lunedì 30 luglio 2012

Grimaldismo, malattia senile del campismo


Ominicchi
Mi sono già occupato troppo di un ominicchio, tra il poveretto e il nauseabondo, che ha fallito tutti i suoi tentativi di fare il galletto in un qualsiasi pollaio (a partire dalla trotzkisteria della buonanima del pazzariello erudito Livio Maitan e a finire con un Forum Palestina che, alla sua ennesima sviolinata a Nato e petrodittatori del Golfo sulla Siria, lo ha mandato dove deve stare). Ora bercia parole d’ordine alla Hillary e lancia bombette puzzolenti, con prosa trasparentemente squadrista, su coloro che smascherano le balle siriane dei carnefici imperialreazionari. Li imbratta di rossobrunismo, lui peggio addirittura di costoro, che diffonde il disco delle “verità” dei monarchi del Golfo e dei necrofori occidentali. Riporto brani indicativi di una sua ennesima intemerata contro di me, ma la risposta la affido a una persona che, da una vita di lotta per la pace nella giustizia ha, più di me, acquisito il diritto e il prestigio d
i rispondere ai latrati dei botoli di servizio. Ma avete visto quanti para-trotzkoidi finiscono così? La conventicola di Bush ne era piena. E pure in Italia, pensate alla Sinistra Critica o al PCL… Eccovi il libello. 

