Salman Rafi Sheikh
New Eastern Outlook 07/06/2015

La
politica estera della Cina, in particolare verso Medio Oriente e
Africa, era plasmata dalle crescenti esigenze in petrolio e altre
risorse naturali, portando ad una situazione che si può riassumere così:
maggiore è la domanda, più è politicamente impegnata nel Medio Oriente e
Paesi da cui importa petrolio. Nel giro di una sola generazione, grazie
a una crescita economica senza precedenti, la Cina è passata
dall'autosufficienza nel greggio (produzione di ciò che consuma) a quasi
sostituire gli Stati Uniti come primo importatore di carburante. Nel
2014, la Cina ha importato circa 6,2 milioni di barili al giorno in
media e, più che semplice coincidenza, la maggior parte delle
importazioni cinesi di petrolio proviene da una delle regioni più
instabili del mondo: il Medio Oriente. Anche in questo caso, non si
tratta solo di mera coincidenza che il principale competitore-
strategico degli Stati Uniti, la Cina, sia la forza preponderante.
Pertanto, la Cina prevede una 'nuova' politica estera dettata non solo
dall'economia politica, ma anche da considerazioni geostrategiche
mondiali. Tale maggiore ricorso a Paesi instabili ha spinto la Cina ad
intraprendere il primo dispiegamento all'estero di forze da
combattimento per il mantenimento della pace in Africa, poi seguita da
un ruolo maggiore nella risoluzione dei conflitti in Afghanistan. Anche
se la Cina non importa petrolio dall'Afghanistan, il Paese ha risorse
sufficienti che la Cina può sfruttare in futuro. Sull'Africa, nel 2013,
Pechino ha inviato 170 truppe in Mali per impedire che i tumulti si
riversassero nei vicini ricchi di petrolio, come Algeria e Libia. Un
anno dopo, con un altro 'pugno da diplomazia aggressiva', la Cina
risaltò nei colloqui di pace tra fazioni in guerra nel Sud Sudan. Nel
Medio Oriente, nel dicembre 2014 la Cina offrì sostegno militare
all'Iraq tramite attacchi aerei contro lo Stato islamico. Nuovi impegni
alimentati dal petrolio della Cina hanno visto un passo definitivo verso
il Medio Oriente quando, nel novembre 2014, Pechino offrì a Washington
denaro (circa 10 milioni di dollari) per aiutare gli sfollati in Iraq.
Venendo da un Paese che ha visto a lungo negli interventi militari degli
Stati Uniti la punta dei nefasti complotti occidentali, tali offerte
erano assolutamente sorprendenti per molti che vedono nella Cina uno
Stato politicamente 'disinteressato'. Tuttavia, poiché la domanda cinese
di petrolio e altre risorse è aumentata in modo esponenziale negli
ultimi anni, e le regioni che riforniscono Cina di adeguate risorse
diventano instabili e preda del caos, anche la Cina è costretta ad
adeguamenti politici necessari per garantirsi le forniture di risorse in
modo da mantenere attiva l'industria. Il caso cinese, in altre parole, è
un classico esempio di 'superpotenza' che cade nella 'trappola', come
alcuni amano chiamarlo, tesa da un'altra superpotenza, gli Stati Uniti;
nulla aiuterebbe gli Stati Uniti più della Cina impegnata militarmente
in Medio Oriente, mandandone in frantumi l'immagine di Stato che non
interferisce.

