sabato 20 dicembre 2014

La rovesciata della CGIL

La rovesciata della CGIL

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CGIL, LA ROVESCIA DELLO SCIOPERO
con una mia postilla...
di Sergio Bellavita,

E’ finita in poco più di due ore la discussione del direttivo nazionale Cgil convocato dopo lo sciopero generale dello scorso 12 dicembre. Si doveva decidere come dare continuità alla battaglia contro il Jobs Act, di come rispondere a quella disponibilità preziosa alla mobilitazione che ha attraversato in tante forme questo autunno di lotte sociali.
Nulla di tutto ciò. Mentre la coppia Renzi-Poletti ha messo sotto l’albero di natale i primi decreti attuativi del Jobs Act, la Cgil ha deciso invece la smobilitazione generale demandando ad una irrealistica, velleitaria e sbagliata contrattazione diffusa nei luoghi di lavoro il compito di attenuare l’impatto dei provvedimenti del governo. Un modo come un altro per chiudere quella partita. E’ stato evidente sin da subito che questo gruppo dirigente si è ritrovato costretto ad una linea di scontro ed ad una radicalità di cui non è più capace, solo dalle intemperanze di Renzi, non certo da un riposizionamento strategico.
Lo testimoniano i colpevoli ritardi con cui sono state costruite le scadenze, dal 25 ottobre al 12 dicembre, senza nessuna strategia per impedire l’approvazione parlamentare del provvedimento. Così come lo testimonia il valore che in Cgil viene dato alla convocazione a palazzo Chigi del gruppone delle cosiddette parti sociali, elogiata come segno della riconquistata legittimazione dell’organizzazione. Una nuova celebrazione, vuota e inutile, che Renzi concede, forte dell’approvazione del Jobs Act, ad uso e consumo dei tanti soggetti sempre più in crisi.
In questo quadro è forte il rischio che la partita sul Jobs Act sia perduta. Certo in questo paese non è chiusa la partita più generale della ricostruzione dell’opposizione sociale contro le politiche d’austerità e la precarietà e bisogna velocemente lavorare ad una nuova iniziativa generale. Ma non si possono sottacere le pesanti responsabilità del gruppo dirigente della Cgil nell’aver consentito una tranquilla approvazione del Jobs Act mettendo in campo lo sciopero generale a babbo morto.
Oggi questo gruppo dirigente sembra più preoccupato di chiudere la breve stagione dell’alterità a Renzi e al Pd che a rispondere ai bisogni di chi lavora. La frase: “Il mestiere del sindacato è contrattare” ieri è nuovamente risuonata nella sala del direttivo, a significare la distanza siderale da ogni antagonismo sociale. Quello che resterebbe è solo il sindacalismo della miseria appunto, quello confinato nel modello del 10 gennaio che consente ovunque di ridurre salari e diritti ai lavoratori.
Si riapre così la crisi della Cgil, per qualche mese solo nascosta dietro la ripresa dell’iniziativa. Una crisi di risultati, di credibilità, di prospettiva. Se non ci si misura davvero con l’incompatibilità dell’iniziativa sindacale in questa fase dell’economia capitalista, con la durezza dello scontro che ti è imposto e con l’irrilevanza a cui sei confinato e si continua a camminare in avanti con la testa rivolta indietro a guardare il palazzo e la concertazione, allora si finisce certamente nel burrone.
Ci spinge all’ironia (amara) una delle cose che la Cgil mette in campo a copertura della fine della mobilitazione, lo sciopero alla rovescia. Nel passato strumento nobile di lotta per obbligare alle assunzioni ed ai lavori pubblici. Più che lo sciopero alla rovescia ci sembra che la Cgil abbia deciso esattamente la rovescia dello sciopero, delle sue ragioni, del sacrificio di chi lo ha fatto, delle domande senza risposta. Il sindacato è davvero un’altra cosa. (S.B.)
Postilla di a.m.
Mi ero limitato a condividere su Face book questo breve ed efficace commento di Sergio Bellavita,  portavoce nazionale dell’area “Il sindacato è un’altra cosa – Opposizione Cgil”. Tuttavia ho deciso di pubblicarlo direttamente anche sul mio sito sia perché so che ci sono molti visitatori che non utilizzano FB, sia per aggiungere questo mio commento, che vuole fornire dei riferimenti storici soprattutto ai più giovani, operai o disoccupati (ma anche studenti che hanno partecipato per la prima volta a uno sciopero generale), che si sono trovati per la prima volta di fronte a un apparente svolta a sinistra della burocrazia sindacale in difficoltà, e possono essere disorientati dalla scoperta della sua breve durata.
La trovata del vertice della CGIL è letteralmente vergognosa. In un momento in cui sarebbe stata necessaria una risposta più tempestiva e dura a un attacco generale, con una mobilitazione prolungata di tutti i lavoratori che consentisse di non lasciare soli quelli già colpiti da licenziamenti, cassa integrazione, minacce di nuove esternalizzazioni, al primo direttivo dopo il tardivo e dispersivo sciopero del 12D (disperso in 54 piazze…) si inventa la trovata della contrattazione diffusa nei luoghi di lavoro. In pratica si propone di delegare la resistenza a un attacco generale a risposte locali articolate e nel migliore dei casi a macchia di leopardo.
