sabato 12 settembre 2015

AEP: Una guerra politica su due fronti attende l’Europa

Guerra politica

AEP: Una guerra politica su due fronti attende l’Europa

Come riporta il Telegraph, volano gli stracci all’interno dell’”Unione” Europea. Ancora non si sono spenti i conflitti nati a causa dell’ennesima crisi greca, che il problema rifugiati mette di nuovo uno stato contro l’altro. Gli eurocrati, invece di seguire il clima e allentare la presa sugli stati, tentano di scippare la sovranità alle diverse nazioni, stavolta riguardo alla gestione dei confini. La situazione economica nel frattempo è sempre fragile: nonostante una serie di circostanze favorevoli, l’Europa fatica a produrre perfino una crescita anemica. Se qualche fattore esterno iniziasse ad andare storto, la campana potrebbe suonare proprio per l’unione monetaria.

Di Ambrose Evans-Pritchard, 9 settembre 2015

L’Unione europea si va sbriciolando lungo diverse linee di frattura, afflitta da una crescente battaglia culturale riguardo i flussi migratori prima ancora di aver superato l’amaro conflitto al cuore dell’Unione monetaria.
“Suona la campana, è giunto il momento,” ha detto Jean-Claude Juncker, il capo della Commissione europea, nel suo discorso sullo stato dell’Unione.
“Dobbiamo guardare gli enormi problemi che deve ora affrontare l’Unione europea. La nostra Unione non è in una buona condizione,” ha detto.
Sarebbe forse indelicato sottolineare che la causa di questo semi-collasso esistenziale è una serie di mosse che portano la sua firma:
La fatidica decisione di varare l’euro a Maastricht nel 1991 senza prima stabilire un’Unione politica europea per renderla praticabile, e farlo nonostante gli avvertimenti chiarissimi degli esperti facenti parte della Commissione e della Bundesbank che questa avrebbe inevitabilmente portato ad una crisi – la “crisi benefica” come supponevano maliziosamente i seguaci dell’unione monetaria.
L’escalation di trattati di Amsterdam, Nizza e Lisbona, ognuno dei quali ha maggiormente concentrato il potere nelle mani di un sistema istituzionale deforme, privando della linfa parlamentare gli antichi Stati nazionali, gli unici baluardi di un’autentica democrazia in Europa.
Soprattutto, la distruzione della fiducia ribaltando il categorico “No” degli elettori francesi e olandesi alla costituzione europea nel 2005, imponendo comunque lo stesso trattato attraverso un Putsch, mentre un disgustato ma complice primo ministro britannico firmava il documento in una camera privata a Lisbona, al riparo dalle telecamere.
Si potrebbe pensare che la corretta conclusione da trarre è che a questo punto l’Unione Europea può salvarsi solo abbandonando il metodo Monnet caratterizzato da trattati striscianti e tentativi irresponsabili di imporre un’integrazione oltre i dovuti limiti e ritirarsi invece nell’ambito più sicuro degli Stati-nazione, ove possibile.
Ma no, il Presidente Juncker intende invocare i poteri dei trattati per obbligare i paesi ad accettare 160.000 profughi pro-quota, che siano d’accordo o meno, o più propriamente che pensino o meno che sia altamente pericoloso, dato lo stato di guerra totale che esiste ora tra la civiltà liberale occidentale e il fondamentalismo jihadista.
Personalmente, credo che le nazioni europee dovrebbero aprire le porte a coloro che fuggono dalla guerra e della persecuzione, con un’adeguata selezione, in base ai trattati internazionali sui rifugiati e in armonia con la tradizione morale.
Quei paesi divisi delle linee di Sykes-Picot sulla mappa del Medio Oriente nel 1916 dopo la disgregazione dell’Impero ottomano, o quelli precipitati nel caos dopo il rovesciamento di regimi duri ma stabili in Iraq e Libia, hanno particolare diritto ad essere considerati. Ma il punto è chi ha l’autorità finale per decidere.

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