SGARBI: UNA CAPRA CHE RAGLIA ALLA LUNA
Un vigliacco, un buono a nulla, che cerca di
accreditarsi consenso, credibilità e onori, screditando gli altri (supposti
nemici) e intimidendoli con attacchi preventivi, e insulti di una furia verbale
ascrivibile solo alla peggiore feccia fascista – certo così che
l’interlocutore, basito e sconcertato, rinunci a qualsiasi altra rimostranza -
un vero codardo, che al primo sentore di potere essere scoperto nel suo bluff
(perdurante l’arco di un ventennio), da fondo e sostanza a un’opera di
delegittimazione sistematica e gridata, da indurre il poverello, per ragioni di
opportunità e buon senso, a una mortificante ritirata. Un cacasotto senza
palle, che nell’ipotetica circostanza di potere essere platealmente smentito, smascherato,
accusato e condannato, non esiterebbe un istante a prostrarsi piagnucolante ai
piedi del suo potente inquisitore, pur di salvare il suo culo flaccido e
privilegi.
E in fine, un cornuto ante litteram, che alla
ragionevole accettazione della sua connaturata condizione di becco, antepone
l’astio, il rancore, la vendetta, e che, in forma di merda, riversa sulla
dignità e sull’onore delle persone capaci, intellettualmente oneste, colte e
intelligenti.
Questo personaggio inaffidabile, finto,
abusivo, invalido e scadente, viene illegittimamente spacciato per un
intellettuale, da tutto quel branco di caproni, incapaci e incompetenti che,
nel brutalità dei suoi attacchi, intravedono il coronamento virtuale al loro
stato di ignavia cronica, e una rivalsa ad una codardia, conclamata e
connaturata.
Una astratta cerebralità, e l’ostentazione
urlata di una superiorità infondata, (non ascrivibile ad alcunché di tangibile
e di ufficiale), sono le armi dello Sgarbi, a difesa di una insicurezza
psicotica di fondo che, se sollecitata, rischia di degenerare in isteria
compulsiva per poi, accanirsi sui nervi scoperti di una precaria
autostima.
Un vile che si scaglia senza un reale motivo
e in forma plateale, contro gli inermi, per poi, nell’ombra, lontano da sguardi
indiscreti, ubbidire supinamente agli ordini impartiti dall’alto di chi lo
foraggia, non è un uomo, ma il peggiore dei servi.
Quella che Vittorio Sgarbi vorrebbe fosse
letta e accreditata come intelligenza, in verità è un’auto difesa camuffata da
feroce indignazione, escogitata allo scopo di intimidire l’avversario,
scoraggiandolo da ogni altra recriminazione.
Sgarbi, non è niente, non dice niente, non
produce niente e non insegna niente. E’ il verso di se stesso; l’immagine
iconografica di una inedita e moderna stupidità che, attraverso il filtro
mediatico di un ripetuto repertorio circense da suburra, trasfigura la sua
originaria inconsistenza culturale, in un eccentrico esercizio didattico.
Quando prende le difese di Silvio Berlusconi
sul caso Ruby, assolvendolo in toto da ogni responsabilità morale, deontologica
e politica, affermando di avere avuto, lui medesimo, rapporti sessuali con la
marocchina (con l’intento, in questo modo, di sdrammatizzare la questione per
sdoganarla come fisiologica e necessaria adducendone una sorta di privilegio ad
personam), conferma, in questo modo, la sua natura servile e pusillanime,
permeata di ipocrisia, narcisismo paranoide e codardia.
E’ il classico soggetto affetto dalla
“sindrome della nonna”, la quale, sostituendosi alla madre naturale, riempie il
piccolo Vittorino di morbose attenzioni, perdonandogli qualsiasi cosa e
traducendo ogni suo gesto e pensiero, in un surrogato di genialità. Il
risultato, poi, è lo Sgarbi che tutti conoscono. Quando, durante un
contraddittorio, ha esaurito il vuoto del suo argomentare (precedentemente
preparato a tavolino e affilato in modo tale da potere colpire a morte l’ignaro
antagonista), si inceppa come un disco rotto, riproducendo, all’infinito e, con
carica emotiva sempre maggiore, l’ultimo insulto della sua lunga e fiorita
lista di improperi. Non c’è nulla di creativo, originale o di immaginifico
nelle sue parole gridate, ma solo arido apprendimento scolastico, combinato ad
una buona dose di memoria. L’assenza, poi, di introspezione, di una corretta e
coerente analisi delle circostanze, e un’incapacità di base ad addivenire a
conclusioni oggettive, equidistanti da ogni interesse, privilegio e
appartenenza, collocano lo Sgarbi, fuori da ogni dimensione che si possa
definire o ritenere di natura intellettuale.
“E’ del poeta il fin la meraviglia, parlo
dell’eccellente e non del goffo..” scriveva il grande Gianbattista Marino.
Il fine ultimo dello Sgarbismo è la meraviglia - lo stupore del
telespettatore sovrastato dall’iperbole e quasi perso nel ginepraio letterario
in cui la rappresentazione delle azioni più banali, viene amplificata con
concetti di tronfia verbosità, che si sovrappongono senza sintesi.
Più che a
trasmettere nozioni e contenuti, Vittorio Sgarbi, mira ad esprimere
sensazionalismi, effetti illusionistici, per stordire ed ammaliare chi ascolta.
Ma Sgarbi non è Marino e, la sua, una platea di allocchi .
Gianni Tirelli
Nessun commento:
Posta un commento