venerdì 31 agosto 2012

DAL FRONTE SARDO


Perché non sto dalla parte dei minatori

Il nuraghe di Seruci
Cosa c’entrano i minatori con la lingua e la cultura
della Sardegna?
Leggetevi il magnfico intervento di Emiliano Deiana
su FB:
” L’anno scorso era l’anno del “siamo tutti pastori”.
La fine del 2012 si annuncia come l’anno del “siamo 
tutti minatori”. 
Basterebbe certificare che la condizione del mondo 
agro-pastorale 
è la medesima di sempre e, senza essere nè voler 
essere 
particolarmente profetici, la condizione dell’impresa 
mineraria sarà 
quella che si trascina da vent’anni per dire che non
 mi iscrivo a 
queste banalità.
Nonostante il Presidente e i ventriloqui locali del 
Quirinale.
Sono stati vent’anni nei quali un’intera classe politica,
 lo dico senza 
avere nessuna tendenza grillesca – di destra, di centro, 
di sinistra e
 sindacale – ha costruito le proprie fortune e i propri 
soggiorni nelle
 stanze del potere.
Il dato, prima ancora che le considerazioni sui 
minatori e sulle 
miniere, è questo.
Sulle disperazioni riconosciute e riconoscibili si sono
 costruite 
carriere inossidabili e posizioni inattaccabili all’interno
 di un
 complesso – ma anche facilissimo da ri-conoscere – 
sistema di 
sospensione democratica.
Perchè sapete, non è credibile che chi da venti e più 
anni fa analisi,
 gestisce situazioni, tratta coi governi nazionali e 
gestisce quelli 
regionali e locali non l’abbia saputo riconoscere l’assurdo
 che si 
è costruito in Sardegna in questi decenni.
Questa roba della Carbosulcis, a conoscerla, diventa il 
paradigma
 del sottosviluppo della Sardegna.
La semplifico di molto perchè in rete trovate dati, 
considerazioni 
e ricerche.
La Regione detiene il 100% della Carbosulcis. 
Dal 1996 ad oggi ha 
speso – abbiamo speso – circa 600 milioni di euro 
per mantenere 
in vita un’azienda che nel 2011 ha avuto una perdita 
di 25/26 
milioni di euro. La Regione aveva stanziato 35 milioni, 
dalla vendita 
del carbone se ne sono introitati 9 milioni soltanto.
Ma a chi si vende questo carbone? Alla centrale Enel 
di Portovesme 
che però funziona al 30% della propria capacità produttiva.
Ma il carbone prodotto a Nuraxi Figus ha caratteristiche 
così 
mirabolanti da essere preferito a tutti gli altri tipi di
 carbone? 
Affatto. Il carbone prodotto nel Sulcis ha un contenuto
 di zolfo 
di molto superiore alla media (6,5% rispetto alla media 
dello 0,5%). 
Cosa significa? Che il carbone sulcitano va miscelato 
con altri tipi 
di carbone per evitare fenomeni di autocombustione.
 Il carbone 
del Sulcis non solo è qualitativamente peggiore ma 
costa pure di più.
Basterebbe questo per definire l’avventura carbonifera 
regionale 
fallimentare e fa specie che la pubblica opinione – 
scarsamente
 informata da una stampa in servizio soporifero 
permanente – queste
 cose le ignori.
Basterebbe se non fossimo in Sardegna. Ma in Sardegna, 
siamo.
Ed allora, certificato questo fallimento, si vorrebbero 
investire 1,6 
miliardi di euro TREMILA-MILIARDI-DI-LIRE di soldi
 pubblici per 
realizzare – non si sa da chi nè come – una nuova 
tecnologia che 
consenta di utilizzare il carbone prodotto a Nuraxi 
Figus, Texas.
Se avessimo una classe politica degna di questo nome 
si direbbe: 
scusate, abbiamo sbagliato, ce ne stiamo andando a 
casa tutti, 
perdonateci se potete.
