio.
Prendere poi a misura delle proprie supposte convinzioni, gli umori e i pruriti della metropoli (colta, vanesia e intellettuale), come parametro di riferimento e piattaforma di lancio verso il futuro, è stato, nella storia dell’uomo, il grande errore originale e per questo, imperdonabile. Escludere da tali intendimenti e dal processo di sviluppo tutto il resto del mondo, delegando a una minoranza le sorti del pianeta, ha prodotto quel disastro globale (umano, di valori, culturale e ambientale) che caratterizza le moderne società liberiste e consumiste di oggi. La modernità, metastasi della Rivoluzione Industriale, ha separato e codificato, il passato, il presente e il futuro, in tre entità assestanti svincolate da ogni interazione e comuni finalità. Nel mondo contadino di un tempo, al contrario, queste tre entità erano fuse fra loro dentro un’unica realtà, sostanzialmente immutabile e, la proiezione del futuro era scandita dal raccolto delle messi, mentre il presente, dalla semina.
Il passato, relativamente simile al presente, si esprimeva nelle commemorazioni dei propri defunti, nel ricordo, nella tradizione e nelle ricorrenze. Altro che separasse fra loro in modo netto e autonomo queste tre condizioni temporali, non esisteva. Era il disegno logico e perfetto di un eterno presente.
Nelle città industriose e industriali europee, questo meccanismo imperituro cominciava a venir meno, per aprirsi alle nuove teorie dell’illuminismo, e a una radicale svalutazione della realtà, postulata dal movimento nichilista russo. La Rivoluzione Industriale dunque, segna lo spartiacque fra due mondi, opposti e contrapposti, lontani da ogni confronto e parallelismo. Così, è improprio parlare di una storia del mondo e dell’umanità, ma bensì, di due storie, di due mondi e di due umanità. Una che ha origine nella notte dei tempi e termina il suo viaggio agli albori della Rivoluzione Industriale - la seconda, generata dagli umori mefistofelici del neo industrialesimo rampante e schizofrenico che, in pochi decenni, ha fatto piazza pulita di ogni ragione, passione, tradizione e conoscenza, confinando la verità in una dimensione relativa.
Le teorie illuministe, sono state il terreno di coltura dell’odierno liberismo che nella contraffazione della realtà e nella mistificazione della verità (assunte a pratiche relazionali) incarnano il germe malefico dell’ossimoro al potere, riducendo la verità, ad un inquietante esercizio di relativismo.
I modelli teorici dell’illuminismo, guardavano al passato, come ad un cumulo di errori, responsabile di avere prodotto una società barbara ed arretrata. Gli illuministi, si immaginano proiettati verso il futuro – un futuro di luce e di progresso. Per garantire una tale innovazione e dare forma alle moderne teorie era però necessario liberare l’umanità dalla pesante “schiavitù culturale” (e spesso anche “materiale”) ereditata dal passato.
L’avere demonizzato il passato, mortificandolo nella sua sostanza, sull’onda delle proiezioni futuribili indotte dalle nuove scoperte scientifiche che promettevano, giustizia, felicità e libertà per tutti, è il falso storico del pensiero illuminista.
L’obiettivo dell’illuminismo era di porre alla base della morale e della politica, la ragione umana atemporale. Credere di rinnovare la società, spiegando alle masse che la povertà e la sopraffazione erano dovute all’ignoranza e alla superstizione, è stato un grande errore di ingenuità e di presunzione, relativo ad una scarsa comprensione di quel disegno sovrannaturale che, proprio in virtù del valore imprescindibile e imperituro della diversità, suggella la sua ragione d’essere.
A più diversità corrisponde più libertà! E questo è un principio indiscutibile!
L’illuminismo, nonostante la relativa fede e i nobili presupposti dei suoi fautori, ha dato inizio a quel processo di omologazione che, nel tempo, ha prodotto quello che oggi è il liberismo consumista relativista, delle società occidentali.
Voltaire sostiene che, “esiste un Dio ma i dogmi religiosi, e le raffigurazioni della sua immagine, sono invenzioni umane”. Diversamente da Voltaire, trovo, questa tesi, alquanto riduttiva e poco avveduta, ritenendo le suddette “invenzioni”, la rappresentazione iconografica del divino e della divinità; un’espressione artistica di natura spirituale, in forma di dono votivo e commemorativo che, da sempre, ha caratterizzato l’individuo, le comunità e le grandi civiltà del passato, come momento di aggregazione, comunione e tradizione della storia del mondo. Dio esiste, in quanto baluardo di speranza e di auspicio e, per tanto, non può accampare alcun diritto all’interno della sfera del razionalismo e della ragione illuminata – salvo l’eccezione di volere interpretare la natura e le sue leggi, come la sua espressione ultima e la più evidente.
