Tira aria di Guerra Fredda: armi nucleari Usa a Berlino
Gli Stati Uniti dislocheranno venti bombe atomiche nella base aeronautica di Büchel. Il Cremlino: "Pronti a rispondere"
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11:09 23 Set
Da alcune voci del bilancio di Stato americano spuntano i contorni
del programma di stoccaggio di Washington: la Germania ospiterà venti
bombe atomiche tipo B61-12. Wimmer: "Azione consapevole che mira a
sfidare il nostro vicino russo"
Volkswagen, scandalo mondiale E la (agente) Merkel sapeva delle truffe.
Il documento di "Die Welt": governo a conoscenza del software sulle
emissioni Le auto coinvolte sono 11 milioni. Il gruppo si scusa e
accantona 6,5 miliardi
Lo scandalo Volkswagen si allarga a macchia d'olio in tutto il mondo,
trascinando con sè anche il governo della Cancelliera Angela Merkel.
Nel giorno delle prime ammissioni, con la conta salatissima sul numero
dei veicoli diesel truccati che arriva a ben 11 milioni di auto (una
cifra enorme, superiore alle immatricolazioni di un anno della casa di
Wolfsburg), il dieselgate travolge Berlino.
Secondo le rivelazioni fatte in serata dal sito online Die Welt, «la
tecnica di manipolazione dei gas di scarico dei motori Volkswagen era
nota a Berlino e a Bruxelles da lungo tempo». La domanda ora
è: chi sta comprando a prezzi di svendita le azioni volkswagen per
impossessarsi della piu grande industria automobilistica del mondo??
Come dite? Gli stampatori di soldi?
Un accusa pesantissima che si baserebbe su un documento del ministero
dei Trasporti tedesco redatto in seguito a un'interrogazione del 28
luglio presentata dai Verdi per chiedere chiarimenti sul problema dei
software sui controlli delle emissioni che riconoscono eventuali test.
«Al ministero dei Trasporti - scrive la Welt - era chiara l'esistenza
della tecnica di spegnimento, cioè in gergo tecnico il riconoscimento
del test, come è stato scoperto negli Usa sui veicoli Volkswagen». Una
rivelazione che rischia di avere un impatto pesantissimo su tutto il
sistema-Germania.
Prima al mondo in termini di fatturato e di redditività, Volkswagen è infatti l'undicesima più grande azienda tedesca. Con 592mila dipendenti è il terzo datore di lavoro e il primo costruttore per auto vendute nel mondo nel 2015. L'automobile è uno dei settori chiave dell'economia e un elemento centrale della società. Non per altro, ieri tutta la stampa tedesca non ha risparmiato accuse al vetriolo sulla vicenda. «La Volkswagen - ha scritto il Die Welt - era sinonimo di solidità. Era il fiore all'occhiello dell'ingegneria tedesca. Dallo scorso fine settimana questa immagine è rovinata». E il senso dell'impatto sulla solida Berlino è tutto nelle parole del Der Tagesspiegel : «Scandalo è una parola troppo debole per descrivere quello che è successo, questa truffa danneggia il marchio Germania».
Oltre al pesantissimo impatto politico, la vicenda si sta ampliando a livello mondiale e, oltre agli Usa, sono sul piede di guerra Francia, Italia, Corea, Australia e la stessa Germania. Con Bruxelles (a trazione tedesca) che per ora frena: «È prematuro dire se anche in Europa siano necessarie immediate misure di controllo», ma giura «approfondimenti». Così, il governo transalpino e il ministero dei Trasporti di Berlino hanno già annunciato che terranno delle inchieste, e anche l'omologo dicastero in Italia ha avviato un'indagine. Intanto, il governo coreano ha convocato i vertici locali della Volkswagen e ha messo sotto la lente le auto vendute nel Paese. Un'indagine monstre che sarà conclusa in novembre. Nella sola Corea del Sud, infatti, più del 90% dei 25mila veicoli venduti sono diesel: proprio il tipo di motore finito sotto inchiesta. A chiudere il cerchio ieri è intervenuta poi l'Onu, giudicando «estremamente preoccupante» la faccenda. «L'industria automobilistica deve essere un partner in tutti i nostri sforzi per combattere i cambiamenti climatici», ha detto il portavoce dell'Onu, Stéphane Dujarric.
