sabato 30 marzo 2013

SGARBI: UNA CAPRA CHE RAGLIA ALLA LUNA


SGARBI: UNA CAPRA CHE RAGLIA ALLA LUNA

Un vigliacco, un buono a nulla, che cerca di accreditarsi consenso, credibilità e onori, screditando gli altri (supposti nemici) e intimidendoli con attacchi preventivi, e insulti di una furia verbale ascrivibile solo alla peggiore feccia fascista – certo così che l’interlocutore, basito e sconcertato, rinunci a qualsiasi altra rimostranza - un vero codardo, che al primo sentore di potere essere scoperto nel suo bluff (perdurante l’arco di un ventennio), da fondo e sostanza a un’opera di delegittimazione sistematica e gridata, da indurre il poverello, per ragioni di opportunità e buon senso, a una mortificante ritirata. Un cacasotto senza palle, che nell’ipotetica circostanza di potere essere platealmente smentito, smascherato, accusato e condannato, non esiterebbe un istante a prostrarsi piagnucolante ai piedi del suo potente inquisitore, pur di salvare il suo culo flaccido e privilegi.
E in fine, un cornuto ante litteram, che alla ragionevole accettazione della sua connaturata condizione di becco, antepone l’astio, il rancore, la vendetta, e che, in forma di merda, riversa sulla dignità e sull’onore delle persone capaci, intellettualmente oneste, colte e intelligenti.
  
Questo personaggio inaffidabile, finto, abusivo, invalido e scadente, viene illegittimamente spacciato per un intellettuale, da tutto quel branco di caproni, incapaci e incompetenti che, nel brutalità dei suoi attacchi, intravedono il coronamento virtuale al loro stato di ignavia cronica, e una rivalsa ad una codardia, conclamata e connaturata. 
Una astratta cerebralità, e l’ostentazione urlata di una superiorità infondata, (non ascrivibile ad alcunché di tangibile e di ufficiale), sono le armi dello Sgarbi, a difesa di una insicurezza psicotica di fondo che, se sollecitata, rischia di degenerare in isteria compulsiva per poi, accanirsi sui nervi scoperti di una precaria autostima.          
Un vile che si scaglia senza un reale motivo e in forma plateale, contro gli inermi, per poi, nell’ombra, lontano da sguardi indiscreti, ubbidire supinamente agli ordini impartiti dall’alto di chi lo foraggia, non è un uomo, ma il peggiore dei servi.
Quella che Vittorio Sgarbi vorrebbe fosse letta e accreditata come intelligenza, in verità è un’auto difesa camuffata da feroce indignazione, escogitata allo scopo di intimidire l’avversario, scoraggiandolo da ogni altra recriminazione.
Sgarbi, non è niente, non dice niente, non produce niente e non insegna niente. E’ il verso di se stesso; l’immagine iconografica di una inedita e moderna stupidità che, attraverso il filtro mediatico di un ripetuto repertorio circense da suburra, trasfigura la sua originaria inconsistenza culturale, in un eccentrico esercizio didattico. 
Quando prende le difese di Silvio Berlusconi sul caso Ruby, assolvendolo in toto da ogni responsabilità morale, deontologica e politica, affermando di avere avuto, lui medesimo, rapporti sessuali con la marocchina (con l’intento, in questo modo, di sdrammatizzare la questione per sdoganarla come fisiologica e necessaria adducendone una sorta di privilegio ad personam), conferma, in questo modo, la sua natura servile e pusillanime, permeata di ipocrisia, narcisismo paranoide e codardia.            
E’ il classico soggetto affetto dalla “sindrome della nonna”, la quale, sostituendosi alla madre naturale, riempie il piccolo Vittorino di morbose attenzioni, perdonandogli qualsiasi cosa e traducendo ogni suo gesto e pensiero, in un surrogato di genialità. Il risultato, poi, è lo Sgarbi che tutti conoscono. Quando, durante un contraddittorio, ha esaurito il vuoto del suo argomentare (precedentemente preparato a tavolino e affilato in modo tale da potere colpire a morte l’ignaro antagonista), si inceppa come un disco rotto, riproducendo, all’infinito e, con carica emotiva sempre maggiore, l’ultimo insulto della sua lunga e fiorita lista di improperi. Non c’è nulla di creativo, originale o di immaginifico nelle sue parole gridate, ma solo arido apprendimento scolastico, combinato ad una buona dose di memoria. L’assenza, poi, di introspezione, di una corretta e coerente analisi delle circostanze, e un’incapacità di base ad addivenire a conclusioni oggettive, equidistanti da ogni interesse, privilegio e appartenenza, collocano lo Sgarbi, fuori da ogni dimensione che si possa definire o ritenere di natura intellettuale.

“E’ del poeta il fin la meraviglia, parlo dell’eccellente e non del goffo..” scriveva il grande Gianbattista Marino.
Il fine ultimo dello Sgarbismo è la meraviglia - lo stupore del telespettatore sovrastato dall’iperbole e quasi perso nel ginepraio letterario in cui la rappresentazione delle azioni più banali, viene amplificata con concetti di tronfia verbosità, che si sovrappongono senza sintesi.
 Più che a trasmettere nozioni e contenuti, Vittorio Sgarbi, mira ad esprimere sensazionalismi, effetti illusionistici, per stordire ed ammaliare chi ascolta. Ma Sgarbi non è Marino e, la sua, una platea di allocchi .
Gianni Tirelli

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