LA VISIONE DEL MONDO DELL’UOMO DELLA PIETRA
Confrontando e comparando attraverso alcuni
parametri di riferimento oggettivi, la condizione e lo stile di vita dell’uomo
della pietra con l’individuo tecnologico dell’era moderna, saremo in grado di
ricavarne il livello di libertà e di felicità raggiunti dall’uno o dall’altro,
nelle loro diverse circostanze temporali.
La consapevolezza di se e delle cose, è il
gradino più alto della conoscenza. E quanto più è filtrata dalle tutte le
intrusioni di natura didattica, culturale, informatica, tecnologica,
psicologica e nozionistica, tanto più la libertà mentale dell’uomo sarà
prossima alla verità.
La sfera della consapevolezza dunque, si
amplia e si espande nella misura in cui il nostro rapporto con la realtà è libero
da ogni tipo di sollecitazione, debolezza e dipendenza, e da ogni altro
condizionamento che intervenga ad inquinare quel processo primigenio (logico e
istintuale), che ci conduce alla radice (all’essenza) della verità, fugando
ogni relativizzazione, contaminazione e giudizio soggettivo.
Pertanto, il grado stabilizzato di felicità
da noi raggiunto, è direttamente proporzionale al nostro livello di
consapevolezza.
Diversamente dall’uomo preistorico, e in
netta antitesi, la nostra esistenza è obnubilata da una serie infinita di
ipotesi, di congetture, invenzione e tecnicismi, che ci precludono
inevitabilmente la possibilità e la capacità di determinare quella presa di
coscienza, necessaria e deputata al risveglio di una consapevolezza acritica.
Affermare pertanto che l’uomo cibernetico del
nostro tempo sia l’espressione massima del suo ego, è una conclusione
inattendibile e incongruente.
Contrariamente a tali congetture, l'individuo
robotizzato delle società moderne è privo dell’Ego, non sapendo
gestire tutte le attività psichiche, che rivolge verso sé stesso e verso
l’ambiente esterno, generando, appunto, la consapevolezza propria e della
realtà. E per questo mancante di solidi parametri riferimento attraverso i quali
addivenire a delle scelte oggettive!
Oggi viviamo nel totale relativismo, etico,
morale affettivo e spirituale! Non serviamo più a nulla, non abbiamo scopi,
vere motivazioni, se non la meccanica spinta alla mera sopravvivenza,
condizionata da un residuo istinto di auto/conservazione che si va spegnendo, e
che porterà una gran parte dell'umanità ad un suicidio di massa.
Viviamo e ci comportiamo contro natura.
Questo accade perché, oggi, ogni comportamento, motivazione e scelta, non sono
rivolti al benessere comune, al bisogno primario e alla felicità
dell’individuo, ma al mero e banale profitto materiale e psicologico – alla
soddisfazione di dipendenze, e al ricorso di attenuanti, addotte al fine di
relativizzare, giustificare le nostre debolezze strutturali.
La visione del mondo “dell’uomo della
pietra”, era diretta, simbiotica e mutualistica, interagendo con la natura (la
terra) come il solo, unico interlocutore e mediatore affidabile e inopinabile,
fonte di consapevolezza, e quindi di saggezza e di pura conoscenza. Una
condizione di privilegio che gli assicurava uno stabile e durevole livello
felicità, e dove il “libero arbitrio” si rattrappiva sui bisogni primari e
sull’istinto di autoconservazione.
E se il Libero Arbitrio è la possibilità
propria dell’uomo di fare o non fare qualcosa decidendo liberamente, come si
coniuga con realtà dei nostri tempi dove l’opera di plagio e di omologazione
interviene in forma devastante sui nostri comportamenti?
Ecco perché il giudizio sull’uomo non
contempla condoni di sorta e prescinde da ogni personale condizione! Essendo
ogni uomo Dio all’origine, non gli è concesso di demandare ad altri le sue
responsabilità, essendo lui stesso, quel Dio.
È l’uomo, il giudice di se stesso; si
assolve e si condanna, si commisera e si esalta, unico e solo parametro
imputato a decidere arbitrariamente della sua salvezza e della sua sconfitta.
Questo secolo ci ha derubato di ogni residua
consapevolezza, e così trasfigurato la felicità in una sorta di isterico e
schizofrenico sbalzo di umore, che subito scompare per fare posto al dubbio e
alla paura, fin dentro un frustrante e patologico stato d’angoscia
esistenziale.
Un’umanità di individui snaturati e smarriti, più
concentrati sul male che possono fare agli altri che il bene a loro stessi.
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