Chi fosse restato – ma siamo nell’ambito puro 
dell’irrealizzabilità – 
avrebbe avuto l’onere, dettato dall’onestà intellettuale, 
di dire che
 in sardegna carbone non se ne estrarrà mai più. 
Ed avrebbe l’onere,
 certo più esaltante, di immaginare e realizzare un 
futuro diverso 
per quei lavoratori.
Intervento pubblico per intervento pubblico preferirei - 
restando 
nel terreno minato dell’emergenza – che quei lavoratori 
e quei 35 
milioni di euro annui di soldi pubblici se ne andassero 
a pulire 
tutte le cunette della Sardegna.
Per fare un esempio molto banale.
O a piantare alberi o realizzare fasce antincendio 
e parafuoco. 
Almeno i risultati sarebbero pubblici.
Adesso, non è il momento della proposta, ma della 
conoscenza 
e della protesta.
Perchè dire queste semplici ragioni di verità significa 
davvero
Stare di fianco a quei minatori, ma non un affiancamento 
di maniera, 
alla Napolitano. Ma una vicinanza che serve la verità 
ed impone alla
 politica di immaginare e realizzare un diverso metodo 
di sviluppo.
Perchè sapete – a meno che non mi sia sfuggita la 
cosa – non è 
perchè estraiamo minerale sulcitano e lo bruciamo 
in Sardegna 
la nostra bolletta è più leggera e non, invece, il solito 
alasso 
bimestrale.
Perchè se ci fosse un vantaggio “pubblico” forse ci 
avremmo potuto
 pensare.
Invece la bolletta, per ritardi decennali e imposizioni 
neocoloniali, 
la paghiamo il 30/40% più salata rispetto al Continente.
E qui si innesta l’ultima considerazione non certo 
tecnico-tattica, 
ma politica.
La vicenda delle miniere – non dei minatori ai quali 
dedicherò la 
conclusione – si innesta in una politica di sostanziale 
sottosviluppo 
della Sardegna. Una politica – locale e nazionale – 
che ha ritagliato 
per la nostra terra il posto per il saccheggio nazionale. 
Di risorse pubbliche, di beni pubblici, di proprietà pubbliche.
E questo saccheggio ha determinato il permanere in una 
condizione di sostanziale sottosviluppo della nostra isola.
Il paradigma “sociale” del sottosviluppo è dato, senza 
dubbio, dalla condizione dei trasporti in Sardegna.
Perchè ogni sardo, prima o poi, per una malattia, un lutto, 
una carcerazione di un parente o la mai arrestata 
migrazione una nave la prende. E viaggiare nei carri 
bestiame, a tariffe folli, dei potentati marittimi racconta 
più e meglio della miniera la condizione di sottosviluppo
 della nostra terra.
La mia paura e non ho nessuna paura ad esplicitarla 
è la seguente.
I trentacinque milioni diventeranno, dopo estenuanti 
trattative e 
commistioni fra politica e sindacato, quaranta o c
inquanta per 
certificare un fallimento che solo i ciechi non possono 
vedere.
Il carbone ad alto contenuto di zolfo si continuerò ad 
estrarlo per 
qualche anno ancora di modo che ai prossimi 
appuntamenti 
elettorali quei lavoratori disperati saranno merce di 
scambio della 
politica, voti da riconsegnare al potente di turno che 
nulla ha fatto 
per risolvere il problema, ma di tutto fa per mantenere 
vivo 
il bubbone.
Per il lavoro non si venda la dignità e la libertà. 
La lotta deve essere 
per un cambio di strategia nelle politiche pubbliche 
nel Sulcis. 
Politiche che mettano davvero al centro il lavoratore 
e non l’elettore 
che è dentro ogni minatore.
Perchè la storia di questa terra è la storia di un’immensa 
commistione fra detentori di poteri pubblici e sudditi 
ed è, 
purtroppo, la storia di una politica senza idee, di una 
società civile 
inesistente, di un sindacato che si accontenta di 
mangiare 
dal trugolo.