Le lotte di fabbrica e perfino di reparto hanno avuto un ruolo prezioso nel 1967-1968, quando a partire da alcune vertenze aziendali che sfidavano le clausole inserite nel contratto di lavoro del 1966 in molte aziende importanti partirono mobilitazioni che costrinsero il padronato a cedere e dimostrarono l’esistenza di una forte volontà di lotta. Questa forma di lotta aveva pagato allora sia perché rompeva la gabbia dei contratti firmati dai vertici burocratici, che praticamente escludevano la possibilità della contrattazione aziendale se non per rivendicazioni minime, sia perché era possibile grazie alla situazione di piena occupazione esistente in quella fase, ma è evidentemente impossibile oggi quando governo e padronato hanno sferrato colpi durissimi alla classe operaia, e centinaia di migliaia (se non milioni) di lavoratori sono stati lasciati soli di fronte agli attacchi del padronato, spalleggiato dai “governi amici”. La CGIL, dopo aver firmato accordi vergognosi insieme ai sindacati padronali  e aver subito nonostante questo aggressioni e provocazioni da Renzi, era stata costretta ad alzare la voce. Ma è durato ben poco:  ha ricominciato presto a svolgere un ruolo disorientante, anche grazie alle reticenze della FIOM di Landini, ormai specializzato in ritocchi o emendamenti che abbelliscono la linea della Camusso. Oggi più che mai è necessaria una lotta generale che utilizzi le forze rimaste intatte di alcuni settori per aiutare quelli in difficoltà, permettendo loro di unirsi non solo contro un singolo padrone, ma contro il blocco tra Confindustria e governo.
Le altre trovate spacciate per “proposte di lotta” non meritano molte parole. L’incontro tra il governo e il “gruppone” delle parti sociali è stato già fatto e ha confermato il suo scopo di puro intrattenimento e condizionamento della già poco convinta CGIL, sommersa da un mare di collaborazionismo e buona volontà di accettare le proposte del governo con qualche ritocco marginale. Ma Renzi non ha neppure partecipato, e ha lasciato il compito di ascoltare “le parti sociali” a Poletti e al sottosegretario Bellanova. Che hanno avuto la faccia tosta di presentarsi senza il testo dei decreti attuativi del Jobs Act! Perfino la UIL ha dovuto fievolmente protestare…
Quanto allo sciopero alla rovescia, lanciato a metà degli anni Cinquanta grazie al ruolo di Danilo Dolci, riproporlo oggi è pura cialtroneria. Allora era una forma che nel sud disperato si riallacciava alle occupazioni delle terre incolte, che erano state bloccate o frenate finché PCI e PSI stavano al governo (anche se ce n’era bisogno e c’era ancora la forza) e avviate poi in condizioni più difficili, e che pagarono un pesante contributo di sangue al blocco tra DC, monarco-fascisti e mafia agraria tradizionale.
Gli scioperi alla rovescia dell’inverno 1956, ad esempio, consistevano nell’effettuare senza autorizzazione lavori di manutenzione e ampliamento di strade di campagna, rivendicando poi il pagamento delle giornate da parte delle autorità prefettizie. A volte lo si otteneva, a volte le mobilitazioni di braccianti disoccupati venivano stroncate a colpi di mitra dalle “forze dell’ordine”. Che c’entra con la situazione attuale?
La CGIL continua la pratica di accettare di sedersi alla pari con i rappresentanti del padronato grande e piccolo, e con i loro sindacati addomesticati, in riunioni in cui, se per sbaglio o per tattica dice una cosa giusta, è ovviamente subito messa in minoranza. Andare in questo modo a una presunta trattativa col governo, è come se si giocasse una partita di football con mezza squadra assoldata dall’avversario. Compreso il portiere…
La CGIL dovrebbe invece essere capace di restare “isolata” dai padroni e dai loro servi, e di far leva sullo sdegno per la corruzione che deborda ad ogni livello e in ogni parte del paese, per le collusioni tra politica, padronato e criminalità comune,utilizzando gli scandali per indirizzare l’indignazione contro il capitalismo.
Anche il ripetersi di sentenze vergognose che con i più diversi artifici prosciolgono i capitalisti assassini (con l’amianto o le colate di acciaio, con le discariche tossiche nelle falde acquifere o l’inquinamento dell’ambiente), dovrebbe rafforzare la battaglia per spazzare via le illusioni sulla neutralità e intangibilità degli apparati statali, magistratura inclusa.
Perché la lotta necessaria oggi non è contro questo o quel padrone, contro questa o quella legge, ma contro il blocco di capitalisti, banchieri, parassiti sociali vari, e il governo che li protegge e tutela, in continuità con tutti i governi che si sono susseguiti da almeno tre decenni. Ed è una lotta di lunga durata, che ha bisogno di un forte impegno nella rieducazione alla lotta di classe. La lotta di classe non è sparita in questi anni come hanno predicato anche da dentro il PCI-PDS-PD, ma è stata combattuta quasi solo dal padronato all’attacco, mentre i lavoratori erano anestetizzati con dosi massicce dell’ideologia padronale sulla fine della lotta di classe, sulla fine della classe operaia, ecc. E subivano passivamente i colpi da un padronato poco efficiente sul terreno produttivo, ma molto compatto nella battaglia per riconquistare terreno e cancellare le conquiste strappate negli anni Sessanta e Settanta dai lavoratori. (a.m.20/12/14)

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