IO NON SONO IN GUERRA!
(19 Novembre 2015)
Volano nuove e vecchie parole dell'ideologia a coprire i soliti affari.
Vecchie mutande nazionaliste si mischiano ai novelli blocchi continentali, trovando tutti insieme unitario slancio alla ricerca di un nuovo equilibrio spartitorio.
Dopo averlo prodotto con i passati interventi “intelligenti”,
dopo averlo alimentato con il commercio di armi,
dopo averlo disseminato con i governi fantoccio,
adesso vogliono “distruggerlo” dimenticando che l'alieno fondamentalista ce l'hanno nello stomaco,
distogliendo donne e uomini occidentali dalle batoste della crisi ed arruolandole nella “guerra contro l'ISIS”.
Una guerra mondiale per procura, combattuta con le bombe e con gli stivali in medio-oriente, dove ciascuno degli “esportatori di democrazia e civiltà” coltiva i propri interessi d'area e si riproporziona nei relativi rapporti di forza tra potenze.
Chi, come l'America a cercare di frenare il proprio indebolimento, chi come la Russia a riscattare l'antico ruolo imperiale,
chi come l'Europa ad utilizzare la guerra per rafforzare il proprio processo di potenza continentale.
Chi paga innanzitutto è il proletariato medio-orientale già massacrato dalle proprie borghesie e dalla guerra per bande di gruppi etnico-religiosi.
Chi paga è il proletariato mondiale cui saranno imposti sacrifici in nome delle nazioni e restringimenti delle stesse “libertà” giuridiche borghesi.
La nostra classe sociale paga per tutti, intruppata nella “guerra di civiltà” per la “difesa dei nostri valori” e la “sicurezza della nostra vita”.
Ma non eravamo noi che dovevamo “cambiare il mondo” attentando ai “nostri valori” Dio-patria-famiglia?
Ma non eravamo noi la “potenza tra le potenze” pacifista nel mondo?
E adesso ci troviamo in guerra contro qualcuno nato e cresciuto in occidente che attenta ai “nostri” valori proponendoci un Dio, una qualità di vita e dei rapporti sociali e personali peggiori dei nostri.
Adesso bombardiamo chi vuole “cambiare il mondo” imponendo il burka alle donne e il pugnale agli uomini, costretti a difendere tutto ciò che avevamo criticato e combattuto, magari con le armi in pugno.
I venti di guerra soffiano forte ma di pacifismo nemmeno spifferi, anche perchè il grosso dei passati “movimenti per la pace” formato dai papa-boys è oggi impegnato in una concorrenza planetaria con l'islam in crescita, ai quali non dispiacerebbe anche una batosta militare.
I lavoratori, che soli potrebbero mettere la parola fine a tutto ciò, sono assenti.
D'altra parte, in tanti tra chiacchieroni politicanti e guerrafondai hanno bisogno di essere mantenuti dal lavoro salariato.
Non è stato sempre cosi'.
In altre epoche, come all'inizio del secolo scorso, gli operai seppero rompere l'accerchiamento della guerra imperialista imponendo la pace della rivoluzione, grazie all'assalto della propria organizzazione ed alla sua visione internazionalista.
Quello che è successo potrebbe e dovrebbe risuccedere,
ma i tempi del capitale non corrispondono a quelli del proletariato.
Paghiamo un ritardo storico nell'acquisizione della coscienza di classe e nell'avvio del processo ricostitutivo l'organizzazione di classe.
La speranza, e l'impegno, e che questa novella “guerra mondiale al terrorismo” smuova cervelli e gambe per capire, combattere, trasformare.
Di nuovo!
Vecchie mutande nazionaliste si mischiano ai novelli blocchi continentali, trovando tutti insieme unitario slancio alla ricerca di un nuovo equilibrio spartitorio.
Dopo averlo prodotto con i passati interventi “intelligenti”,
dopo averlo alimentato con il commercio di armi,
dopo averlo disseminato con i governi fantoccio,
adesso vogliono “distruggerlo” dimenticando che l'alieno fondamentalista ce l'hanno nello stomaco,
distogliendo donne e uomini occidentali dalle batoste della crisi ed arruolandole nella “guerra contro l'ISIS”.
Una guerra mondiale per procura, combattuta con le bombe e con gli stivali in medio-oriente, dove ciascuno degli “esportatori di democrazia e civiltà” coltiva i propri interessi d'area e si riproporziona nei relativi rapporti di forza tra potenze.
Chi, come l'America a cercare di frenare il proprio indebolimento, chi come la Russia a riscattare l'antico ruolo imperiale,
chi come l'Europa ad utilizzare la guerra per rafforzare il proprio processo di potenza continentale.
Chi paga innanzitutto è il proletariato medio-orientale già massacrato dalle proprie borghesie e dalla guerra per bande di gruppi etnico-religiosi.
Chi paga è il proletariato mondiale cui saranno imposti sacrifici in nome delle nazioni e restringimenti delle stesse “libertà” giuridiche borghesi.
La nostra classe sociale paga per tutti, intruppata nella “guerra di civiltà” per la “difesa dei nostri valori” e la “sicurezza della nostra vita”.
Ma non eravamo noi che dovevamo “cambiare il mondo” attentando ai “nostri valori” Dio-patria-famiglia?
Ma non eravamo noi la “potenza tra le potenze” pacifista nel mondo?
E adesso ci troviamo in guerra contro qualcuno nato e cresciuto in occidente che attenta ai “nostri” valori proponendoci un Dio, una qualità di vita e dei rapporti sociali e personali peggiori dei nostri.
Adesso bombardiamo chi vuole “cambiare il mondo” imponendo il burka alle donne e il pugnale agli uomini, costretti a difendere tutto ciò che avevamo criticato e combattuto, magari con le armi in pugno.
I venti di guerra soffiano forte ma di pacifismo nemmeno spifferi, anche perchè il grosso dei passati “movimenti per la pace” formato dai papa-boys è oggi impegnato in una concorrenza planetaria con l'islam in crescita, ai quali non dispiacerebbe anche una batosta militare.
I lavoratori, che soli potrebbero mettere la parola fine a tutto ciò, sono assenti.
D'altra parte, in tanti tra chiacchieroni politicanti e guerrafondai hanno bisogno di essere mantenuti dal lavoro salariato.
Non è stato sempre cosi'.
In altre epoche, come all'inizio del secolo scorso, gli operai seppero rompere l'accerchiamento della guerra imperialista imponendo la pace della rivoluzione, grazie all'assalto della propria organizzazione ed alla sua visione internazionalista.
Quello che è successo potrebbe e dovrebbe risuccedere,
ma i tempi del capitale non corrispondono a quelli del proletariato.
Paghiamo un ritardo storico nell'acquisizione della coscienza di classe e nell'avvio del processo ricostitutivo l'organizzazione di classe.
La speranza, e l'impegno, e che questa novella “guerra mondiale al terrorismo” smuova cervelli e gambe per capire, combattere, trasformare.
Di nuovo!
Pino ferroviere
Nessun commento:
Posta un commento