Poi ci sono loro, dentro i pozzi.
E spero con tutta la forza che ho che riescano a
 maturare una 
coscienza collettiva che li allontani dai predatori di 
oggi e di domani.
Che poi sono gli stessi di ieri. “
I minatori di Nuraxi Figus stanno conducendo una
 lotta che non è
soltanto persa in partenza, ma anche e soprattutto
sbagliata.
Sbagliatissima negli obiettivi e ancora più sbagliata
nei modi.
I minatori di Nuraxi Figus ci stanno ricattando
 emotivamente:
hanno centinaia di chili di esplosivo con sé e dicono
“Est s’ora de sa bruvura!”
Ieri un sindacalista della UIL si è tagliato un polso
 davanti
 alle telecamere (Il gesto estremo del sindacalista: 
si taglia il
 polso per protestare contro l’ipotesi di uno stop 
all’attività 
di Elvira Serra).
Non si capisce bene da dove provenga tutto questo
 interesse,
ma i minatori (o chi per loro) sono riusciti a mobilitare
 l’interesse
dei media internazionali: ho visto un servizio perfino
 su CNN
 e francamente non riesco a credere che agli Americani
gliene
 importi qualcosa di 400 minatori sardi.
Sono riusciti a incassare perfino la solidarietà generica
 e ipocrita
di Napolitano e, a quanto sembra, sono riusciti a
ottenere il rinvio
 di una sentenza comunque inevitabile: Sulcis, governo:
 «Chiusura?
 Forse no» Napolitano: sono vicino ai minatori
DECIDE LA SARDEGNA – De Vincenti ha precisato
che tocca alla
Regione, proprietaria al 100% della Carbosulcis,
deciderne la
chiusura, ma che per il governo Monti «sono possibili
soluzioni
alternative. Ci aspettiamo che la Regione venga con
 una proposta
 più realistica. È la Regione che deve chiarire».”
Quale può essere la proposta più realistica per l’utilizzo
di un
carbone, anzi LIGNITE, di pessima qualità (“Zolfo con
 un basso
 tenore di carbonio” lo definivano quando io studiavo
all’ITI per
 periti chimici di Cagliari).
La proposta attuale è di investire oltre un milione di
 euro per
ognuno dei 1500 posti di lavoro che si creerebbero.
Investimenti che dovrebbero effettuare la RAS e il
Governo italiano.
Soldi nostri.
Cosa direste se io andassi in Piazza Sella, a Iglesias,
e mi puntassi
una pistola alla tempia, urlando che se non mi date
un milione di
euro mi sparo?
Ma come? Non mi dareste il milione e chiamereste
 l’ambulanza?
E Napolitano mi darebbe la sua solidarietà?
E la CNN verrebbe a filmarmi?
In ogni caso sono sicuro che Mauretto Pili non verrebbe
 a farsi
fotografare con me: lo sanno tutti che io non voterei
mai per lui!
I minatori di Nuraxi Figus vogliono che noi paghiamo
 un miliardo
 e mezzo di euro per garantire loro il posto di lavoro.
I minatori di Nuraxi Figus sono dipendenti 
dall’assistenzialismo
 e vanno curati, come dovrei essere curato io se
andassi in Piazza
Sella, con la pistola alla tempia, e pretendessi un
milione di euro.
I minatori di Nuraxi Figus non vogliono e non sanno
 uscire dalla
 logica suicida–ma anche criminale–che ha portato
al disastro che
 vediamo oggi in Sardegna: effettuare investimenti
 enormi in settori
non concorrenziali e fondamentalmente estranei alla
 cultura e al
territorio della Sardegna–rubando e sperperando risorse
che
porterebbero allo sviluppo di altri settori–in cambio di
poche
centinaia di posti di lavoro.
Posti di lavoro–io sono di Iglesias–distribuiti in modo
clientelare.
