IL NOCCIOLO
DELLA QUESTIONE
“Gli individui
omologati di quest’epoca, si appellano alla soggettività, come attenuante ad
uno stato di incapacità e impossibilità di formulare un personale giudizio
critico attendibile sulla base della loro conoscenza”
L’arrivo di
Tony - Milano, 27 Febbraio 1982 ore 16:30
Suonarono alla
porta e mi precipitai ad aprire. Finalmente era arrivato Tony che nella mano
destra stringeva per il collo una bottiglia di vino rosso.
L’abbracciai
affettuosamente dopo tanto tempo e ci accomodammo in cucina, uno di fronte
all’altro. Io del resto stavo già sorseggiando un buon bicchiere del mio vino
nuovo, che gli versai dentro una capiente coppa di cristallo adatta per la
speciale occasione.
Brindammo senza
dire nulla, svuotando completamente le due coppe. Una fragorosa risata di
entrambi, ruppe quel religioso silenzio e, dopo alcuni scambi di battute, Tony
spostò il discorso sulla sua bottiglia, decantandone la bontà e le
caratteristiche del suo contenuto.
Così versò il
vino nelle due coppe e attenendoci alla prassi di chi se ne intende, infilammo
il naso ben oltre il bordo del cristallo per carpirne e percepirne il profumo,
l’abboccato e un ipotetico retrogusto – In seguito, dopo averlo fatto ruotate
lentamente in senso antiorario, ritornammo ad odorarlo.
Per un attimo
ci guardammo con occhi eccitati e quindi brindammo: ”Alla salute Tony! Alla tua
Gianni! Alla nostra.. alla nostra!!”
Ne assaporai un
piccolo sorso, e non proferii parola. Quel vino non mi piaceva e lui lo capì!
Ne nacque una
vivace discussione che, dopo un po’, degenerò in un vero e proprio litigio.
Eravamo (e
ancora oggi lo siamo) due buoni amici, ma quel pomeriggio in quella cucina,
davanti alla bottiglia del suo vino rosso del cazzo, non sopportai il modo con
il quale diede un taglio al nostro contrasto e alla sua incapacità di dare
risposte plausibili alle mie affermazioni e conclusioni.
Così, con un
tono imperativo che non dava spazio ad altri commenti, affermò: “Tutto è
relativo”.
Irritato, non
risposi! Agguantai il cappotto e me ne uscii sbattendo la porta.
Vagai per la
città di Milano camminando per ore con in testa quella stupida, sciocca
conclusione: ”Tutto è relativo!!!”. Ero triste, avvilito e mi sentivo
incompreso. Dubitavo dell’autenticità della sua amicizia. Come, tutto è
relativo? Il mio vino era il risultato della spremitura tradizionale di una
nobile qualità di uva, esente da trattamenti antiparassitari, prodotta da un
vitigno autoctono della Sicilia orientale, mentre il suo, non altro che un
diabolico intruglio industriale pagato a caro prezzo.
Quella sua
affermazione mi portò a pensare e a meditare, su quell’uso ormai generalizzato
di ricondurre tutto ad un giudizio personale, soggettivo. Un modo facile di
risolvere le questioni, eludendo conoscenza, analisi ed esimendosi da ogni
autentico parametro di riferimento comparativo e sforzo mentale.
Da quel
momento, compresi, in anticipo sui tempi, le conseguenze nefaste che, il vezzo
e lo strattagemma di relativizzare la verità (oggi molto diffuso e adottato a
pratica relazionale) per mero opportunismo, avrebbe avuto sulle future
generazioni, sulla loro capacità di discernimento e di scelta non che sull’ambiente tutto.
Gli individui
omologati di quest’epoca, si appellano alla soggettività, come attenuante ad
uno stato di incapacità e impossibilità di formulare un personale giudizio
critico attendibile sulla base della loro conoscenza, non disponendo di quei
punti di riferimento inossidabili che, un tempo decretavano le ragioni della vita
stessa e che, oggi, sono venuti a mancare, scalzati dalla logica di quel
consumismo imperante che ha codificato, a suo vantaggio, ogni azione umana e
pensiero.
In parole
povere, è venuto meno quell’impianto etico che, da sempre, regolava e
armonizzava l’intricato e sofisticato sistema di relazioni e interazioni del
singolo con gli altri soggetti.
Questo
misterioso processo, era capace di rendere fluide le risposte ai nostri perché
e trasparenti le verità, declinando poi al libero arbitrio, l’onere della
responsabilità della scelta.
Ed è proprio
questo e niente altro il nocciolo della questione, che poi ha caratterizzato le
società liberiste e il loro inevitabile e imminente tracollo! Un non luogo che
ci ha privato di ogni personalismo e slancio rivoluzionario, causa di una
condizione di subalternità che ci ha costretti ad attenerci ad un libretto di
istruzioni che il Sistema Potere ci ha dato in dotazione al momento della
nostra venuta al mondo.
