Quale futuro per il M5S?
Che farà il Movimento 5 Stelle nelle prossime settimane e mesi? Che sta succedendo là dentro?
Intendendosi
per “là dentro” i diversi livelli della sua esistenza: la base
elettorale, la base dei militanti, il vertice centrale. Che ormai da
diversi mesi non è più composto solo dai due proprietari del partito, ma
si è allargato a un “direttorio” di loro fiducia.
Domande che sono in molti a porsi, e non per peregrine curiosità. Infatti il M5S è al momento la più importante forza di opposizione nel paese e nel parlamento. Si potrebbe dire che è anche l'unica (in parlamento) degna di questo nome.
Per ora, poichè le ultime due prove elettorali hanno detto che il Movimento — sempre più partito, come vedremo tra poco — sta palesemente soffrendo un calo di popolarità tra gli elettori. Le recenti elezioni regionali hanno fatto registrare una perdita di circa 900.000 voti rispetto alle europee del 2014. Perdita che, essendo stata minore percentualmente del crollo degli avversari e del dilagare dell'astensionismo, ha dato l'impressione di una vittoria (e così l'ha commentata il vertice del partito). Ma la flessione è stata grande. Anche perché è venuta un anno dopo la secca contrazione registratasi nelle elezioni europee, con quasi due milioni in meno rispetto alle politiche trionfali del 2013. C'è chi — affidandosi ai sondaggi — pensa che si tratti di una crisi passeggera. A Roma, in piena "mafia capitale", il M5S è in testa come primo partito. E a livello nazionale sembra tenere le posizioni (quelle attorno al 20%, cioè comunque in calo rispetto al 2013). Ma i sondaggi, in tempi di grandi cambiamenti, sono sempre meno attendibili.
Se
ne sono resi conto, finalmente, e con grave ritardo, dando vita a un
"direttivo" dei migliori, che sono sempre sotto un controllo, ma con le
briglie allentate. E i migliori — che nelle intenzioni dovrebbero
svolgere le funzioni che i due capi e il loro "inner circle" non possono
svolgere — hanno cominciato ad agire. Con i metodi classici di un
partito politico normale, cioè ignorando il "non statuto". Si segnalano
tre iniziative importanti, come il convegno di Alba Mediterranea (in cui
tra gli oratori principali hanno fatta la loro apparizione due nomi di
non iscritti, Vasapollo e Minà), il Convegno sui BRICS (fornendo la
tribuna ai rappresentanti di cinque paesi non allineati con
l'Occidente), e la recente iniziativa di una prossima delegazione di
parlamentari che si recherà in Crimea (seconda dopo quella francese, a
sottolineare la prudenza con cui i "migliori" si stanno comunque
muovendo).
Domande che sono in molti a porsi, e non per peregrine curiosità. Infatti il M5S è al momento la più importante forza di opposizione nel paese e nel parlamento. Si potrebbe dire che è anche l'unica (in parlamento) degna di questo nome.
Cercare di capire è molto importante sia sotto
il profilo italiano, cioè interno, sia sotto quello internazionale. La
crisi europea galoppa ad alta velocità e l'Italia di Renzi naviga a
vista sotto gli ordini della Germania. Ma il M5S non è andato oltre la
raccolta firme per l'uscita dell'Italia dall'euro: la sua voce si è
sentita poco su altri fronti, come quello della crisi greca. Grillo è
andato ad Atene a sostenere il "no" all'austerità, ma non ha trovato
sintonia con Syriza (non l'ha nemmeno cercata). Adesso, a quanto pare,
il blog di Grillo sposa la tesi del "tradimento" di Tsipras, tanto cara a
gran parte delle sinistre radicali italiane e anche a una parte delle
destre, ma non aggancia (non sembra che ci provi nemmeno) neanche
Varoufakis, il quale ha recentemente chiarito che neppure lui ritiene
utile uscire dall'euro.