I minatori di Nuraxi Figus  esigono che risorse economiche
fondamentali vengano dirottate da quei settori
(turismo intelligente,
 agricoltura di qualità, trasporti) che hanno un futuro
 e
garantirebbero un numero molto più alto di posti
di lavoro.
Paradossalmente, sarebbe più conveniente regalare
 quel
miliardo e mezzo agli abitanti del Sulcis, ma con
l’obbligo di
spenderlo in loco.
Se dovesse andare avanti il progetto della gassificazione
 della
 LIGNITE e di stoccaggio sotterraneo della CO2,
 la maggior parte
 di quel mare di quattrini finirebbe alle imprese
NON SARDE che
 realizzerebbero gli impianti.
Ammesso che qualcuno voglia vivere sopra un
 serbatoio di CO2,
 necessariamente, ad alta pressione: chi conosce
il Sulcis sa
benissimo che dal punto di vista ambientale lì,
tutto quello che
poteva andare storto è andato storto. E sullo stoccaggio
 della
CO2, leggetevi quest’articolo: l gemello malefico 
del fracking. 
Cosa ruota attorno alla miniera di Nuraxi Figus
 | Blogeko.it
I soldi finirebbero immediatamente fuori dalla Sardegna.
Al Sulcis rimarrebbero 1.500 posti di lavoro pagati un
 milione di
euro l’uno con soldi sottratti ad altri investimenti più
vantaggiosi
e che mai, comunque, potrebbero essere garantiti, visto
che il
mondo va nella direzione di eliminare i combustibili
 fossili e che
 il carbone del Sulcis rimane una LIGNITE di scarso pregio e perfino
 più cara dell’ANTRACITE cinese.
Cosa c’entrano la lingua e la cultura?
I minatori di Nuraxi Figus stanno dimostrando per
intero la loro
incapacità culturale di concepire uno “sviluppo”
differente da quello
che il colonialismo italiano ha imposto alla zona:
sfruttamento
coloniale delle risorse e successivo abbandono della
 zona,
lasciando agli indigeni il disastro sociale e ambientale.
Ragionano completamente all’interno delle logiche
colonialiste
e non riescono a concepire uno sviluppo della Sardegna
 basato
 sulle risorse umane, ambientali e culturali già esistenti.
E come potrebbero, visto che la scuola, i media e
i politici non
fanno altro che insegnare il disprezzo per tutto ciò
che è sardo?
Lo “sviluppo” è solo quello che viene da “fuori”.
Lo “sviluppo”
è solo quello dell’industria pesante, finanziata
con i soldi dei
contribuenti.
Lo “sviluppo” che produce sottosviluppo: nell’immediato
sottraendo
 risorse preziosissime ad altri settori e nel lungo termine
distruggendo l’ambiente naturale e sociale.
Quanti abitanti di Portoscuso lavorano nelle industrie
dell’alluminio
e a Nuraxi Figus?
E quanti abitanti di Portoscuso lavorerebbero nel turismo
 se la
 presenza di quelle industrie non avesse distrutto il suo
 grande
potenziale nel settore?
Siete mai stati a Portoscuso quando  lo scirocco porta
sul paese
 i fumi della LIGNITE  bruciata nella centrale di Portovesme?
I minatori disperati di Nuraxi Figus sono appunto il sintomo
del
disastro sociale in cui le miniere e le industrie slegate dal
territorio
 hanno lasciato il Sulcis.
I minatori disperati di Nuraxi Figus vanno aiutati ad
accettare la
 realtà, non sostenuti nella loro lotta folle per continuare in
un’attività non sostenibile.
Oltretutto, a chi servirebbe l’elettricità prodotta con la
 LIGNITE?
La Sardegna, con l’eolico e con il fotovoltaico ne produce
 già più di
quella che le occorre.
Dovremmo sborsare un miliardo e mezzo di euro per produrre
 energia per gli altri?

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