Noi
crediamo/immaginiamo di sapere, di conoscere ma, nei fatti, siamo avvolti da
un’ignoranza cosmica, unica nella storia dell’umanità. Il nostro, non è che
arido e inconcludente apprendimento e l’immagine raccapricciante della realtà
che ci sovrasta, ne è la prova del nove.
La vita non
regala niente a nessuno (ed è un dogma) ma, ogni cosa, ogni gesto, ogni fine,
sono il frutto di una volontà trascendente e intraprendenza, senza la quale,
ogni verità ci è preclusa e negata.
Del resto, come
potremo mai individuare e scorgere la verità in un mondo in balia della menzogna
e di una sistematica mistificazione mediatica della realtà?
Asserire che la
conoscenza rende liberi, è spicciola demagogia, vana speranza e illusione.
Tutto quel baraccone di nozioni, concetti relativi e notizie che prendiamo qua
e la, attingendo al grande mare della Rete e dai Media tradizionali, non sono
che “aria fritta” senza un nostro diretto e convinto intervento sulle questioni
che, nel principio di causa/effetto intervengono poi sulla nostra persona
fisica e sfera psicologica.
Solo in questo
modo possiamo tradurre e trasfigurare ogni pseudo/convinzione, supposta
ipotesi, credenza e credulità, in quella necessaria presa di coscienza che è
alla base dei nostri comportamenti e scelte di vita!
Ritornando alla
qualità del vino (presa da me a metafora - non solo per rendere più
comprensibile la questione a tutti, ma come parametro di conoscenza), è
singolare vedere come la stragrande maggioranza degli individui delle società
consumiste, nell’arduo esercizio di acquistare una bottiglia fra le mille
esposte in bella vista sugli scaffali dei supermercati, non sia in possesso di
alcuna reale cognizione, al fine di addivenire ad una scelta oggettiva.
Possiamo, inoltre, tranquillamente affermare che oltre il 90% di questi vini è
il risultato di una contraffazione sistematica, divenuta pratica quotidiana e
che, negli ultimi due decenni, si é attestata a carattere dominante di
un’illegalità assurta a diritto e per tanto, non punibile. E’ in base al
prezzo, e alle suggestioni indotte dall’etichetta, che ognuno, poi, deciderà
quale vino acquistare. E non per altro!
Oggi, un tale
atteggiamento (di chiaro stampo relativista), lo possiamo applicare a qualsiasi
cosa, che siano beni materiali, stati emotivi e comportamentali o sentimenti.
Cosi, con la
stessa alchimia, la gente si fidanza, convive e si sposa – e poi si lascia, si
separa e divorzia. In verità, nessuno conosce veramente le motivazioni che
hanno concorso all’unione, ne tanto meno i motivi del distacco.
Questo per fare
capire che, l’uomo moderno, generato del liberismo selvaggio, è totalmente
privo degli inossidabili punti di riferimento del passato; di quei valori e
principi etici, indispensabili al fine di comprendere e definire la qualità di
un vino e la profondità di un sentimento.
Siamo infine
paralizzati dai problemi più stupidi perché non ne conosciamo le stupide
soluzioni; siano essi problemi pratici o psicologici. Questo ci costringe ad
essere dipendenti da terzi, rinunciando a quell’autonomia che é presupposto di
libertà e felicità. La capacità di sapere risolvere tali incombenze, produce
autostima e ci libera dal dubbio e dalla paura, per produrre certezze e quindi,
consapevolezza e felicità. Il sempre più ricorrente e gettonato leit motive,
“tutto è relativo”, non è che il riassunto delle infinite attenuanti che
adduciamo alla nostra incapacità di agire in modo pragmatico, e a
un’inettitudine fisica e morale dentro la quale, in maniera infantile, ci
rifugiamo.
La
consapevolezza dei nostri reali bisogni e la competenza nel trovare le giuste
soluzioni ai nostri problemi, è quel meccanismo che ci rende uomini a tutti gli
effetti, in grado di mantenere gli impegni presi, sia con gli altri che con noi
stessi. Relativizzare la verità, è una pratica che porta all’autodistruzione e
ci confina in un limbo gelatinoso di paranoia, frustrazione e solitudine.
Per tanto,
prima di pensare, dobbiamo agire essendo, la pratica e la volontà, i soli
strumenti idonei (benché consunti) per affinare il pensiero positivo. Tutto il
resto, si traduce in inconcludente introspezione, disagio psichico, rancore e
infelicità.
Il nocciolo
della questione dunque, va ascritto a una deficienza di fondo di natura
cognitiva, culturale, esistenziale e psicologica che ci ha sottratto quella
capacità primordiale di esprimere un giudizio oggettivo su cose e circostanze,
delegando così al Sistema Potere ogni nostra responsabilità individuale e
analisi di merito.
Gianni Tirelli
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