Grimaldismo, malattia senile del campismo

(16 Luglio 2012)
Il drammatico aggravamento della situazione 
siriana, congiuntamente all’instabilità e alle
 contraddizioni attuali degli esiti delle rivoluzioni
 della “primavera araba”, ha come effetto il 
riecheggiare sempre più insistente e sempre
 più molesto di posizioni di quei settori della 
sinistra che nell’attuale scontro dell’UE e
 degli USA con la Siria si sono schierati senza
 indugio e acriticamente dalla parte di Assad,
 considerandolo guida illuminata ed amica del
 «penultimo paese sovrano e antimperialista del
 mondo arabo». Sono gli stessi settori che già
 un anno fa, allo scoppio delle tumultuose
 sollevazioni maghrebine, mettevano in guardia
 da pretese “cospirazioni”, da “manovre 
preordinate” e da “burattini” delle
 intelligences occidentali, e che oggi sembrano 
compiacersi dello sbocco insoddisfacente
 (Egitto) che stanno trovando le rivoluzioni arabe. 
Particolarmente affezionato al suo ruolo di 
ambasciatore e flabelliere dei despoti d’ogni
 risma (purché non siano simpatici agli
 americani) è ormai da tempo Fulvio Grimaldi, 
l’eroico freelance sempre in mimetica e sempre
 in trincea. E sempre embedded, 
appunto. Nelle sue incessanti e furiose 
paturnie causategli dai «saputelli, zerbini 
dell’informazione imperial-colonialista, di ogni 
sinistra» (cioè praticamente tutti, tranne 
Grimaldi in persona), non pochi strali 
vengono riservati a quelli che egli definisce
 «decerebrati», «cretini totali», «tossico 
sciame dei tafani trotzkisti» (da notare il 
linguaggio schiettamente e classicamente 
stalinista, in perfetto stile anni Trenta): il PCL,
 insomma, reo di rivendicare addirittura,
 a proposito della Siria (così come, a suo 
tempo, della Libia) nientemeno che la più 
irriducibile opposizione di classe al governo 
di quel Paese, fino alla cacciata di Assad, e,
 CONSEGUENTEMENTE e contestualmente,
 il sostegno più assoluto alla resistenza
 all’ingerenza imperialistica, diretta o indiretta. 
Il succo della posizione di Grimaldi è questo: 
1) Assad ha ragione e la sua “difesa” è 
pienamente legittima. 2) L’opposizione 
siriana non esiste. Ciò che viene chiamato
 opposizione è in realtà un irrilevante 
canagliume indistinto di pericolosi qaedisti, 
wahabiti e predoni assortiti che vogliono
 impossessarsi della Siria e farne un regime
 teocratico. E in questo obbiettivo sono
 appoggiati e diretti da… USA, Europa ed
 Israele! 3) Chi, in Italia, solidarizza con 
l’opposizione siriana e vuole la destituzione di 
Assad è nel migliore dei casi un ingenuo 
credulone che, in balia delle centrali della
 disinformazione imperialista, nulla sa e nulla 
ha capito; nel peggiore, un odioso complice
 dell’attacco congiunto imperialista-qaedista 
all’”umanista” (secondo Chavez) Assad. In 
ogni caso, un classico “utile idiota”, che 
consapevolmente o inconsapevolmente sta dalla 
parte degli imperialisti.
Deve sembrare quindi, a Grimaldi, una ben
 strana pretesa quella di rivendicare una 
rivoluzione anticapitalista e un governo dei 
lavoratori in Siria, e allo stesso tempo una difesa
 della Siria dalla morsa strangolatoria del capitale
 internazionale.
Grimaldi, come tutti i non comunisti, non
 ragiona in termini di classe. Non accetta
 il principio dell’autonomia politica ed 
organizzativa del proletariato, nazionale ed 
internazionale. Come tutti i non comunisti, non 
riesce a vedere la centralità strategica di un 
fronte proletario che, nell’impugnare la bandiera
 della PROPRIA lotta antimperialista, pone le 
basi per una PROPRIA lotta sociale “interna”, 
contro il “suo” capitale. Come tutti i non 
comunisti, non riesce a considerare il conflitto
 antimperialista come parte integrante
 e continuazione del conflitto anticapitalista.
 Per
 Grimaldi, come per tutti i non comunisti,
 l’imperialismo perde qualsiasi contenuto e 
connotazione di carattere storico ed 
economico, per divenire nient’altro che un
 combattimento fra una parte e l’altra. 
Fra buoni e cattivi. La macchiettistica 
interpretazione che ne deriva è propria di un
 fumetto di supereroi, più che di una lettura
 marxista della realtà.
Questo punto di vista è coincidente con quello
 del “campismo”, posizione secondo cui la 
collocazione e l’atteggiamento proprio del 
proletariato dev’essere quello di supporto ad 
un “campo” statuale antimperialista (che si 
contrappone al campo statuale imperialista) 
attraverso blocchi politici con le borghesie o
 con le burocrazie post-staliniste dei propri 
rispettivi stati. Questa posizione, logicamente
 conseguente alla teoria staliniana del
 “socialismo in un Paese solo”, ha suggellato,
 a partire almeno dagli anni Trenta-Quaranta
 del secolo scorso, la fine della tradizione 
internazionalista del marxismo, ripudiata da
 Stalin e dai partiti comunisti stalinizzati nella
 loro demolizione controrivoluzionaria teorica 
e programmatica della III Internazionale di 
Lenin.
Nell’ottica campista successiva, il rifiuto di
 analizzare non solo la natura sociale ma anche
 quella politica dei vari sistemi ai quali le lotte 
anticoloniali e in larga parte antimperialiste 
avevano dato luogo, portò a non riconoscere 