In altri termini non si vede e non si sente l'indubbia forza che il M5S rappresenta.Per ora, poichè le ultime due prove elettorali hanno detto che il Movimento — sempre più partito, come vedremo tra poco — sta palesemente soffrendo un calo di popolarità tra gli elettori. Le recenti elezioni regionali hanno fatto registrare una perdita di circa 900.000 voti rispetto alle europee del 2014. Perdita che, essendo stata minore percentualmente del crollo degli avversari e del dilagare dell'astensionismo, ha dato l'impressione di una vittoria (e così l'ha commentata il vertice del partito). Ma la flessione è stata grande. Anche perché è venuta un anno dopo la secca contrazione registratasi nelle elezioni europee, con quasi due milioni in meno rispetto alle politiche trionfali del 2013. C'è chi — affidandosi ai sondaggi — pensa che si tratti di una crisi passeggera. A Roma, in piena "mafia capitale", il M5S è in testa come primo partito. E a livello nazionale sembra tenere le posizioni (quelle attorno al 20%, cioè comunque in calo rispetto al 2013). Ma i sondaggi, in tempi di grandi cambiamenti, sono sempre meno attendibili.
È evidente che una parte dell'elettorato 5
Stelle manifesta segni di stanchezza. La promessa "cambieremo il paese"
diventa sempre meno credibile e le carte sul tavolo si mescolano
in forme incomprensibili ai più. E questo mentre prosegue l'emorragia
tra gli eletti nelle due Camere, che hanno ormai complessivamente
superato le trenta unità: un piccolo partito che si muove in ordine
sparso nelle aule parlamentari, senza identità e esposto a tutti i venti e a molte lusinghe, rispetto alle quali è difficile resistere non avendo un asse di riferimento.
In
realtà il problema riguarda prima di tutto quelli che sono rimasti
dentro il partito. Dopo due anni è ormai evidente che la politica è una
faccenda molto più complicata che quella di "marcare l'avversario"
facendo le pulci alla corruzione degli altri, presentando la lista della
spesa agli elettori, proponendo buone leggi. La mancanza di strategia è
divenuta ormai lancinante. Da soli non si può far passare le buone
leggi, bisogna negoziare con il nemico. E ci si deve compromettere. E
spesso, non avendo criteri, ci si compromette male, in pura perdita.
Valga per tutte la recente vicenda RAI, dove i 5 Stelle si sono
autoridotti alla funzione di comprimari. Il problema appare però di più
vasta portata. Il personale politico portato in parlamento è quello che
è, cioè non di altissimo livello. L'unica novità è stata la giovinezza
anagrafica e la pulizia dei nuovi arrivati, per definizione estranei
alle corruttele e camarille della classe politica. Molti si rendono
conto solo ora, e a fatica, di nuotare in acque infide.
Grillo e Casaleggio non sembravano essersi resi
conto, almeno fino alla fine dell'anno scorso, che altra cosa è sparare
bordate contro il nemico, e altra cosa è guidare un gruppo parlamentare
(per giunta di "homines novi" e inesperti). Né l'uno, né l'altro, del
resto, dotati delle necessarie competenze. I meccanismi inventati dai
due leader, a cominciare dal "non statuto", per continuare con la
democrazia in Rete, con "l'uno vale uno" (che si trasforma spesso in
"Uno sono io e voi dovete obbedire") hanno finito per paralizzare anche
gli sforzi dei volonterosi, costretti, (anche se spesso teoricamente), a
sottostare al giudizio di una miriade di inesperti, secondo il criterio
della "casalinga al potere". Che va bene, sì e no, una volta su
100mila. Così, per esempio, dopo essersi presentati alle europee senza
un vero programma politico, hanno perduto il treno della guerra
in Ucraina, rimanendo sostanzialmente in silenzio di fronte a una svolta
politica dai riflessi mondiali. E facendosi bruciare da Salvini, che ha
finito per portare via voti anche a loro.
E ora? I tempi della crisi non aspettano. Un
profilo "a metà strada", per raccogliere voti a sinistra e a destra
(come quello seguito, con numerose smagliature indecenti) non sarà
sufficiente. Ma non ci sono segnali — oltre alla stanchezza dichiarata
di Grillo — di un cambio radicale. Ma come può operare un cambio
"radicale" un partito a cui è stata fatto credere di essere radicale, ma
che radicale non è?
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