Se gli uomini, in nome della religione, si perseguitano e si uccidono, (continua Voltaire), questo succede per la loro ignoranza e stupidità. L’illuminismo, in realtà, è stato un inedito movimento politico, tendenzialmente ateo e materialista che, per una semplificazione, ha coniugato (anticipandoli in forma profetica), il pensiero marxista con l’odierno liberismo, dentro un sussulto anarcoide. Tale alchimia, prodotta dalla convergenza di principi e fattori inconciliabili fra loro, ha prodotto un sincretismo gelatinoso che, nell’arco di due secoli, è mutato in perverso relativismo, trasfigurando la licenza in libertà, la furbizia in intelligenza e la menzogna in regola relazionale.
Dio, in quanto puro spirito (entità trascendente, concetto astratto) non era considerato dagli illuministi una verità assoluta, così come non godevano di molta fortuna gli altri misteri delle fedi e delle religioni. La maggior parte degli illuministi, infatti, era convinta che l’universo funzionasse, non grazie all’intervento divino, ma in virtù di un preciso meccanismo di autoregolamentazione: il ciclo perenne della natura: nascita, crescita, morte e trasformazione della materia.
Promuovere, imporre e volere “globalizzare” i lumi della ragione (pur apprezzandone le buone intenzioni), è un esercizio di illusionismo che non tiene in nessun conto le imprescindibili esigenze individuali e gli equilibri sincroni e vitali dell’esistenza essendo, la stessa ragione, per definizione, soggetta e relativa alla consapevolezza, alla capacità di discernimento, alla forza di volontà, a fattori culturali, religiosi, geografici e, più in breve, al libero arbitrio. Quando la ragione diventa razionalità e logica, e le parole che presumono spiegarla, i numeri infiniti di un’equazione algebrica, il risultato finale sarà un materialismo omologante e un appiattimento culturale verso il basso, scevro da ogni individualismo, personalismo, giudizio critico e sentimento di passione.
Per non dare adito a fraintendimenti (vista la delicatezza dell’argomento trattato e il rischio di diversa interpretazione), il mio giudizio critico sulle teorie illuministe non entra nel merito del suo ambizioso quanto utopico programma, ma sugli effetti postumi che, il processo industriale e in seguito, tecnologico, hanno prodotto. Per brevità, se il mitico Voltaire potesse “buttare un’occhiata” sulla realtà odierna, si rivolterebbe nella tomba.
“Si può dunque affermare che la tolleranza della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana. Come si è potuta esercitare tale repressione? Attraverso due rivoluzioni, interne all’organizzazione borghese: la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del sistema di informazione…” Pasolini – Scritti Corsari 1975 –
Avere previsto o più semplicemente immaginato un mondo alla mercé dei mezzi di comunicazione e mediatici, e future società che sul consumo sistematico di beni voluttuari accreditavano la loro sopravvivenza, sarebbe stato troppo anche per Voltaire e illuminati seguaci.
“Gli italiani, continua Pasolini, hanno accettato con entusiasmo questo nuovo modello che la televisione impone loro secondo le norme della Produzione creatrice di benessere (o, meglio, di salvezza dalla miseria). Lo hanno accettato: ma sono davvero in grado di realizzarlo? No! O lo realizzano materialmente, diventandone la caricatura, o non riescono a realizzarlo che, in misura così minima, da diventare vittime. Frustrazione o addirittura ansia nevrotica, sono ormai stati d’animo collettivi.
La responsabilità della televisione, in tutto questo, è enorme. Non certo in quanto mezzo tecnico, ma in quanto strumento del potere e potere essa stessa. Essa non è soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un certo elaboratore di messaggi. È il luogo dove si fa concreta una mentalità che altrimenti non si saprebbe dove collocare. È attraverso lo spirito della televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo potere. Non c’è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo – un virus letale e globale.  Il fascismo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto la televisione), non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre….”
Quel processo di semplificazione “ragionato” che ha traghettato l’uomo da un passato industrioso a un presente industriale, è dunque miseramente fallito.
 GIANNI TIRELLI

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