ciò che essi effettivamente furono e sono
 tuttora: regimi bonapartisti (a volte militari)
 piccolo-borghesi. Non solo. Il campismo
 stalinista condusse ad identificare quei regimi 
con Paesi socialisti (ancora oggi Grimaldi parla 
ridicolmente di «Jamahiriya socialista»!), e 
alla conseguente disastrosa subordinazione 
del proletariato alle varie borghesie e ceti 
dominanti nazionali e ai loro interessi.
Il copione campista è sempre lo stesso.
 Niente di nuovo, quindi, per quanto riguarda
 Libia e Siria. Ma Grimaldi va oltre. Non si tratta
 più, come nel caso della politica staliniana del
 secolo scorso, di appoggio e subordinazione ai
 governi nazionali borghesi aventi funzioni 
antimperialiste e ruoli progressivi all’interno 
dei rispettivi stati. Con la fine della Guerra
 Fredda e la scomparsa del potere di 
bilanciamento e di “garanzia” dell’URSS, 
quel contesto storico-politico che vedeva 
un’esposizione globale, diretta 
dell’imperialismo al “campo”, appunto, 
dell’”Impero del male” è stato soppiantato
 dalla presenza residuale, regressiva ed
 impotente dei vari orfani -più o meno 
"legittimi"- di Breznev. In assenza del “vecchio
 campo”, i campisti del XXI secolo si sono 
quindi in molti casi trovati al fianco di leaders 
che non solo non rappresentano (ormai da 
tempo) più niente di progressivo (checché ne
 dica il turiferario Grimaldi), ma i cui fattori di 
contrasto e di attrito con l’imperialismo si sono 
spesso gradualmente ridotti fino a svanire 
(riabilitazione occidentale del «creatore della 
libertà libica» Gheddafi, miglioramento dei
 rapporti tra dinastia siriana e USA a partire 
dalla prima guerra del Golfo, ecc.) 
Libia, Siria, ma anche - per quanto casi diversi 
- Cuba, Venezuela, Serbia, (Iran? Corea del
 Nord?) il mitico grimaldello di Grimaldi e dei 
campisti è sempre uguale: se l’imperialismo 
americano sta (cioè: sembra stare) da una
 parte, io sto ORGANICAMENTE dall’altra parte. 
Se poi, guardacaso, l’”altra parte” 
dovesse essere naturalmente, stabilmente e 
organicamente ben affollata e presidiata da 
burocrati, bonapartisti, fantocci, despoti, 
rottami ammuffiti del post-baathismo, 
nazionalisti, falangisti, sionisti, “bulangisti”, 
reazionari d’ogni fatta; questo, al nostro, 
non desta sorpresa né disturbo (salvo poi 
accusare il PCL di andare a braccetto con gli 
integralisti islamici siriani e libici). Sembra
 importargli molto, invece, che i suddetti
 compagni di ventura siano tutti accomunati
 dall’essere formidabili massacratori del 
proletariato, magari in nome e per conto del…
 proletariato!
La negazione accanita dei minimi e più 
evidenti elementi di realtà -metodologicamente,
 quanto di più staliniano possa esserci- porta 
Grimaldi ad escludere in partenza perfino la 
possibilità che le masse di alcuni paesi arabi
 possano improvvisamente insorgere contro i 
propri oppressori. Da questo punto di vista, si
 può dire che Grimaldi e soci siano stati 
spiazzati dalla potenza della “primavera araba” 
quanto e più dei benpesanti borghesi delle 
diplomazie occidentali. Vittime prime della
 propria frustrazione impotente, non riescono a 
farsi una ragione della testa dura dei fatti, come
 direbbe Lenin, che fanno piazza pulita di tutti i
 loro paradossi e incoerenze.
Ciò che non si spiega con la fallacia logica di un
 ragionamento, se così lo si può definire, 
fondato sulla paranoia (tratto distintivo dello
 stalinismo) può trovare giustificazione 
solamente nella più aurea malafede. Dire 
ad esempio che il PCL ha «sostenuto 
l’annientamento Nato-Al Qaida della libera 
Libia» vuol dire falsificare completamente e 
sistematicamente la posizione assunta dal PCL
 riguardo alla Libia e a tutte le rivoluzioni arabe. 
Dev’essere fatalmente l’ormai sempre più 
stretta e vergognosa contiguità, nella difesa
 di Assad e Gheddafi, con gli ambienti
cosiddetti rossobruni (ambienti nei confronti 
dei quali, va riconosciuto, Grimaldi conserva 
ancora qualche istintiva repulsione, ma che 
sarà forse presto addomesticata) uno degli
 effetti più catastrofici di un così 
formidabile daltonismo politico unito ad una così
 sorprendente disonestà intellettuale.
Grimaldi e i variegati gruppi dei campisti e dei 
complottisti non rappresentano, purtroppo, 
opinioni minoritarie e “ai margini” della sinistra
 che si vorrebbe di classe. Tutt’altro. Il loro
 approccio e le loro argomentazioni sono capaci
 di far breccia tanto più oggi, in presenza di un
 terreno politico in larghissima parte e da 
molti decenni bonificato dalla teoria 
marxista rivoluzionaria (“formulette astratte e 
autoreferenziali”, secondo Grimaldi). E’ per 
questo motivo che il presupposto principale 
di una VERA militanza antimperialista, e cioè
 marxista e rivoluzionaria, non può non 
essere la rottura con il campismo e con lo 
stalinismo. Anche per evitare di continuare a 
prendersela con il solo Grimaldi e di essere
 costretti a rispondergli, come Petrolini al
loggionista che lo importunava sguaiatamente:
 “Non ce l'ho con te, ma con quello di fianco a te 
che non ti butta di sotto”....Sergio Leone ( sez. PCL Roma 

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