Come uno tsunami dopo il terremoto, le ripercussioni sul piano finanziario (e d'immagine) crescono di ora in ora, con il titolo che anche ieri ha continuato la picchiata. Non hanno convinto un gran che, dunque, nè le scuse dell'ad Martin Winterkorn, nè la decisione della casa tedesca di accantonare 6,5 miliardi di euro nel terzo trimestre (nemmeno la metà dei 18 miliardi di multa ventilati negli Usa dove è partita un'indagine penale) che ha costretto Porsche a rivedere al ribasso il suo obiettivo sull'utile 2015. Lo scandalo che minerà il primato del gruppo nel mondo (a vantaggio di Toyota) è praticamente scontato e il mercato non può che darsi alle vendite. E poco importa se ieri Winterkorn si è scusato nuovamente per lo scandalo: «Sono infinitamente dispiaciuto per aver tradito la fiducia» di milioni di persone, ha detto il numero uno del colosso tedesco in una video dichiarazione pubblicata sul sito web della società. «Un chiarimento rapido ed esauriente è ora la priorità».
Ma forse oggi ad alzare il velo sulla vicenda dovrà essere qualcun'altro al di fuori dell'azienda, la Cancelliera e il suo governo che hanno fatto proprio della politica green un pilastro fondamentale della propria leadership.
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Prima al mondo in termini di fatturato e di redditività, Volkswagen è infatti l'undicesima più grande azienda tedesca. Con 592mila dipendenti è il terzo datore di lavoro e il primo costruttore per auto vendute nel mondo nel 2015. L'automobile è uno dei settori chiave dell'economia e un elemento centrale della società. Non per altro, ieri tutta la stampa tedesca non ha risparmiato accuse al vetriolo sulla vicenda. «La Volkswagen - ha scritto il Die Welt - era sinonimo di solidità. Era il fiore all'occhiello dell'ingegneria tedesca. Dallo scorso fine settimana questa immagine è rovinata». E il senso dell'impatto sulla solida Berlino è tutto nelle parole del Der Tagesspiegel : «Scandalo è una parola troppo debole per descrivere quello che è successo, questa truffa danneggia il marchio Germania».
Oltre al pesantissimo impatto politico, la vicenda si sta ampliando a livello mondiale e, oltre agli Usa, sono sul piede di guerra Francia, Italia, Corea, Australia e la stessa Germania. Con Bruxelles (a trazione tedesca) che per ora frena: «È prematuro dire se anche in Europa siano necessarie immediate misure di controllo», ma giura «approfondimenti». Così, il governo transalpino e il ministero dei Trasporti di Berlino hanno già annunciato che terranno delle inchieste, e anche l'omologo dicastero in Italia ha avviato un'indagine. Intanto, il governo coreano ha convocato i vertici locali della Volkswagen e ha messo sotto la lente le auto vendute nel Paese. Un'indagine monstre che sarà conclusa in novembre. Nella sola Corea del Sud, infatti, più del 90% dei 25mila veicoli venduti sono diesel: proprio il tipo di motore finito sotto inchiesta. A chiudere il cerchio ieri è intervenuta poi l'Onu, giudicando «estremamente preoccupante» la faccenda. «L'industria automobilistica deve essere un partner in tutti i nostri sforzi per combattere i cambiamenti climatici», ha detto il portavoce dell'Onu, Stéphane Dujarric.
Come uno tsunami dopo il terremoto, le ripercussioni sul piano finanziario (e d'immagine) crescono di ora in ora, con il titolo che anche ieri ha continuato la picchiata. Non hanno convinto un gran che, dunque, nè le scuse dell'ad Martin Winterkorn, nè la decisione della casa tedesca di accantonare 6,5 miliardi di euro nel terzo trimestre (nemmeno la metà dei 18 miliardi di multa ventilati negli Usa dove è partita un'indagine penale) che ha costretto Porsche a rivedere al ribasso il suo obiettivo sull'utile 2015. Lo scandalo che minerà il primato del gruppo nel mondo (a vantaggio di Toyota) è praticamente scontato e il mercato non può che darsi alle vendite. E poco importa se ieri Winterkorn si è scusato nuovamente per lo scandalo: «Sono infinitamente dispiaciuto per aver tradito la fiducia» di milioni di persone, ha detto il numero uno del colosso tedesco in una video dichiarazione pubblicata sul sito web della società. «Un chiarimento rapido ed esauriente è ora la priorità».
Ma forse oggi ad alzare il velo sulla vicenda dovrà essere qualcun'altro al di fuori dell'azienda, la Cancelliera e il suo governo che hanno fatto proprio della politica green un pilastro fondamentale della propria leadership.
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