sabato 10 gennaio 2015

L’Italia entra in una nuova guerra per conto degli USA

L’Italia entra in una nuova guerra per conto degli USA

L’Italia entra in una nuova guerra per conto degli USA

Negli ultimi tempi, vengono dettagliatamente descritti dai mass media gli spostamenti dei militari americani nel sud e nel sud-ovest dell’Europa, in particolare in Italia. Si tratta di un processo inevitabile, poiché sta iniziando una nuova fase della “guerra globale contro il terrorismo” in Africa.

Nonostante dal 1991 il contingente americano in Italia sia triplicato e si componga di più di 13000 persone (il 15% del totale dei militari americani in Europa), Washington continua ad affermare con insistenza che non vi siano basi militari USA in Italia. Da un punto di vista formale si tratta della verità, perchè tutte le installazioni militari americane rientrano nella struttura generale della NATO e non sono delle basi USA autonome, così come non vengono ritenute tali né le basi a Gibuti né i quasi mille impianti militari americani costruiti negli ultimi vent’anni e operanti nella gran parte degli Stati africani.
La causa sta nella concezione stessa di “guerra globale al terrorismo”, che presuppone l’interessamento di tutti i Paesi della NATO. Fin dall’inizio era evidente come questa guerra avrebbe coinvolto anche l’Africa e che gli USA non ce l’avrebbero fatta da soli. All’enorme lavoro, durato molti anni, per la preparazione delle Forze armate dei Paesi africani e delle infrastrutture militari in tutto il continente, hanno preso attivamente parte, oltre agli USA, anche la Francia, la Germania e altri Stati membri della NATO.
All’inizio di quest’anno, l’operazione militare della Francia nel Mali, regione di sua tradizionale influenza nell’Africa Occidentale, aveva dimostrato le possibilità di azioni coordinate tra i Paesi NATO. Sul continente africano stanno venendo dislocati gli organi di pronta reazione contro eventuali minacce, tuttavia, è impossibile per gli alleati formare in Africa un’infrastruttura militare a pieno titolo, poiché già adesso l’Occidente è costantemente accusato di neocolonialismo, quindi lo Stato maggiore del comando USA in Africa (AFRICOM) è rimasto in Germania, mentre i suoi componenti di terra e di mare erano stati portati in Italia ancora nel 2008, dove si era concentrata tutta la struttura tecnica per le operazioni congiunte sul continente.
Gli italiani protestano contro la presenza di militari stranieri sul proprio territorio e contro la partecipazione dei soldati italiani alle operazioni NATO all’estero. Ciò non sorprende; l’Italia, infatti, ha una sua lunga e non sempre univoca tradizione di guerre in Africa. Furono guerre molto diverse: all’inizio contro gli africani per  conquistare le colonie in Etiopia alla fine del XIX secolo e poi nella metà degli anni ’30, poi contro inglesi e francesi nel nord del continente durante la Seconda guerra mondiale.
Tuttavia le nuove alleanze militari richiedono alla classe politica italiana delle decisioni impopolari, determinate da gravosi impegni di cooperazione. Tra l’altro, laddove la società protesta, il potere e il business cercano il profitto. Secondo le stime degli esperti di Jane’s, nel 2010 “grazie al ruolo dell’Italia nella guerra irachena e all’aver fornito un contingente da 3000 unità, si è aperto per le imprese italiane l’accesso ai contratti di ricostruzione dell’Iraq”. La sua partecipazione alla guerra africana ha portato dei vantaggi analoghi. Tali chance sono apparse sullo sfondo dell’intensificazione delle difficoltà economiche e nel momento in cui il Governo italiano ha iniziato a guardare alla produzione di armamenti come a uno dei modi principali di rianimare l’economia nazionale. Come ha scritto Jane’s, i produttori italiani di armi, e in particolare Finmeccanica, stanno compiendo dei tentativi aggressivi di penetrare nel mercato degli Stati Uniti e in quello di altri Paesi. Secondo i dati pubblicati da Wikileaks, questa società (della quale il 30% è statale) “ha venduto nel 2008 agli USA tecnologia militare per un equivalente di 2,3 miliardi di dollari, e detiene un ruolo importante nel rafforzamento delle relazioni tra Italia e Stati Uniti”. Il risultato di ciò è che nel 2009 l’export italiano di armi è cresciuto di più del 60%.
Nell’ottobre del 2008 i due Paesi hanno rinnovato il Reciprocal Defense Procurement Memorandum of Understanding, l’accordo di concessione di status di Paese favorito nell’ambito delle forniture militari. Si suppone che lo Stato italiano abbia passato a titolo gratuito ai militari americani la base Dal Molin, come parte integrante dell’accordo, oltre ad altri contratti nella sfera delle produzioni militari e a una grossa quota della costruzione del modello di armamento più costoso in assoluto, il caccia F-35.

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