Avrei voluto vivere in quel mondo, dove la legge non fu
mai scritta, dove ogni fiume scorre libero seguendo le pendenze logiche del suo
destino, e fra la penombra di candele e lampade a petrolio, ascoltare il
battito dell’infinito fino a perdermi dentro l’apparente morte di un oblio di
pace.
Avrei voluto vivere in quel mondo di tempeste
purificatrici, di azzurri rassicuranti, di soli tonanti, li, in quel posto,
dove le sette bocche di drago sputano acqua fresca e immacolata dalla fontana
dell’eterno al centro della piccola piazza del Gesù – li, dove le mura delle
case sono di pietra, e folletti alati cicalano divertiti fra le forti travi di
castagno della soffitta incantata.
Avrei voluto vivere in quel bosco di elci e sugheri sul
monte della prima stella. Ricordi? La casa sull’albero guardava il mare fumante
di albe … io l’avevo costruita per te, per noi, per il nostro amore. E sul tuo
corpo appena accarezzato dalla luna, spalmavo essenze di more e di lamponi, di
mirtilli focati di blu e fragole di bosco; e poi l’odore denso dell’erba fra le
tue cosce socchiuse, e la menta che piano si consumava come brace fra le
preghiere ardenti dei nostri corpi corrotti dal piacere. E tutto appariva così
normale; il pane lievitava ai bordi del camino, il lupo uccideva l’agnello con
un colpo secco alla gola, mentre Marisa partoriva dentro l’ultimo muggito, il
suo vitello più bello. Noi, già ubriachi di conoscenza intonavamo la canzone
degli uomini scintillanti, quando i figli della terra correvano su e giù come
impazziti dentro i campi dorati dal grano, quando il crepuscolo sparava saette
infuocate di rara nostalgia cromatica.
Poi un giorno si udì un grande frastuono, un’esplosione
assordante, un bagliore accecante, e fuoco e fiamme come montagne ardenti
divorarono ogni cosa, mentre il sipario dell’orrore calava per sempre sullo
sguardo attonito del Grande Sognatore Celeste.
Poi, sbadigliando come oranghi nella nebbia, tutti si
alzarono di buona mattina incedendo come schiavi fin dentro le assordanti
gabbie del lavoro a catena, a patto di rimanere in vita fino al giorno in cui
il cancro non li avrebbe per sempre liberati dalla follia.
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