Tuttavia, sarebbe una semplificazione eccessiva affermare che la Cina
cade nella trappola degli Stati Uniti. La decisione della Cina d'inviare
truppe è una mossa molto calcolata e risultato di alcuni dibattiti
politici seri nei circoli dominanti degli ultimi anni. Tale importante
cambio nella diplomazia e politica estera è, in quanto tale, in perfetta
linea con le discussioni aperte di alti funzionari, tra cui in
particolare il Ministro degli Esteri Wang Yi, sul ruolo cinese sempre
più importante nelle regioni suddette. Anche se la Cina opera o si offre
di operare nella regione senza alleanze o trattati formali di difesa o
sicurezza, il fatto che sia disposta ad operarvi è uno sviluppo che va
considerato, senza tralasciare una domanda molto importante: La Cina
sostituisce gli Stati Uniti in Medio Oriente? Non possiamo avere una
risposta categorica, tuttavia, vi sono segnali abbastanza chiari che la
Cina lentamente e in maniera molto calcolata, entra nell'arena politica;
se non lo facesse, non poterebbe così facilmente trarre la quantità di
petrolio necessaria per mantenere la sua economia 'funzionale'. Ma
garantire la produzione di petrolio non è l'unica preoccupazione della
Cina. Il trasporto, naturalmente, è anche una delle principali
preoccupazioni. Più dell'80 per cento delle importazioni di petrolio di
Pechino attraversa un collo di bottiglia, lo Stretto di Malacca nei
pressi di Singapore, che si riduce a meno di due miglia di larghezza
attraversate da oltre 15 milioni di barili di petrolio al giorno. In un
discorso del 2003, Hu Jintao, allora presidente della Cina, articolò il
"dilemma di Malacca": il timore che "alcune grandi potenze", gli Stati
Uniti, potessero ridurre l'ancora di salvezza energetica della Cina in
questo stretto passaggio, rispecchiando ciò che gli USA fecero al
Giappone durante la seconda guerra mondiale. A sua volta, Hu accelerò il
programma di ammodernamento della marina, continuato dal Presidente Xi
Jinping con il varo della prima portaerei della Cina, l'introduzione del
suo primo missile balistico antinave e triplicando cacciatorpediniere,
fregate e sottomarini d'attacco. Alcuni di questi progressi furono
indicati nel 2008, quando la Cina schierò in modo permanente pattuglie
anti-pirateria sulle rotte al largo delle coste della Somalia e nel
Golfo di Aden, prima missione navale all'estero negli ultimi 600 anni.
In un passo destinato a eliminare le vulnerabilità marittime, la Cina ha
aperto un oleogasdotto attraverso il Myanmar alla fine del gennaio
2015. Il cambiamento nella politica estera della Cina arriva proprio
mentre gli Stati Uniti cercano di districarsi da un decennio di guerre
difficoltose. Un ritiro completo dal Medio Oriente sarà impossibile,
data l'eruzione dello Stato islamico e la vecchia promessa di proteggere
l'approvvigionamento energetico degli alleati. Di conseguenza, gli
Stati Uniti dovranno capire come lavorare con la Cina, non solo nel
perno di Washington in Asia, ma nel perno di Pechino a ovest. Un punto
cardine del "pivot" della Cina verso l'occidente è il vasto programma di
modernizzazione volto a bloccare il perno degli Stati Uniti in Asia. La
relazione del 18° Congresso del Partito afferma che nel prossimo futuro
la Cina deve "
aumentare lo sfruttamento delle risorse idriche,
sviluppare un'economia marittima, proteggere l'ecosistema oceanico,
persistere nella tutela degli interessi marittimi nazionali, costruire
il potere marittimo". In altre parole, la nuova leadership include
formalmente l'istituzione della potere marittima nella strategia
nazionale. Questo obiettivo comprende generalmente tre aspetti: a)
gestione efficace, controllo e protezione dello spazio marittimo in
precedenza trascurato (per esempio, Mar Cinese Meridionale e Mar Cinese
orientale); b) uso assertivo della diplomazia marittima esercitando
influenza notevole su normative e prassi marittime regionali e
internazionali; c) uso efficace e razionale delle risorse marittime,
dentro e fuori lo spazio sovrano della Cina, divenendo uno delle più
potenti economie marittime del mondo. Guidati da questi principi,
governo e forze armate cinesi hanno recentemente emanato una serie di
misure concrete per proteggere gli interessi aerei, spaziali e marittimi
della Cina. D'altra parte, questi sviluppi hanno lo scopo di rafforzare
la capacità cinese di agire oltre i confini, soprattutto in Africa e
Medio Oriente.
Questi sviluppi degli aspetti del potere marittimo vanno soppesati nella
rigorosa, ma calcolata, applicazione in Medio Oriente e in altre
regioni. L'approccio politico della Cina al Medio Oriente è rafforzato
dalla conclusione sulla situazione degli Stati Uniti nella regione,
secondo cui alcuna potenza da sola può ripristinare la stabilità nella
regione e intraprendervi uno sviluppo equo e sostenibile. In un certo
senso, Washington l'ha interpellata su ciò. I funzionari degli Stati
Uniti hanno a lungo spinto la Cina a pesare internazionalmente. Il
presidente Barack Obama si lamenta che la Cina sia un "libero battitore"
da decenni, beneficiando immensamente del commercio mondiale e dei
flussi energetici resi possibili dall'US Navy. In questo senso, le forze
di pace cinesi in Africa e i pattugliamenti anti-pirateria sono stati
accolti come un segno che Pechino, secondo l'ex-vicesegretario di Stato
Robert Zoellick, diviene "azionista responsabile" del sistema
internazionale. Tuttavia, la Cina è pienamente consapevole delle
conseguenze che potrebbero seguire tale cambiamento, o forse ha già
cambiato la politica estera e sua applicazione. "
Sostituire gli Stati Uniti è una trappola in cui la Cina non dovrebbe cadere",
ha detto Wang Jian. Allo stesso tempo, ha giustificato la non
interferenza cinese con la convinzione del governo che il caos nella
regione ha fatto sì che non sia il momento d'intervenire; un approccio
che molti nella comunità politica cinese credono permettere alla Cina di
lasciare gli Stati Uniti cuocere nel proprio brodo.

Nessun commento:
Posta un commento